L’innovazione, scrive Umberto Rapetto su “Il Settimanale”, nel 2023 farà ulteriori passi avanti, ma non nella direzione del “farci vivere meglio”, bensì in quella di “metterci da parte”. La manodopera è ormai un’idea medioevale della produzione, dice Umberto, e, aggiungo io, un fittizio altruismo ci chiama al “lo faccio per gli altri”, vedi vaccino quattro volte l’anno, a lasciare un futuro più pulito ai nostri figli (comprando automobili elettriche carissime), a cambiare leggi, usanze e cibi perché ce lo chiede l’Europa. Bonariamente, Umberto ci concede che il tutto non accadrà nel 2023 ma noi siamo rane di Chomsky assuefatte al tepore della pentola e quindi che fretta c’è?
L’altruismo progressista (non lavorare, non possedere, indèbitati, inginòcchiati) si accompagna alla involuzione del pensiero e del linguaggio. Una volta si poteva ragionare, giusto o sbagliato, oggi, con l’avvento della rapidità, del tempo reale, dei 140 caratteri digitali, si può solo esternare per asindeto e polisindeto, pareri veloci di superesperti, dicotomia tra i due emisferi cerebrali: il superesperto spara i suoi one-liner per il ns. emisfero raziocinante, il sinistro, mentre scorrono immagini di scoppi e conflagrazioni che parlano tutt’altra lingua al nostro emisfero delle emozioni, il destro. Il virologo parla di varianti e intanto passano i camion con le bare da cremare (per evitare fastidiose autopsie). E così muore una delle vittime più illustri: il periodo ipotetico, vittima della catastrofe sintattica. Il periodo ipotetico è un costrutto in cui una proposizione principale vive e vige sotto la spada di Damocle di un se, di una condizione subordinata, un suddito maligno che domina sul re, il simbolo di un pensiero che cerca più le domande che le risposte: può essere reale (Se prendi il treno fai prima), possibile (Se ti alzi presto puoi vedere l’alba) o irreale (Se il sole non sorgesse il tempo si arresterebbe). La gente non è più abituata alle subordinate. Se non parli per coordinate la gente non ti segue: il sole non sorge e il tempo si ferma, senza nessi. Anni orsono, a quel modo si schernivano gli aborigeni: tu badrone, io obedisco tu. Figuriamoci se poi mettiamo subordinate di secondo grado. Se vai al mare, quando non ti porti il costume poi te lo devi comprare. Se parli mentre mangi ti ingozzi. Troppo complicato da elaborare: si segue una sola frase per volta. E magari sfori i 140 caratteri. Un tempo, dire “non ci ho capito nulla” era un’ammissione di inadeguatezza, oggi un rassicurante indizio di appartenenza. Una coperta di Linus: siamo tutti così, tutti imbecilli, alè. E al posto del raziocinio fioccano le frasi fatte, i sintagmi passe-partout. La “narrazione”, l'”inclusione” e top dei top la “tempesta perfetta”. Vai da uno rovinato da una crisi bancaria e digli “sei vittima di una tempesta perfetta”. Un vaff@@@@ ti seppellirà. Un banale programmino radiofonico giorni fa ha chiesto agli ascoltatori di riportare le parole e frasi che non si sopportano più. Dopo due ore (ero in macchina) hanno dovuto troncare perchè è arrivata una tale fiumana di: “e qui mi taccio”, “non ho contezza”, “incrociamo le agende”, “sostenibile”, “solare”, “brieffare”, “il combinato-disposto”, “outfit”, “scopamica”, “mettere in bolla”, “fare senso”, “budgettare”, “tosto”, “la quadra”, “divisivo”, “ci sta”, “goal pesantissimo”.
Non dimentichiamo poi che oggi non esiste branca dello scibile o attività umana che non esiga “resilienza”. Etimologicamente, la resilienza è la risalita di un maglio che a pendolo venga fatto abbattere su una barretta di metallo per provarne la robustezza. Più il materiale oppone resistenza alla frattura MENO il maglio risalirà, spendendo gran parte della sua energia a fratturare la barretta. Una barretta gagliarda è quella che consente POCA risalita al maglio, il quale invece spreca MOLTA energia per fratturare. Nella vulgata generale del nostro tempo si dice il contrario. Ma ormai è tardi. Come è tardi per cancellare il malvezzo di dire estrapolare nel senso di estrarre. Estrapolare vuol dire prolungare, una serie di dati o un grafico, ipotizzando il futuro sulla base di come è andato il passato. Estrarre è solo un’assonanza.
Anch’io ho giocato con i vostri emisferi, ho parlato al sinistro di uno sfacelo prossimo venturo e al destro ho proposto l’Adagietto della Quinta di Mahler, quello reso celebre dal film “Morte a Venezia”. Ma se si ama ancora il periodo ipotetico (e questo lo è) non sfuggirà che in entrambi si parla di qualcosa che muore. Quindi, via libera agli scongiuri, anche quello grossolano che esclude e discrimina le femmine. Buon Anno.