Quando ci si siede dinanzi ad un computer o si “smanetta” con uno smartphone si è convinti di essere invisibili, al pari di chi leggendo le avventure di Harry Potter immagina che indossare uno speciale mantello consenta di sfuggire alla vista e di muoversi indisturbati.
Questa erronea sensazione induce grandi e piccini a tenere comportamenti eccessivamente disinvolti, dimenticando (o facendo finta di non sapere) che mille occhi sono costantemente pronti a notare ogni dettaglio.
Non di rado si assiste ad una presa di coscienza, purtroppo di effimera persistenza, che porta a constatare che ogni nostra azione è oggetto di costante osservazione, individuazione, analisi, classificazione, schedatura…
A sollecitare qualunque povero disgraziato utilizzatore di dispositivi elettronici sono – non di rado – le inserzioni pubblicitarie che appaiono sullo schermo del pc o sul display del telefonino. Chi si chiede come mai ci sia quel banner promozionale o perché sia suggerito questo o quel prodotto o servizio, probabilmente non ha capito di aver spianato la strada a chi vuole approfittare dei suoi interessi e dei suoi gusti.
Se prima ci si stupiva di certe coincidenze, poco alla volta si è fatta l’abitudine ad essere “profilati” e a ricevere indicazioni per gli acquisti o per le scelte da fare. A guidare la macchina del marketing (che non esita a calpestarci e persino a parcheggiare su quel che resta di noi) sono i medesimi utenti che non hanno capito che la gratuità di quel che si trova in Rete è pazzescamente illusoria. Tutto quello di cui si fruisce (dall’informazione all’intrattenimento, dai servizi alle piattaforme social) ha un invisibile prezzo che ciascun utilizzatore paga senza nemmeno accorgersene: la moneta è quella dei propri dati personali, cui spesso non diamo il giusto valore e la dovuta importanza.
Quelle informazioni sono il petrolio del terzo millennio e alimentano i motori di chi fa business approfittando della nostra trasparenza commerciale: il fatto di non avere segreti (e di non fare nulla per custodire la propria riservatezza) agevola chi deve pianificare operazioni ed investimenti industriali, orientare la produzione, stabilire cosa e a quanto vendere…
A ritagliare il nostro profilo – come gli artisti che a Montmartre con le forbici tirano fuori da un cartoncino nero la silhouette del volto del turista – sono specialisti che sanno sfruttare le confessioni inconsapevoli dei cybernauti. Tutto quel che digitiamo viene registrato e diventa tessera dell’infinito mosaico identificativo di ciascun abitante della dimensione digitale: le ricerche online, i post, i commenti, i “mi piace”, le condivisioni sono annotati e consentono un sempre più dettagliato quadro della nostra personalità.
Ne parlerò sabato 28 a Cisternino, nel corso del Festival dei Sensi che ogni anno in Valle d’Itria regala le emozioni che Internet e tutte le altre diavolerie tecnologiche cercano di sopire nel meccanico processo di omogeneizzazione e di omologazione del pensiero.
Sarà un’occasione per spiegare il futuro della schiavitù digitale di cui siamo incoscienti artefici. Immaginando il mondo virtuale come un bicchiere di vetro si fa presto a riconoscere le tracce delle nostre dita che hanno toccato la superficie trasparente: a poco serve non aver esercitato eccessiva pressione, perché l’impronta sarà nitida ed indelebile.
La chiacchierata porterà a conoscere – e mi impegnerò a farlo per renderla commestibile anche per il palato di chi è meno esperto di certe cose infernali – l’inquietante scenario dei modelli predittivi: quel che abbiamo fatto in precedenza è già sotto la lente di ingrandimento di chi vuole sapere (e lo saprà) cosa stiamo per fare, così da anticipare ogni mossa e far trovare quel che ancora non sappiamo che ci servirà….
Si avrà tempo di prospettare il rischio che qualcuno metta le nostre “impronte digitali” anche dove non siamo mai stati e persino in contesti che neppure conosciamo. Lo spettro del furto di identità aleggia indisturbato e la progressiva migrazione di mille azioni dall’ambito fisico al web ne saprà vitaminizzare la vivacità….
Probabilmente un appuntamento da non perdere, ma – è ovvio – mai chiedere all’oste com’è il suo vino….