Nel dibattito politico nazionale, sulla carta stampata e nei talk show, si assiste, oramai dal 24 febbraio 2022, ad un copione sempre uguale. Da una parte illustri e meno illustri professori e giornalisti che sostengono con piglio deciso che la Russia va condannata e possibilmente cancellata dalla faccia della terra perché invasore di uno stato sovrano.
Dall’altra chi tenta con varie argomentazioni, di far notare che le cose non sono proprio così chiare e precise, ma è necessario contestualizzarle in una cornice geopolitica più complessa, per poter capire come e perché siamo arrivati a questo punto.
Tutto inutile; i custodi del diritto internazionale ribattono che bene fanno i capi di governo Europei ed Americani a schierarsi compatti contro l’invasore, e queste posizioni sono le uniche compatibili con il nostro ordinamento democratico e le uniche che possono difendere i nostri valori contro quelli delle dittature oppressive.
Quando a questi luminari viene chiesto come e quando pensano che questa guerra debba finire, le ricette sono le più disparate; più è prestigioso l’intervistato più probabile che la risposta sicura sia: “con il totale ritiro dell’invasore dai territori occupati inclusa la Crimea sottratta all’Ucraina nel 2014”.
E quando ancora viene domandato quando e come sia possibile cominciare delle trattative di pace, allora con fastidio e non senza aver alzato un sopracciglio nel già corrucciato volto, viene risposto: “Quando Putin si ritirerà”; che praticamente vuol dire: “non se ne parla proprio”.
Ma non è perché vogliano essere reticenti, è che sarebbe sconveniente dire che bisogna aspettare le decisioni di Biden e possibilmente le elezioni del 2024. Già perché, per paradosso, a decidere come finirà questa guerra saranno quei pochi cittadini americani che andranno a votare il nuovo presidente degli Stati Uniti nel 2024.
Dobbiamo dunque sperare che il “regular Joe” americano, a cui onestamente di questa guerra non frega nulla, possa aiutarci a farla finire. Basta che nella campagna elettorale vengano toccati i tasti giusti e voilà che magari lo sfidante di Biden potrebbe acquisire discreti consensi nel proporre un disimpegno da questo costoso pantano ucraino.
Come in Iraq; dopo 20 anni di una inutile, sanguinosa e costosa invasione scatenata contro il diritto internazionale (non vi era nessun appoggio delle Nazioni Unite) e fornendo false prove di mai identificate armi di distruzioni di massa.
Oggi l’Iraq è un povero cumulo di macerie attraversato da rigurgiti terroristici di fondamentalisti islamici e che pur possedendo una delle più larghe riserve petrolifere del mondo, dei proventi del petrolio non vede nemmeno un dollaro; già perché i ricavi dell’esportazione dell’oro nero transitano nella Fed di New York per poi essere rigirati al traballante governo iracheno.
Ma poiché gli Stati Uniti hanno accusato l’Iraq di un uso improprio di questi fondi (aiuti all’Iran che è come noto sotto embargo), tali fondi sono congelati e rimangono a New York. Non male, per lo zio Sam.
E sempre nel pieno rispetto del Diritto Internazionale.
L’Afghanistan è un altro di quei Paesi in cui il Diritto Internazionale sembra non aver mai albergato; vuoi prima con l’invasione Russa poi con quella Americana; anche lì il risultato sono solo macerie ed anche lì sono tornati i fondamentalisti islamici, creando un fertile brodo di cultura antioccidentale; tanto è vero che ci si comincia ad interrogare di nuovo su quali potranno essere le prossime minacce terroristiche e sotto quale forma si manifesteranno. Ma questa è un’altra storia.
E sempre per non violare il diritto Internazionale che gli Americani fabbricarono l’incidente del golfo del Tonchino per poter intervenire in Vietnam con i marines e cominciare la guerra che tristemente, senza scopo e senza obiettivo, durò per venti anni. Ma il diritto internazionale era salvo.
