Parlavo con mio fratello minore dello stato di salute di una grande azienda, quotata in borsa.
A suo avviso si trattava di azienda solida, su cui valeva la pena investire. Io affermavo che sarebbe stata decisione ad alto rischio. Posizioni del tutto opposte.
Lui guardava i numeri. Io guardavo prodotti, tecnologia, risultati di vendita e posizione competitiva.
Approccio per nulla originale.
Non molto tempo fa, l’amministratore delegato della Mattel attribuì la crisi finanziaria dell’azienda alla stasi creativa conseguente alla “fissazione per i numeri”. “L’azienda” ebbe a dichiarare, “era guidata da fogli di calcolo e liste di controllo. Non ci chiedevamo se i nostri giocattoli fossero buoni”.
Attenti ai numeri. Già, ma cosa è un numero?
Prendiamo Pi greco. Lo conoscono quasi tutti. Ha pure un giorno e un’ora dell’anno a esso dedicato: il 14 marzo alle ore 1:59 (3 per marzo, 14 il giorno, 1:59 l’orario, ovvero 3,14159… (poi continua con …265358979323846 eccetera eccetera).
Pi greco è un numero irrazionale, ovvero è un numero reale non razionale, quindi non può essere scritto come una frazione a/b, con a e b interi e b diverso da 0. I numeri irrazionali sono numeri la cui espansione non termina mai e non forma una sequenza periodica, non importa quanto lunga.
Usando la potenza di calcolo del Cloud di Google, ci si è divertiti a calcolare Pi greco fino alla centomila miliardesima cifra decimale.
Il che significa che dopo il 3 iniziale sono state calcolate 10 elevato alla 14 cifre decimali. Ci sono voluti 157 giorni, 23 ore, 31 minuti e 7,651 secondi. Dal 14 ottobre 2020 al 21 marzo 2022.
Pi in fisica è onnipresente nelle equazioni fondamentali, non importa se hanno ha che fare con la cosmologia o la meccanica quantistica. Dall’immensamente grande all’incredibilmente piccolo, c’è sempre.
A titolo di curiosità, c’è anche il Pilish, un divertente linguaggio vincolato per scrivere poesie e storie (“Ero a casa e mesto apparente, ma felice” … usa le prime 8 cifre).
Per conoscerne le regole: http://www.cadaeic.net/pilish.htm
Peccato che Pi greco non sia un numero, bensì una relazione. Quella tra il diametro di un cerchio e la sua circonferenza.
Misuro la circonferenza, poi misuro il diametro. Il che significa confrontare un oggetto con uno di riferimento, che è una relazione. Ottengo due numeri. La divisione è la relazione di un numero, chiamato numeratore, con un altro, chiamato denominatore. Nel caso di Pi greco al numeratore c’è la misura della circonferenza e al denominatore quella del suo diametro.
I numeri che guardava mio fratello per affermare la bontà dell’investimento sono relazioni, come quelle che consideravo io. Solo che le sue non hanno sempre un denominatore unico, le mie sì. Se si guardano i dati di bilancio di un’azienda, il denominatore non è sempre esplicito e comunque cambia spesso.
Si dichiara la produttività in termini di tonnellate per ore uomo; le vendite in euro per unità di prodotto; il totale dei ricavi per costo unitario o altro parametro. Il che permette di giocare con i numeri e consente notevoli lavori di cosmesi.
Al punto di fare risultare in ottimo stato di salute aziende del tutto decotte. Vedi gli epici casi Enron e Parmalat…
Se la relazione sotto analisi riguarda elementi fisici -numero di vetture prodotte, litri di birra imbottigliati, ore di volo-, tenendo sempre costante il denominatore, ad esempio ore uomo, costo produzione, valore materie prime, margine netto, allora la relazione, il rapporto fra numeratore e denominatore, permette di costruire la rappresentazione “vera” dello stato di salute dell’organizzazione.
Vengono così consentiti confronti con eventuali competitori o complementatori. Diventano molto più difficili i raffinati interventi estetici delle assai costose società di certificazione e consulenza. Insomma, anche se il fratello non sarà per nulla in accordo, i numeri non sono strumento di valutazione ottimale delle realtà aziendali. Soprattutto se non si sa come vengono ricavati.
Forse, il motivo di fondo della nostra divergenza, è da ascrivere alla mia lunga esperienza di docente.
Da sempre sono in difficoltà quando devo valutare gli studenti, tradurre le loro realtà individuali in numeri. Odio farlo.
Non importa quale sistema si scelga o si sia obbligati a utilizzare. Le possibilità sono tante. In base 5, in base 10 per tutti gli anni di scuola primaria e secondaria che poi diventa in base 100 all’esame di fine ciclo. In base 30 all’università che poi alla laurea viene trasformato in base 110. Si potrà obiettare che ci sono sistemi che usano le lettere, come quello statunitense. Da A a F.
