Torniamo a parlare del celeste Impero, del suo imperatore/presidente Xi Jinping e in particolare del suo ruolo e strategie.
Negli ultimi mesi ha modificato in modo drastico, di fatto invertendone il verso, i vettori di base della politica sua e del Partito.
Al punto di fare dire a molti osservatori occidentali che abbia rinunciato all’attenta pianificazione che lui stesso dichiara essere uno dei vantaggi dell’autocrazia, che stia improvvisando. Nulla di più sbagliato.
Ricostruiamo la linea temporale dei fatti.
A ottobre 2022, nel corso del 20° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping aveva mostrato i muscoli, confermando e rafforzando le strategie in atto.
Azione necessaria e coronata da successo, vista la sua conferma a capo incontrastato della segreteria generale del Partito Comunista Cinese. Evento storico. Xi è al suo terzo mandato consecutivo, è al potere ininterrottamente dal 2012 e lo sarà per i prossimi cinque anni.
Due mesi dopo, il 14 dicembre 2022, nell’ambito della Conferenza centrale sull’economia (CEWC-Central Economic Work Conference), le strategie di cui sopra, in particolare quelle relative a Covid-19, economia e tecnologia, sono state semplicemente rottamate.
Come accennato quelle nuove e sostitutive rappresentano un’inversione totale.
L’imperatore Xi, ha aristocraticamente fatto suo il motto ufficioso della casa reale britannica: “never complain, never explain” e dunque non si è lamentato o giustificato, né ha spiegato. Non che dovesse farlo. Di certo è tornato sui suoi passi.
Negli USA questa modalità d’azione è stata interpretata in modo negativo. Per loro l’agilità tattica, la spregiudicatezza e spudoratezza nel riscrivere la dottrina del partito rende Xi imprevedibile. Il che li preoccupa assai, soprattutto quando guardano al tema della sicurezza, perché potrebbero generarsi pericolose incomprensioni che possono trasformarsi in disastri.
L’Asia Society Policy Institute, guidato da Kevin Rudd, ex primo ministro australiano ed esperto di Cina, ha esaminato le recenti decisioni di Xi. Fra i cambiamenti decisi, quello più drammatico è la cancellazione istantanea della politica “zero covid”. Dalle limitazioni imposte alla popolazione e all’economia perché si doveva combattere “una guerra popolare a tutto campo per fermare la diffusione del virus”, come dichiarato da Xi nel suo discorso al 20° Comitato, si è passati all’apertura totale e incondizionata con l’annuncio, il giorno 8 dicembre 2022, da parte della Commissione Sanitaria Nazionale cinese, della fine dei blocchi automatici, dei test obbligatori e delle rigide regole di viaggio e quarantena.
Xi non aveva altra scelta. Ha dovuto tenere conto dello scontento popolare che a fine novembre aveva raggiunto il livello di guardia. Il Covid aumentava. L’economia non stava bene per niente. Le proteste si diffondevano a macchia d’olio. I manifestanti, nelle strade di Pechino e Shanghai, mostravano fogli in bianco per non subire le conseguenze dell’invio di un messaggio esplicito di critica.
Però la critica c’era, pesante. Il partito è andato nel panico. Sono seguite due settimane di indecisione politica e di preoccupazione per il grado di repressione che sarebbe stato necessario per riportare i manifestanti sotto controllo, sapendo che i fatti di Piazza Tienanmen sono ben presenti nella memoria.
Xi si è reso conto che i blocchi, pur non riuscendo a fermare il virus, stavano rallentando l’economia del Paese, esaurendo le risorse finanziarie dei governi locali cinesi, rendendo insostenibile la politica “Zero Covid”. Tutti fattori che mettevano a repentaglio la sua legittimità come leader.