Non provatevi nemmeno lontanamente a obiettare a questi signori e signore che la maggioranza dei cittadini europei è contraria alla continuazione sine die di questo conflitto e che vorrebbe vedere un maggiore sforzo verso la ricomposizione di questa guerra mediante una conferenza di pace nella quale cercare una soluzione a questo disastro largamente annunciato. Con il solito piglio quasi disgustato vi verrà detto che fanno bene i vertici politici a decidere unilateralmente ed a porte chiuse su quale via debba essere intrapresa. Il cittadino che non la pensa come le vestali deve essere educato perché ignora i codici e la Magna Carta e se continua a pensarla diversamente può sempre trovare posto nell’apposita lista di proscrizione appositamente redatta.
Il bello di questa commedia, anzi meglio sarebbe dire, il brutto di questa tragedia, è che non è nemmeno questa la portata principale di questo pranzo avvelenato. La vera guerra è già cominciata, ed è quella con la Cina nella quale anche qui quasi inconsapevolmente stiamo scivolando. Da parte cinese la guerra si combatte a colpi di Pil; da parte americana (e noi da leali sudditi seguiamo) con i cannoni. È stato approvato il nuovo bilancio della Difesa Americano per il 2023: 850 miliardi di dollari, il più alto della storia americana.
Ma qual è il motivo di questa guerra con la Cina?
Forse i cinesi stanno programmando un attacco agli Stati Uniti? Oppure uno sbarco in Europa tipo D Day, in Normandia? Stanno restringendo le vie di navigazione nell’oceano Atlantico o nel mediterraneo?
Anche se volessero non ne avrebbero la capacità. Si tratta invece di soldi. Banalmente di soldi. Il dollaro viene minacciato nella sua posizione egemone.
Certo che, santo cielo, anche gli americani ci mettono del loro, poverini. Con questa cosa dell’esportazione della democrazia, sanzionano a destra ed a manca e gli stati sanzionati non la prendono bene.
C’è chi resiste stoicamente (Cuba da oltre mezzo secolo), chi invece si impoverisce in maniera irrimediabile con sofferenze inimmaginabili per le popolazioni incolpevoli. Questo uso del dollaro come “arma di distruzione di massa” in questi ultimi mesi, complice anche la guerra in Ucraina, ha compattato un fronte che prima non esisteva: il resto del mondo.
Già perché al di là della vecchia Europa e degli Stati Uniti al resto del mondo non piace più molto la possibilità di cadere trappola dell’arbitraria decisione di un Paese che essendo egemone impone i suoi diktat, chiedo scusa, il rispetto del Diritto Internazionale, sanzionando una volta un Paese ed una volta un altro.
Quando il Premier Cinese si è recato in Arabia Saudita lo ha fatto portando concrete proposte commerciali; cooperazione congiunta per la costruzione di centrali nucleari, nello sviluppo della tecnologia spaziale, e sottoscrivendo un contratto trentennale di fornitura di petrolio ad un prezzo stabile. E per la prima volta da quando il petrodollaro ha fatto la sua comparsa, questa volta il contratto è in yuan, la divisa cinese.
Questa è quello che in termini anglosassoni si chiama una:” win win situation”. Tutti vincono e tutti sono contenti, nel rispetto delle proprie differenze politiche, culturali, ed economiche. Nessuno dei due da lezioni all’altro su come governare nel proprio paese: sarebbe una invasione inaccettabile di campo.
Sarà per questo motivo che Qin Gang, Ministro degli esteri cinese, ha chiuso l’accordo diplomatico del secolo: quello tra Arabia Saudita ed Iran, aprendo scenari fino a qualche tempo fa impensabili e dando una sberla diplomatica all’amministrazione Biden il cui rumore ancora risuona nei corridoi della Casa Bianca.
Questo approccio “win win” è la ricetta che sta creando il successo della BRI (Belt and Road Initiative) in Africa ed in Sud America.
Gli stati africani per uscire dalla morsa di povertà nella quale versano, hanno bisogno di massicci investimenti in infrastrutture. Viabilità, trasporti, energia elettrica, scuole, acqua potabile, sviluppo agricolo. La BRI riesce a fornire opere chiavi in mano in tempi e costi ragionevoli lasciando sul territorio qualche cosa di tangibile.