Non cambia nulla, trattasi di sistema con notazione alfabetica, in base 6.
A proposito, il mio corso universitario prevede un solo voto. O si prende trenta o non si passa. Non sono in grado di assegnare 27 su trenta a uno studente e 28 su trenta a un altro. Non sono capace di misurare un trentesimo di differenza.
Devo dire che una volta fissata, nel corso della prima lezione, questa regola del gioco, superato lo choc iniziale non c’è partecipante che non passi l’esame con pieno merito. La paura fa 30 in questo caso. Comunque, valutare le persone è attività assai più irrazionale del Pi greco di cui sopra. Viene richiesto di assegnare un valore numerico, di quantificare una relazione tra cose sconosciute, solitamente inconoscibili.
Ogni misurazione, afferma il matematico Paul Lockhart nel suo libro “Measurement,” è un confronto: “Confrontiamo ciò che stiamo misurando con ciò con cui la stiamo misurando”.
Come si misura uno studente? Non parliamo di parametri fisici quali peso o altezza. Quali aspetti possono essere confrontati? Qualità, quantità, originalità, creatività, disciplina, partecipazione, miglioramento? Se uno studente inizia il semestre alla grande per poi peggiorare dopo sei mesi, gli si da un punteggio basso? Eppure è sempre la stessa persona con lo stesso potenziale, capacità, abilità e talenti che aveva sei mesi prima.
Lo studente medio che consegna per una volta un elaborato eccellente lo si premia in modo esagerato? Probabilmente sì. Siamo umani e si sbaglia. Non è possibile separare le prestazioni degli studenti da tutto ciò che accade nella loro vita fuori dall’aula: se hanno dormito o mangiato, se sono innamorati o se il loro amore è finito, se sono felici o malinconici.
Da tenere presente che nel cosiddetto mondo reale, così come a livello subatomico, l’atto stesso della misurazione, può distruggere la cosa che si vuole misurare. Vedi Heisenberg e il suo famigerato Principio di Incertezza.
Nel misurare uno studente si distrugge la sua magnifica unicità.
Sottoporre gli studenti a test o verifiche periodiche non aiuta perché si effettua un confronto tra ciò che lo studente sa e quanto dovrebbe sapere in base al programma svolto dal docente. Sempre che il docente sia tale e sappia svolgere il suo mestiere. Sempre che si abbia a disposizione uno standard di riferimento per valutare chi valuta.
Mai capitato di avere a che fare con un docente che alla prima lezione dichiara: “Ve lo dico subito. Sono certo che almeno metà di voi non passerà l’esame…”?
Trattasi di tipico esponente di quella tipologia di docenti che occorrerebbe licenziare in tronco perché la loro percezione è irreparabilmente danneggiata dal loro sistema di credenze.
I loro giudizi sono ingiudicabili. Di fatto misurano, con un colpo d’occhio del tutto offuscato dalle loro convinzioni e certezze personali, gli appartenenti alla classe, classificandoli ed eliminandone quindi la metà inferiore.
In Cina stilare classifiche su quali siano le scuole migliori in patria o all’estero è non solo una mania, ma la modalità prevalente per scegliere chi pagare e quanto per educare i propri figli.
Le madri tigre sono delle vere esperte. Peccato che le classifiche portano le scuole a falsificare i dati e a elaborare politiche progettate per migliorare la posizione in classifica e non per conseguire “obiettivi nobili ed etici nell’interesse degli studenti”. Il che capita ovunque nel mondo.
Le classifiche stanno annientandoci. Qualunque cosa si faccia viene chiesto di assegnare punti, stelle, pollici in su o in giù, faccine più o meno sorridenti. Vedi il servizio ricevuto all’ASL, l’acquisto su Amazon o i servizi igienici nelle aree di servizio autostradali.
Occorre assegnare un voto, un numero, Relativo a quale standard? Non viene mai detto quale debba essere il denominatore. La pulizia del bagno, la sofficità della carta igienica, la temperatura dell’acqua per lavarsi le mani? Si generano così numeri irrazionali. Si misura senza sapere cosa significa misurare, il che implica non capire.
La misura ossessiva e continua annichilisce le informazioni di cui abbiamo necessità per capire cosa accade, cosa stiamo facendo, cosa conta davvero, come funzionano le cose.
Si consiglia di evitare qualsiasi misurazione che non dica in modo esplicito cosa misurare rispetto a cosa. Contare il numero di decessi per Covid 19 senza confrontarlo con la prevalenza del virus in una determinata popolazione non fornisce indizio alcuno sulla sua mortalità, su quante persone guariscono e quanti soffrono di “Covid lungo”, o quali variazioni seguire con attenzione.
Se non si misura, se il denominatore non è unico e significativo, non sappiamo più nulla. Purtroppo la maggior parte delle misurazioni sono “impossibili”.