Opportuno ricordare che nel celeste impero, l’imperatore rimane tale fino a che cresce la ricchezza del suo popolo. Se ciò non accade, si cambia imperatore, come testimoniato dai 5mila anni di storia cinese. Dal 21° secolo prima di Cristo al 1911, sono 43, fra dinastie e regni, ad avere governato la Cina. Dal 1912 al 1949 fu il turno della repubblica di Cina. Dal 1949 ad oggi c’è la Repubblica Popolare Cinese. La Cina è il paese della rivoluzione periodica. Xi è l’ultimo re-sciamano della lista, anch’egli responsabile della salute del suo popolo. Basta leggere i suoi discorsi per rendersene conto. Attività che non consiglio fare se non si conosce il mandarino. Le traduzioni in inglese sono intellegibili con una notevole capacità di interpretazione.
Xi dal 2017, aveva gradualmente “promosso lo stato limitando il settore privato“, implementando politiche economiche neo-maoiste, attente alla “prosperità comune“, frase da lui spesso usata nel recente passato, contribuendo alla definizione di un ambiente ostile all’impresa privata, dove le aziende di stato erano sistematicamente favorite.
Le intenzioni del governo potevano avere motivazioni nobili, come ricordato da Federico Rampini nel suo commento del 21 gennaio sul “Corriere della Sera”. I miliardari erano accusati di essere corruttori o semplicemente troppo opulenti. Le aziende Big Tech erano state protagoniste di eccessi. Gli investimenti esteri erano stati effettuati con molta fantasia e scarsa cautela.
Nei fatti però, Xi ha regolato i conti con avversari politici, perseguitato imprenditori che potevano fargli ombra o non obbedire abbastanza al partito comunista.
Mal gliene incolse. Il dinamismo e la creatività che avevano alimentato la crescita cinese dell’ultimo trentennio sono stati soffocati. Nel 2022, il Prodotto Interno Lordo cinese è aumentato del 3 per cento, molto al di sotto del 5,5 per cento proclamato da Xi Jinping. Il dato peggiore dal 1976, con l’unica eccezione della frenata subita nel 2020 per il crollo delle esportazioni nel primo anno di pandemia.
A dicembre 2022 cambia tutto. Non è un voltafaccia, bensì l’accettazione delle evidenze sperimentali. Si parla tanto dell’ideologia del sistema cinese. Eppure lo storico approccio olistico della cultura e filosofia cinese alimenta soprattutto il pragmatismo, la ragione dei fatti più che la loro interpretazione. L’evidenza sperimentale non poteva essere negata: indebolimento dei leader aziendali di successo; demoralizzazione degli imprenditori; indebolimento preoccupante dei settori tecnologico e immobiliare; restrizioni agli investimenti esteri.
La nuova edizione delle politiche economiche è “meno ideologica“, più favorevole alla “vitalità e creatività del mercato“, più entusiasta della spesa dei consumatori. Dice ora Xi Jinping: “Il paese incoraggerà e sosterrà il settore privato senza esitazioni”. Ha ordinato alle banche di riattivare le linee di credito ai costruttori edili, per ridare fiato al settore immobiliare in affanno da anni.
La reazione positiva dei mercati finanziari non si è fatta attendere. Le quotazioni delle società tecnologiche cinesi sono aumentate in modo sensibile.
Inutile chiedersi se le riforme economiche di Xi siano strategiche, quindi permanenti, o semplici cambiamenti di tattica.
Come sempre con il presidente Xi, la risposta migliore è metterlo alla prova, aspettare i fatti, ben sapendo che è un maestro nell’andare contemporaneamente in direzioni diverse.
Quali sono le lezioni che noi si sono imparate?
In primo luogo, è chiaro che Xi è un autocrate di grande abilità, esperienza e agilità, con elevato senso di autoconservazione e grande capacità di leggere gli umori e le richieste del suo popolo, soddisfacendole. In sintesi, è un grande politico.
In secondo luogo, per quanto possa essere diffuso ed efficace il controllo del Partito e della sua polizia, i cinesi sono in grado di continuare a esercitare, quando devono usarlo, il secolare “potere del popolo”, profondamente radicato nella loro cultura.
Infine, mai, mai sottovalutare le capacità del Zhōngguó , il Paese di Mezzo e del suo Imperatore.
Non importa chi esso sia.