L’apporto occidentale, tralasciando il periodo coloniale che pure è stato devastante, è stato quello di fornire aiuti economici( pochi) in cambio di un massiccio sfruttamento delle risorse preziose che il continente nel suo insieme possiede. Anche la corruzione che è un potente freno endemico allo sviluppo di questi Paesi è stata sfruttata dall’occidente consentendo l’arricchimento smisurato di pochi al vertice, in cambio di un via libera allo sfruttamento di miniere di oro, diamanti, petrolio, litio, uranio. In sostanza non una “win win situation” ma un rapporto a somma zero: io guadagno e tu perdi.
La narrativa occidentale vuole che la Cina stia strozzando questi Paesi soffocandoli di debiti. In realtà analizzando alcuni casi non sembra essere affatto così; di recente vi è stato il default dello Sri Lanka e nella stampa occidentale si è additata la Cina e la BRI come la causa principale di ciò. In realtà l’indebitamento dello Sri Lanka verso Pechino equivaleva solo al 10% del debito totale. Il resto era tutto in mani occidentali ed in particolare di Regno Unito ed USA.
Anche le “cure” del FMI che, è bene ricordare, risiede in Pennsylvania Avenue a Washington, a due passi dalla Casa Bianca, sono in genere depressive e lasciano zero spazio allo sviluppo.
Forse avrete notato che il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, sta compiendo numerosi viaggi in Africa proprio perché l’Amministrazione americana vuole mantenere saldo il controllo in questa parte di mondo. L’ultimo stato in ordine di tempo ad essere visitato è stato il Niger, strategico perché è uno dei pochi Paesi al mondo che possiede Uranio.
Inoltre, gli Usa hanno nel deserto una enorme base militare di Droni strategica per quella zona. Del resto gli Stati Uniti dispongono di oltre 1000 basi militari intorno al mondo (attive o attivabili in breve tempo), che usa come biglietto da visita nelle relazioni diplomatiche. La Cina ne ha 8. Avete letto bene: otto. La più grande a Djibouti.
Eppure se avete la pazienza di ascoltare le varie audizioni che il Congresso ha tenuto in questi giorni (sono un po’ lunghe, tre ore in media, ma a volte anche cinque) in materia sicurezza, difesa, commercio, vi potete rendere conto che la guerra con la Cina è già in atto. E non è che gli alleati della regione siano sempre molto lieti di ciò che gli viene suggerito di fare.
Di recente l’ex Primo Ministro Australiano, Paul Keating, ha aspramente criticato l’accordo firmato dai tre Paesi che compongono l’AUKUS (Australia, UK, U.S.) per l’acquisto di tre sottomarini a propulsione nucleare da parte della marina australiana per far fronte alla crescente minaccia cinese. Keating non solo denunciava l’enorme costo di questi sottomarini inglesi (con la stessa cifra se ne sarebbero potuti acquistare 15 di quelli tradizionali) ma si domandava quale tipo di minaccia la Cina sta ponendo verso questi tre Paesi: e la risposta a suo giudizio è: nessuna.
Certo se si considera la questione di Taiwan e delle acque del Mar Cinese (ora ribattezzato Indo Pacifico, ma che sempre di acque prospicenti alla Cina si tratta) allora il discorso cambia. Per la Cina la questione non si pone: Taiwan fa parte integrante della Cina “mainland”.
Lo hanno sempre detto e tale cosa è stata riconosciuta anche dagli Stati Uniti con l’accordo firmato tra Nixon e Mao sulla “one China policy”. Accordo tutt’ora in vigore anche alle Nazioni Unite dove Taiwan non è riconosciuta da nessun Paese e tutti riconoscono solo un solo stato: quello che fa capo a Pechino. Questo è l’ordine Internazionale. Ma poiché tale ordine è elastico, adesso che gli Stati Uniti unilateralmente stanno cambiando parere, con la solita questione della difesa della democrazia, la situazione sta diventando rovente.
