Gli esperti lo avevano detto. Inutilmente, come spesso accade.
Apple se ne è fregata. Come spesso accade.
Adesso negli Stati Uniti, come si legge sul New York Times, due donne hanno deciso di “addentare” la “Mela” intentando una potenziale class action nei confronti del tanto apprezzato colosso dell’informatica di consumo cui dobbiamo tanti prodotti tecnologici dal look accattivante e talvolta con qualche pesante controindicazione.
“AirTag” sono una simpatica invenzione apparsa sul mercato nella primavera del 2021 e lo slogan che li promuove dice che grazie a questi dispositivi sarà facilissimo non perdere mai di vista le proprie cose.
Anche sul sito italiano di Apple si legge “Agganciane uno alle chiavi, infilane un altro nello zaino e via: eccoli apparire nell’app Dov’è, la stessa che già usi per localizzare i tuoi dispositivi Apple e rintracciare i tuoi amici e familiari”.
Questi simpatici attrezzi di ridotte dimensioni – come avevano previsto gli esperti di sicurezza – vengono ripetutamente utilizzati per perseguitare e molestare le persone.
Le due signore americane sono state entrambe oggetto di precedenti abusi da parte di ex partner e nella loro denuncia insistono nel dire che le soluzioni di protezione di Apple rimangono del tutto inadeguate per i consumatori.
In pratica con meno di 40 euro i malintenzionati possono dotarsi di un’arma straordinaria per perseguire i loro perfidi obiettivi.
Almeno 150 rapporti della polizia raccolti in soli otto mesi e provenienti appena da otto distretti – esaminati dai giornalisti investigativi di Motherboard – riportano in maniera esplicita che gli autori degli abusi adoperavano questi dispositivi di localizzazione per rintracciare e poi perseguitare e molestare le designate vittime.
Nelle carte della querela appena presentata (pubblicate sul sito di ArsTechnica) si scopre che l’aggressore di una delle due donne ha nascosto i dispositivi di localizzazione all’interno del parafango della sua auto. Lo stalker dell’altra (l’ex marito che non aveva digerito il divorzio), invece, ha piazzato un AirTag nello zaino del figlio.
Secondo “chi ne mastica” di queste cose, ci sono centinaia e centinaia di situazioni analoghe che le interessate non denunciano o addirittura non rilevano nemmeno perché legittimamente non in condizioni di provvedere ad una “bonifica” di ambienti frequentati o veicoli utilizzati.
Gli AirTag sono di dimensioni abbastanza contenute e non è affatto difficile occultarne l’avvenuta collocazione. Il fatto che siano grossi poco più di un bottone da cappotto e che abbiano un prezzo abbordabile rende comprensibile come siano diventati di moda tra i persecutori.
Siccome Apple produce roba di grande qualità, anche questi localizzatori si distinguono per la loro straordinaria precisione e per l’estrema facilità di utilizzo.
In termini pratici gli AirTag basano il proprio funzionamento sulla tecnologia Bluetooth e sfruttano una specifica app preinstallata sull’iPhone che mostra ai proprietari la posizione approssimativa del dispositivo che stanno cercando.
I tecnici della Apple conoscono questo rischio ma l’impegno riversato per contrastare questi possibili abusi non ha finora dato i risultati sperati.
Se la vittima ha un iPhone può utilizzare un recente aggiornamento che fa apparire sul display un avviso di testo quando rileva la presenza di un AirTag nelle vicinanze. L’allerta è anche accompagnata da un segnale acustico di eseguita localizzazione che pur ad alto volume (si parla di 60 decibel) può essere reso poco rilevabile quando il motore della propria vettura è acceso e il telefono è nella borsa eventualmente sul sedile posteriore…
Ma le soluzioni in questione – poco reclamizzate forse per il timore di ripercussioni commerciali negative per gli AirTag – non mettono comunque al sicuro le donne che hanno un telefonino con sistema operativo Android o Hauwei.
Chi non ha l’iPhone deve scaricare e installare una “app” che sia capace di rilevare la presenza a breve distanza di un “tracker” ossia di un congegno di tracciamento.
Ma non basta avere l’applicazione perché questa va “lanciata” e le si deve dare il tempo di scansionare le diverse frequenze… Chi non pensa di essere “inseguita” difficilmente si mette a giocare con questa o quella app da aspirante 007.
I documenti della class action appena promossa pongono in rilievo l’inquietante circostanza secondo la quale gli AirTag sarebbero alla base di due terribili episodi di omicidio…
Niente affatto simpatico (alla luce di quanto appena detto, forse, incredibilmente sgradevole) il messaggio promozionale che campeggia sul sito della Apple e dice testualmente “Acqua. Fuochino. Fuocherello. Fuoco. Se l’AirTag è nelle vicinanze, la funzione «Posizione precisa» sul tuo iPhone può guidarti al punto esatto in cui si trova”. Cosa volere di più?!?
Perché non si prende spunto da queste poche righe per approfondire la questione anche alla luce del crescente numero di femminicidi?