Scrive il già citato Lockhart: “Abbiamo qualche speranza di misurare solo gli oggetti più semplici”.
Nulla di ciò che misuriamo è semplice. Tutto è connesso a tutto il resto.
Ogni singola misura contiene un insieme di attori, un universo di considerazioni. Esempio: si fa presto a dire “movimento”. In fisica ci sono voluti tanti anni e tanto sforzo prima di capire che il movimento in quanto tale non esiste perché è la combinazione di velocità, accelerazione, quantità di moto, forza. Per misurare il movimento, devo misurare gli elementi che ne costituiscono la complessità, nessuno escluso.
Tutti, trattasi di caratteristica ontologica, ci misuriamo, ci valutiamo. Come però? Relativamente a come si era, quando si era più giovani? Oppure in rapporto ai coetanei? Oppure diamo ascolto a chi ci dice come dovremmo essere: consorte, figli, fratelli, colleghi, medico curante, società…? Conta l’età cronologica o quella biologica? Comunque misuriamo. Il peso, il girovita, l’altezza, taglia dei pantaloni, entità del conto in banca, possessi materiali, potere, amori. Quando saremo soddisfatti di noi stessi? Che numeri devono comparire per essere felici, per stare bene?
Dimenticando che sono comunque il risultato di approssimazioni grossolane.
La scienza e la tecnologia sono ossessionate dall’ottenere misurazioni corrette.
Utilizzano standard internazionali per tutto: tempo, metri, ettari, volumi, intensità del rumore, forza di un segnale, piccantezza del peperoncino.
Corrette non vuole dire mai che siano esatte. Esiste sempre l’incertezza, l’errore, derivante dallo strumento di misura, dalla riproducibilità del fenomeno o dell’oggetto. La misurazione, se sufficientemente ben fatta, può sostituire la comprensione, ma non sempre.
Torniamo alla fisica e parliamo di energia.
I fisici, si lamentò il grande Richard Feynman, dovrebbero vergognarsi del modo in cui trattano l’energia. La misurano in una miriade di modi diversi, con nomi diversi. Hanno regole per calcolarne la quantità. Sanno che l’energia si conserva. Arriva in “bolle” di quantità definita. Ogni volta che le si calcola, si ottiene sempre lo stesso valore, lo stesso numero. Quindi non sono unità reali, ma pura astrazione. Non è fisica, è matematica. Se è matematica riguarda le relazioni, vedi il Pi greco di cui sopra e le relazioni, come si è visto, sono sempre sistemi costituiti da più componenti. Che non conosciamo. Il che implica che non sappiamo cosa sia l’energia, conclude Feynman.
Da tenere anche presente che la maggior parte delle cose che misuriamo sono sostituti concreti delle cose sfuggenti che vogliamo conoscere. Il software di analisi può dirti quante persone hanno condiviso il tuo post. Non ti dice nulla sull’impatto che hai avuto, se lo hai avuto, se la tua credibilità è aumentata, se hai fatto cambiare idea a qualcuno.
Immagino, spero, che chi ha seguito fino a qui queste elucubrazioni disordinate, avrà notato che se si è parlato di uno degli assiomi della fisica, ovvero l’energia, ma nulla si è detto sul tempo, quello misurato da uno strumento, digitale o analogico che sia, chiamato orologio. Molto ci sarebbe da dire, ma lo spazio è sempre tiranno.
L’unica affermazione che faccio, non è sul tempo, ma su uno dei tempi. Perché ce ne sono tanti. C’è quello della prestazione, dello studio, quello del lavoro, del tempo libero, dell’amore, il tempo dell’ozio e quello del negozio. C’è il magnifico, creativo, affascinante, indispensabile, tempo sprecato.
L’unico dei tempi di cui voglio dire qualcosa è il più sciocco di tutti, al punto di meritare una denominazione particolare: l’età.
Tutti, forse, vorrebbero vivere almeno cent’anni, spremendo ogni singolo secondo a disposizione. Eppure la longevità sta rovinando il delicato equilibrio tra lavoro e vita privata, la nostra salute, la nostra famiglia, la nostra felicità. La vecchiaia non è più qualcosa di dolce e tranquillo. La vecchiaia è altamente incasinata.
Eppure gli anni vissuti sono uno stupido modo di misurare la vita. Anche perché sono ridicolmente pochi. Quelli che contano sono gli anni precedenti alla nostra vita e quelli successivi che si susseguono all’infinito. Proprio come Pi greco. Reale e irrazionale. Relazione fra circonferenza e diametro.
Contano solo le relazioni.
Se poi sono irrazionali, così sia.
Per fortuna.
P.S.
Quanto raccontato è un’elaborazione, molto personale, di quanto scritto da KC Cole, corrispondente senior di Wired, nel suo articolo “The End of Grading”