Se ascoltate l’audizione tenuta alla Camera degli USA sulla “minaccia del Partito Comunista Cinese all’America” tenutasi il 28 Febbraio 2023, capirete che la previsione di una guerra con la Cina è per il 2015 o al massimo al 2017.
Con questa politica gli Stati Uniti stanno perdendo consensi anche in America Latina che è sempre stato il retro-cortile di casa propria. E la BRI ha attecchito facilmente, sempre in omaggio ad un trattamento paritario tra Paesi. Il Brasile è diventato in pochi anni un partner importantissimo arrivando a scambiare un volume di beni in un solo anno pari a quello che nel secolo scorso scambiava in un decennio.
Dunque, la vera minaccia esistenziale per gli Stati Uniti è la Cina colpevole di una crescita economica troppo imponente e provocatoria. Il che è vero, nel senso che in un trentennio non si è mai visto un Paese crescere così rapidamente. E questo ora spaventa anche se siamo stati proprio noi occidentali a favorire questa crescita: abbiamo delocalizzato in Asia per guadagnare di più e più velocemente, impoverendo e talvolta desertificando le nostre industrie. Smettendo di fare ricerca in alcuni settori, trasferendo tutto il Know how alle fabbriche cinesi.
E come i Giapponesi fecero negli anni Settanta i Cinesi sono diventati tremendamente bravi a copiare e a migliorare. Oggi a livello di costruzioni sono i migliori ed i più rapidi e non si creda che occupino solo manodopera cinese per i lavori della BRI; questa è un’altra narrativa che spesso si sente. Addirittura, si è raccontato di forza lavoro che proveniva dalle carceri cinesi e che veniva utilizzata in Africa. Molti dati dimostrano il contrario cioè che la forza cinese è pari ad un 20% di quella impiegata e la restante è locale.
Il simbolo di questa guerra dichiarata alla Cina da parte degli Stati Uniti a cui i suoi alleati dovranno consequenzialmente allinearsi e simboleggiato da TikTok. Il Ceo di TikTok America, Shou Chew, è stato messo alla graticola per cinque ore dalla commissione del Senato americano che voleva capire come TikTok spiasse gli americani ed il Governo americano.
In realtà TikTok è una società americana gestita da americani che ha il 20% di partecipazione cinese e che è completamente separata dalla Cina. In altre parole, noi, anche in Europa, non possiamo vedere contenuti cinesi come loro non possono vedere i nostri e per quanto riguarda i dati essi sono protetti alla stessa maniera di Google, Facebook o Meta se volete, Instagram.
Dunque, perché proibirne l’uso: forse perché non c’è reciprocità con la Cina e cioè You Tube e le altre piattaforme non hanno agibilità perché Pechino non autorizza? Comunque sia senza saper né leggere né scrivere in uno slancio di solidarietà con le decisioni americane anche l’UE ha deciso di proibire TikTok ad i suoi dipendenti governativi, seguita da Canada, Francia ed il 10 Marzo dal Belgio che ha obbligato i propri dipendenti federali a disinstallare la piattaforma. Noi ci accodiamo sempre un po’ in ritardo ma aspettatevi qualche cosa di simile anche per i nostri statali.
Insomma, i custodi del Diritto Internazionale possono dormire sonni tranquilli: nulla di nuovo dal fronte occidentale, pardon orientale. Tutto continuerà così per un bel po’ e tutti continueremo a pagare le conseguenze di questa strana politica a cui non farebbe male un sano bagno di realismo ed onestà intellettuale.
Vestals of International Law
In the national political debate, in the press and on talk shows, since February 24, 2022, there has been a script that is always the same. On the one hand, illustrious and less illustrious professors and journalists who firmly maintain that Russia should be condemned and possibly wiped off the face of the earth because it invades a sovereign state.
On the other hand, those who try with various arguments to point out that things are not really that clear and precise, but it is necessary to contextualize them in a more complex geopolitical framework, in order to understand how and why we have reached this point. Everything useless; the custodians of international law argue that European and American heads of government are right to line up united against the invader, and these positions are the only ones compatible with our democratic order and the only ones that can defend our values against those of oppressive dictatorships.
