Ne “Il vecchio e il bambino” scritta da Guccini e interpretata anche da “I Nomadi” è indimenticabile il passaggio in cui il ragazzino si rivolge al progenitore (oggi forse, lo farebbe tristemente con “Alexa”) e dice “Mi piaccion le fiabe, raccontane altre”.
Chi ha eguale (nel narrare o ascoltare, poco importa) romantica passione per le favole certamente non vede il fondatore di Facebook come un orco, ma – a guardar bene – non fa grossi sforzi per immaginarlo nei panni del pifferaio di Hamelin.
Il signor Zuckerberg – sovrano pressoché indiscusso dell’universo dei social network – ha pianificato una serie di iniziative volte a garantire l’accesso ad Instagram (suo, come pure WhatsApp) anche ai minori di 13 anni, offrendo questa opportunità di svago pure a chi era stato legittimamente escluso dall’iscrizione ufficiale (non fa purtroppo testo chi “bara” o usa sotterfugi) perché ritenuto troppo giovane.
L’intraprendente uomo d’affari – ammirato da tutti quelli che hanno smesso di informarsi seriamente e adesso affermano di averlo “letto su Facebook” – ha dato il via alla fidelizzazione anche dei più piccoli, assicurando che la sua holding si concentrerà sulla privacy e sulla sicurezza dei bambini.
Quello che possiamo ritenere un munifico benefattore cui dobbiamo la realizzazione dei contesti digitali in cui proliferano abusi di ogni genere, le più feroci manifestazioni di bullismo e le più agguerrite azioni predatorie, ha fatto pubblicare sulla pagina del suo social la dichiarazione dei buoni propositi ovvero l’annuncio dello “stiamo continuando a far sì che Instagram sia sempre maggiormente sicuro per i più giovani appartenenti alla nostra comunità”.
L’attuazione del programma operativo nelle mire di Zuckerberg punta all’acquisizione di un pubblico che – foriero di ogni genere di informazioni biecamente sfruttabili ai fini commerciali – non ha gli anticorpi della naturale diffidenza degli adulti, si muove spensieratamente incurante dei pericoli, si palesa malleabile e “ricettivo” a qualsivoglia stimolo anche tutt’altro che educativo, perde con facilità la coscienza delle differenze tra reale e virtuale, dimentica ogni regola di convivenza e fraintende la percezione di parole ed eventi.
Mentre i genitori si affannano per “filtrare” la navigazione online dei propri figli e tentano (inutilmente) di controllarne digitalmente le mosse nella loro vita trascorsa con uno smartphone tra le mani, arriva il moderno incantatore di bambini pronto ad esser seguito da miriadi di infanti che non sembrano aspettare altro che lasciarsi trasportare da ingannevoli flautate melodie.
Anche a voler escludere intollerabili intenti manipolatori, è evidente che sarebbe devastante permettere ai bimbi (la cui fragilità emotiva e psicologica non ha certo bisogno di essere sottolineata) di accedere a piattaforme digitali la cui fruizione richiede livelli di consapevolezza su cui nemmeno chi è più grande di loro può fare affidamento.
Alle persone che, con estrema naturalezza, etichettano chi scrive come il buffo interprete di un goffo Don Quijote o – peggio – di un luddista ortodosso, mi permetto di chiedere se consentirebbero ai propri figlioli di attraversare liberamente di corsa le quattro corsie per senso di marcia dell’Autostrada del Sole nel tratto tra Bologna e Modena.
L’induzione a comprare cose che non sono necessarie o addirittura non interessano, lo stressante vedersi paragonare sfavorevolmente ad altri coetanei o ad altre persone, l’esser costretti a riconoscere gerarchie alternative a quelle legittime e reali, il pensare di potersi permettere qualunque condotta nella pressoché assoluta impunità, il subire prepotenze o il rendersene protagonisti, il venire indirizzati all’anoressia o all’autolesionismo o ad altri comportamenti inammissibili, il perdere tempo in quantità colossali: sono queste alcune sfaccettature di una poliedrica dimensione che probabilmente bisogna cercare di contrastare e magari evitare alle nuove generazioni.
Se ne parli. Non si perda tempo. Non mi stancherò di ripeterlo, come tante altre volte ho fatto fino a diventar noioso.
È in gioco il futuro. Forse la stessa sopravvivenza etica e morale della specie.