Finalmente una buona notizia.
Anche le Ferrovie offrono il loro contributo alla titanica lotta al micidiale Coronavirus.
L’idea di far arrivare i convogli a lunga percorrenza al termine del periodo stimato per l’incubazione del morbo ha lasciato di stucco i più fantasiosi esperti di crisis management (la dizione “gestione delle crisi” fa troppo poco figo) e, al tempo stesso, rasserenato i viaggiatori. Questi ultimi, invece di adirarsi con il personale di bordo, hanno manifestato la loro più affettuosa riconoscenza e si sono scusati per non poter abbracciare fraternamente controllori e macchinisti, per ovvie ragioni prudenziali di esclusione di ogni contatto fisico.
Il ritardo di cinque ore, che ieri ha caratterizzato i tabelloni delle stazioni, ha inizialmente preoccupato chi – dinanzi ai display – pensava di trovarsi da Sotheby’s nel bel mezzo di una accanita asta e aspettava (oltre a parenti ed amici in arrivo o semplicemente il treno con cui partire) un ulteriore “rilancio” nella irrefrenabile escalation innescata da un silente “qualcuno offre di più?”. A tranquillizzare il pubblico è stato, comunque, lo stesso tabellone elettronico che – avendo a disposizione solo tre cifre – non avrebbe potuto superare il limite di 999 minuti di ritardo.
I soliti, inevitabili, catastrofisti (reduci, fra l’altro, da un faticoso assalto al supermercato che ha consentito loro di essere scritturati per un remake di “Braveheart”) hanno immediatamente immaginato una catastrofe come quella di Hiroshima e qualcuno si è pure lasciato scappare un legittimo “non bastavano i cinesi…”. La notizia che il ritardo di trecento minuti fosse dovuto ad una disinfezione alla stazione di Casalpusterlengo non ha fatto presa nemmeno sui più appassionati degli scoop di Barbara D’Urso, soliti farsi ipnotizzare dalla voce fuori campo che annuncia tetra storie apocalittiche di VIP e non.
I pochi cittadini rimasti normali hanno invece bestemmiato (ma sottovoce, per non farsi riconoscere) costretti a constatare l’assoluta immodificabilità di certe tradizioni che, religiosamente osservate, non consentono ai treni di rispettare l’orario. Qualcuno tra loro, nel fatidico ruolo di “problem solver”, ha pensato che la migliore soluzione sia l’eliminazione dell’orario che in effetti è il vero elemento di turbativa dell’ordine pubblico…
Potevano mancare i complottisti? Certamente no.
La ‘ndrina dei cospiratori ha subito stabilito – ogni eccezione rimossa – che il COVID-19 sia stato realizzato in uno scantinato del Dopolavoro Ferroviario, dove un gruppo di pensionati ha voluto testimoniare l’immarcescibile attaccamento all’azienda di trasporto e offrire una opportunità per giustificare in maniera plateale la lotteria dei treni che passano solo per chi ha fatto almeno terno o cinquina.
Gli appassionati della lettura alternativa di ogni vicenda, incappucciati come membri del Ku Klux Klan (i primi forse ad indossare una totale protezione delle vie respiratorie per fronteggiare qualsivoglia infezione virale anche nella buona stagione), ora setacciano CRAL e altri ambienti ricreativi in cui si possono annidare altri criminali del bioterrorismo…
Del buon senso, nel frattempo, nessuna traccia.