Niente paura. Il titolo non ha errori di battitura. Il nuovo “gioco in scatola” non prevede esperimenti con provette, miscele e formule chimiche. Vince semplicemente chi non conosce vergogna.
La vergogna è un privilegio. Ne possono godere solo le persone dotate di sentimenti, essendo ignota e misteriosa agli individui (chiamarli “uomini” mi sembra eccessivo) la cui aridità diventa prima modus vivendi e poi fonte di slogan con cui imbambolare elettori passati, presenti e (non credo) futuri.
Gli stessi soggetti in realtà sono protagonisti di una disciplina sportiva particolarmente in voga dalla nascita dei social network e dalla correlata democratica (o demagogica) possibilità di pubblicare qualunque cosa online. Sono i campioni olimpici e del mondi di “lancio del sasso e sparizione della mano” che – alla sbigottita contestazione di certe scellerate ed inammissibili dichiarazioni erga omnes attraverso Twitter – si affrettano a scaricare sul proprio staff ogni responsabilità dell’abominio appena compiuto. Magari un domani diranno che sono stati gli hacker, gli anarcoinsurrezionalisti o magari – come in The Blues Brothers – “le cavallette”.
Non so quanti “diversamente giovani” abbiano votato Giovanni Toti all’ultima consultazione per le Regionali in Liguria, ma mi auguro che in perfetta salute possano raggiungere il prossimo appuntamento elettorale. Sicuramente nell’indirizzare la propria preferenza sapranno ricordare quanto il loro attuale Governatore tenga in considerazione l’importanza dei “pazienti molto anziani” in tempi di Covid-19, quasi non si fosse accorto che il coronavirus non ha risparmiato in quella falcidia che – a ben vedere – non fa differenze di età, sesso, salute pregressa, condizioni economiche e sociali.
L’incredibile cinismo con cui l’ennesima strage quotidiana è stata minimizzata fa rabbrividire. Sarebbero morti solo “pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese…”
Lo sforzo produttivo del Paese poggia sui sacrifici delle generazioni precedenti, cui non spetta solo un generico debito di riconoscenza.
Quel ributtante tweet lascia trasparire una mentalità senilicida, tipica di certe culture tribali. Lascia immaginare una riedizione dell’assedio ateniese all’isola di Kea, la cui popolazione – per preservare le già carenti riserve di cibo – decise per votazione l’eliminazione degli ultrasessantenni costringendoli a bere cicuta.
Forse Toti considera le “personnes âgées” come elefanti e si stupisce perché non si incamminino per andare a lasciarsi morire fuori dalla comunità.
Può darsi che non abbia mai ascoltato “Spalle al muro” di Renato Zero o ne abbia frainteso il senso. “Vecchio, sì, con quello che hai da dire, ma vali quattro lire, dovresti già morire…” era una denuncia e non una sentenza.
Un imbianchino austriaco assurto a leader nella Germania degli anni trenta arrivò a propugnare il darwinismo sociale, a consacrare la sopravvivenza del più forte, a considerare gli ebrei “una specie parassita”…
Non riesco a non aver paura di certi lapsus freudiani.
La stagione degli anziani arriva per tutti quelli che hanno la fortuna di invecchiare. Non è una colpa, ma una fortuna. Per chi ci arriva e per chi può gioire della loro presenza. Chi non sa vivere di queste piccole cose non può guidare nessuno verso il futuro.
Come tanti altri, devo ai miei nonni la serenità della mia infanzia e i sogni che mi hanno saputo regalare. Penso a chi li ha persi per colpa del COVID-19 e credo che il loro dolore non sia stato certo ammortizzato dalla spietata valutazione della loro “non indispensabilità” per la formazione del PIL o per lo sviluppo commerciale e industriale del Paese.
La serie B è solo nei campionati di calcio, non nella gente che ci circonda.