Si dovrebbe prendere esempio dai campi di calcio. Però quel minuto di silenzio non dovrebbe avere carattere celebrativo, ma costituire la doverosa astensione dal dire quel che non si sa o dall’attribuirsi meriti che non si hanno.
La giornata di ieri è l’ennesimo grano di un rosario che siamo costretti a scorrere nella farisaica esibizione di presunti successi e di immancabili buoni propositi pronti ad essere tradotti in pratica prendendo spunto dal traguardo appena conseguito.
La cattura del superlatitante (clamorosamente annunciata due mesi prima con inquietante precisione da un ex gelataio di Omegna che – abbandonati coni e creme – aveva optato per la gestione della “assenza” dei fratelli Graviano) non merita toni trionfalistici, ma ineludibili riflessioni su quel che negli anni si è fatto e soprattutto non si è fatto o addirittura si è “fatto contro”.
L’avveduto quisque de populo non inneggia perché il boss finisca sulla forca, ma gli augura invece lunga vita a dispetto delle cagionevoli condizioni di salute.
La casalinga, l’operaio, lo studente auspicano persino una sua improvvisa logorrea, che tramuti il proverbiale silenzio degli “uomini d’onore” nella fluente loquacità di chi non resiste alla tentazione di affrescare verbalmente intriganti scenari le cui puntate mortificherebbero anche sequel immortali come Beautiful.
Trent’anni sono lunghi da raccontare e in realtà la narrazione potrebbe partire anche da fatti antecedenti il lungo periodo di clandestinità. Una bella ubriacatura di “siero della verità” (quello dei film polizieschi…) potrebbe aprire il vaso di Pandora e non basterebbero gli occhiali 3D per gustarsi a pieno lo spettacolo. Nomi e cognomi, dati e eventi, relazioni e connessioni potrebbero dar luogo ad uno tsunami non solo giudiziario ma addirittura sociale. La Valle di Josafat, al confronto, si profilerebbe come un ameno resort esclusivo (naturalmente di proprietà di qualche prestanome).
Il resoconto di prima mano si prospetterebbe come una sorta di TripAdvisor per una inevitabile Norimberga “de noantri”.
Malelingue e complottisti immaginano una lunga afasia e, nel frattempo, si mostrano dubbiosi sulla storia della “anagrafe nazionale dei pazienti oncologici” che – secondo alcuni giornali a caccia di sensazionalismi gratuiti – avrebbe costituito il perno della risolutiva indagine.
Se avesse ragione certa stampa, gli investigatori hanno preso atto delle dichiarazioni di Baiardo nell’intervista fatta da Massimo Giletti su La7 a Novembre scorso, oppure hanno acquisito da altra fonte la notizia della patologia sofferta dal ricercato?
I “mammasantissima” – quasi per tradizione – non si allontanano da dove hanno saldamente piantato le radici (un rastrellamento a tappeto delle località di interesse sarebbe durato meno di tre decenni), ma era lecito pensare che per una volta il “tizio” potrebbe essersi volatilizzato per riapparire in qualunque angolo del globo (magari in un criminale “smart working” che caratterizza molti settori della delinquenza).
Le investigazioni hanno optato per la sussistenza di un legame viscerale alle proprie terre. Quindi, bandito “in presenza”. D’accordo.
I tanto deprecati sistemi informatici del Servizio Sanitario sono organizzati su base regionale e la scelta del ROS ad un certo punto sarebbe caduta – incredibile dictu – proprio sulla Sicilia…
I computer (quelli “pubblici” a volte fanno eccezione) non possono sbagliare. Matteo Messina Denaro risulterebbe essersi vaccinato totalizzando tre dosi. Se, come mostrato alla stampa, aveva la tessera sanitaria del vero “Andrea Bonafede” c’è da domandarsi se quest’ultimo abbia rispettato gli obblighi anti-Covid. Se la risposta è positiva, gli archivi elettronici avrebbero dovuto evidenziare la presenza in Regione di una persona cui erano state somministrate almeno 6 o più dosi…
La componente tecnologica nelle operazioni di Polizia è come certe spezie nelle ricette di cucina. Serve a dare sapore. O a correggere qualche imperfezione del cuoco…
Il colonnello Arcidiacono del ROS ha smentito questa pista spazzando via fantasie e dubbi correlati. Il Comandante Generale dei Carabinieri ha giustamente preferito dichiarare che era stato usato il “metodo Dalla Chiesa”, sottolineando l’opera e il sacrificio quotidiano di donne e uomini dell’Arma.
Dalla Chiesa. Già, Dalla Chiesa. Complice la fiction televisiva, un martire di questo disperato Paese viene citato continuamente. E la politica ne esalta l’esempio, dimenticando di esserselo dimenticato quando era a Palermo.
La pagina di ieri non rimargina le ferite. Forse è un cerotto dove non bastano i punti di sutura.
Sapremo da Matteo Messina Denaro chi ha fortemente voluto che tanti eroi venissero lasciati soli, che pagassero con la vita l’aver tentato di intralciare disegni “vuolsi colà dove si puote”?
A rispettare quel che scrive l’ideologo di destra Alighieri, ci toccherà “e più non dimandare”?