Chi riveste ruoli di responsabilità deve essere remunerato per compensarne la professionalità che lo ha fatto scegliere, la dedizione che pone nell’assolvere le proprie delicate mansioni, la granitica incorruttibilità che lo deve contraddistinguere dinanzi alle sollecitazioni che – provenienti da chissà dove e con chissà quale energia – sono inevitabilmente destinate a manifestarsi nel periodo di sua potenziale influenza (interna al contesto e magari esportabile in ambiti attigui).
Analogo discorso vale per i rappresentanti di noi cittadini che – alla Camera e al Senato – devono essere impermeabili alle manifestazioni di interesse delle lobby industriali, commerciali e di qualunque altro genere, così da agire in totale indipendenza nell’assoluto ed esclusivo interesse della collettività.
Una popolazione dissennata queste valutazioni non le fa. Preferisce rincorrere festante chi ha promesso tagli agli stipendi senza fare le banali considerazioni delle righe precedenti, sogna l’elemosina del reddito di cittadinanza o di uno dei tanti bonus, si beve tutte le cazzate che infiocchettano gli slogan di questo o quel politico nell’incredibile Carosello delle affascinanti offerte speciali di chi governa.
Il declino economico e sociale del Paese è l’unico vero risultato che le inaffondabili coalizioni che si sono susseguite nell’ultimo periodo sono riuscite repentinamente a raggiungere. La mancanza del più elementare piano di rilancio di un’Italia in ginocchio passa in sott’ordine quotidianamente, messa da parte da una raffica di piccoli scandali che – centellinati ad arte – distraggono l’opinione pubblica mentre non si ferma la mortale caduta nel vuoto.
Da qualche giorno si parla di Tridico e del suo stipendio aumentato, immaginando cifre faraoniche e dovendo fare i conti invece con un Presidente che totalizza una piccola frazione di quel che guadagnano i dirigenti a lui sottoposti. C’è il coro di chi invoca le sue dimissioni, quello che avrebbe dovuto intonare certe litanie per i tanti mortificanti “click-day”, per il black-out del primo Aprile scorso, per il mancato pagamento delle casse integrazioni, per il non aver spiegato (magari opponendosi) che certe erogazioni a pioggia erano impraticabili manco si disponesse di una cornucopia capace di sputar fuori chissà quanti soldi. Ci si preoccupa di poche decine di migliaia di euro, incuranti ad esempio dei fantasmagorici contratti che vengono concessi dal Ministero dell’Innovazione (ne abbiamo parlato in maniera documentata senza che nessuno battesse ciglio) e probabilmente non solo da quel dicastero.
La confusione è babelica.
Dovremmo essere soddisfatti. Abbiamo ottenuto quel che abbiamo chiesto sfogando la nostra rabbia nell’apporre la croce sulla scheda elettorale, pensando che quel segno della matita fosse il tanto sospirato “vaffanculo” da indirizzare ad una classe politica “tradizionale” che non aveva perseguito chissà quale risultato.
Inconsapevoli che avremmo rimpianto quegli “onorevoli” colpevoli di troppe marachelle (verrà il giorno in cui potremo confrontare i protagonisti di Tangentopoli con il brigantaggio contemporaneo, ma sarà troppo tardi), abbiamo applaudito comici e bibitari, mezze tacche e inoccupati cronici. Abbiamo assistito indifferenti ed inerti a spartizioni della torta che un tempo nemmeno i più famelici professionisti della politica avrebbero saputo immaginare. Stiamo vedendo imperare la “demeritocrazia” ed affondare il Titanic della nostra penisola, ma continuiamo a ballare sulla tolda turbati soltanto dall’impossibilità di andare a vedere la partita di calcio o da altre inevitabili limitazioni.
Ne riparleremo quando si sbloccheranno i licenziamenti, quando le aziende (che già non lo hanno fatto) chiuderanno i battenti, quando la gente cercherà di sopravvivere vendendosi le poche cose di cui dispone, quando le banche tireranno fuori gli artigli. Quel giorno – come nella réclame di un noto prodotto dolciario – ci ritroveremo a canticchiare “Gigante, pensaci tu…” e saremo felici di risvegliarci colonizzati dalla Cina o da chi altro potrà comprare con pochi spiccioli quel che rimane.
Qualcuno, allora, dovrà dare le risposte che non ha mai voluto o saputo dare. Nulla è destinato a cambiare.
Ho pensato di lanciare una petizione per la riapertura almeno dello stadio San Paolo di Napoli.
Se non riaprono gli stadi, chi svolgeva lì attività ambulante di somministrazione di bevande è costretto a duellare per mantenere l’attuale occupazione non imprenditoriale. Almeno una volta mostriamo la nostra solidarietà e firmiamo online.