Non lasciatevi ingannare dall’immagine. Quello che – telefonino all’orecchio – sopravanza con incedere determinato è il sottosegretario Claudio Durigon, ma il generale di cui si parla non sono certamente io.
Niente paura. La mia presenza è solo dovuta al format grafico del mio “calamaio alla griglia”, nulla più.
Non conosco il ragionier Durigon oggi ai vertici del dicastero all’Economia e alle Finanze e nemmeno l’ufficiale che – a detta del deputato leghista – deve il suo incarico al sodalizio politico che glielo ha attribuito, ma devo ancora riprendermi dallo choc per l’ormai storica e sconcertante affermazione “quello che indaga della Guardia di Finanza, il generale … lo abbiamo messo noi, per questo siamo tranquilli”.
Mi riesce persino difficile capire per cosa devo indignarmi.
Ho vestito un’uniforme per 37 anni e – a dispetto della rigidità dell’architettura militare – l’ho fatto con grande libertà di pensiero e di azione, fino a pagarne il prezzo estremo di esser costretto a congedarmi a 52 anni per rifiutare la rimozione dal mio incarico di Comandante del Nucleo Speciale Frodi Telematiche, colpevole di una lunga permanenza a Roma (dimenticando tutti che non ero io ad aver mai scelto alcuna delle mie destinazioni di impiego) e soprattutto di aver fatto sempre il mio dovere con il massimo impegno e a qualunque costo.
Ho difficoltà ad immaginare che un mio collega, chiunque sia o ovunque si trovi, possa essere una pedina di un gioco, spostato da una casella all’altra in ragione di un interesse non coincidente con quello dello Stato e dei cittadini.
Frasi come quella dell’onorevole Durigon lasciano pensare ad una discutibile manovrabilità di una organizzazione zeppa di gente volenterosa e sempre pronta al sacrificio.
Espressione maldestra o lampante prova di spontaneità?
Una sgradevole uscita di questo calibro infervora chi – non di rado – si domanda come qualcuno possa raggiungere traguardi fuori dalla propria portata e magari fare carriera a dispetto di chi era più bravo e meritevole.
L’atmosfera imbarazzante ed imbarazzata può essere “purificata” soltanto da una secca smentita da parte del Comando Generale delle fiamme gialle che avrebbe subito il vigoroso “input” che è alla base del “lo abbiamo messo noi”, così da chiarire l’eventuale semplice coincidenza tra l’assegnazione dell’ufficiale e il gradimento del sottosegretario del medesimo dicastero da cui dipende la GdF.
Una nitida e ferrea presa di posizione contribuirebbe anche a diradare gli emergenti dubbi sulla recentissima questione della loggia Ungheria, “assembramento” che certamente non rientra nelle combriccole dopolavoristiche (sul modello dei CRAL…) e che sembra contare tra gli iscritti non solo magistrati ma anche personaggi di spicco con la divisa grigia.
Sarebbe spiacevole prendere atto che mirabili esponenti politici al vertice di un Ministero sistemino – sottobanco – qualcuno che possa far loro sospirare “per questo stiamo tranquilli”, mentre altri colleghi in circostanze formali e soprattutto “coram populo” non riescano nemmeno a far valere semplicemente il buon senso nell’interesse di tutti.
Ricordo il fermento bipartisan per il mio allontanamento dal Nucleo Speciale e per le mie sofferte dimissioni prima che il trasferimento avesse luogo.
Ci furono dieci tra interrogazioni e interpellanze parlamentari, disponibili ancora online (grazie ai link qui abbinati alle rispettive date) per chi volesse conoscere compiutamente la storia. Le “richieste” arrivarono il 18 aprile 2012 dal senatore Elio Lannutti (IDV), l’8 maggio 2012 da sei deputati del PD (prima firmataria Elisabetta Zamparutti), il 10 maggio 2012nuovamente dal senatore Lannutti, il 15 maggio 2012 da trentaquattro deputati dell’UDC (primo firmatario Mario Tassone), il 17 maggio 2012 dall’onorevole Alberto Fluvi (PD), il 29 maggio 2012 dall’onorevole Antonio Buonfiglio (PDL, poi Misto-FARE), il 31 maggio 2012 da tre deputati della Lega Nord (primo firmatario Davide Caparini), il 1° giugno 2012 da tre onorevoli di Futuro e Libertà (primo firmatario Aldo Di Biagio), il 4 giugno 2012 dall’onorevole Pino Pisicchio (Misto-Alleanza per l’Italia) e il 13 giugno 2012 dal deputato Antonio Borghesi (IDV).
Nessuna di quelle “mozioni” riuscì a far desistere la Guardia di Finanza dal decapitare un reparto che mieteva successi ed era invidiato da tutto il mondo.
Leggere a distanza di nove anni quel “lo abbiamo messo noi” non mi ha lasciato indifferente. Qualcuno mi dica che non è vero. Ma, per favore, non lo dica soltanto a me.