When these luminaries are asked how and when they think this war should end, the recipes are the most disparate; the more prestigious the interviewee the more likely the sure answer is: “with the total withdrawal of the invader from the occupied territories including the Crimea taken from Ukraine in 2014”.
And when asked again when and how it is possible to start peace talks, then with annoyance and not without having raised an eyebrow in the already frowning face, the answer is: “When Putin withdraws”; that he practically means: “he really doesn’t talk about it”. But it’s not because they want to be reticent, it’s just that it would be inconvenient to say that we have to wait for Biden’s decisions and possibly the 2024 elections.
Already because, paradoxically, those few American citizens who will decide how this war will end will be those who will go to vote for the new president of the United States in 2024.
We must therefore hope that the American “regular Joe”, who honestly doesn’t give a damn about this war, can help us end it. It suffices that the right keys are touched in the electoral campaign and voilà that perhaps Biden’s challenger could acquire moderate approval in proposing a disengagement from this expensive quagmire Ukrainian.
As in Iraq; after 20 years of a futile, bloody and costly invasion unleashed against international law (there was no UN backing) and providing false evidence of never identified weapons of mass destruction.
Today Iraq is a poor pile of rubble crossed by terrorist regurgitations of Islamic fundamentalists and which, despite possessing one of the largest oil reserves in the world, does not see even a dollar of oil revenues; already because the revenues from the export of black gold pass through the New York Fed to then be turned over to the shaky Iraqi government. But since the US has accused Iraq of misusing these funds (aid to Iran which is known to be under embargo), those funds are frozen and remain in New York. Not bad for Uncle Sam. And always in full compliance with international law.
Afghanistan is another of those countries in which International Law seems to have never lodged; you want first with the Russian invasion then with the American one; even there the result is nothing but rubble and Islamic fundamentalists have returned there too, creating a fertile broth of anti-Western culture; so much so that we are beginning to wonder again about what the next terrorist threats might be and in what form they will manifest themselves. But that’s another story.
It was always in order not to violate international law that the Americans fabricated the incident in the Gulf of Tonkin in order to be able to intervene in Vietnam with the marines and start the war which sadly, aimlessly and without objective, lasted for twenty years. But international law was safe.
Don’t even try to object to these gentlemen and ladies that the majority of European citizens are against the sine die continuation of this conflict and would like to see a greater effort towards the settlement of this war through a peace conference in which to seek a solution this widely announced disaster.
With the usual almost disgusted attitude you will be told that the political leaders are right to decide unilaterally and behind closed doors on which path should be taken. The citizen who does not think like the vestals must be educated because he ignores the codes and the Magna Carta and if he continues to think differently he can always find a place in the specially drawn up proscription list.
The beauty of this comedy, or rather it would be better to say, the ugly thing about this tragedy, is that this isn’t even the main course of this poisoned lunch. The real war has already begun, and it is the one with China into which even here we are almost unconsciously slipping. On the Chinese side, the war is fought with GDP; on the American side (and we as loyal subjects follow) with cannons. The new American defense budget for 2023 has been approved: 850 billion dollars, the highest in American history.
But what is the reason for this war with China?
Maybe the Chinese are planning an attack on the US? Or a landing in Europe like D Day, in Normandy? Are they restricting shipping lanes in the Atlantic Ocean or the Mediterranean?
Even if they wanted to, they wouldn’t have the ability. Instead, it’s about money. Simply about money. The dollar is threatened in its hegemonic position.
Of course, good heavens, even the Americans put their own, poor things. With this thing of exporting democracy, they sanction left and right and the sanctioned states don’t take it well. There are those who have resisted stoically (Cuba for over half a century), those who instead become irremediably impoverished with unimaginable suffering for the innocent populations. This use of the dollar as a “weapon of mass destruction” in recent months, also thanks to the war in Ukraine, has united a front that did not exist before: the rest of the world.
Yes, because beyond the old Europe and the United States, the rest of the world no longer likes the possibility of falling into the trap of the arbitrary decision of a country which, being hegemonic, imposes its diktats, I apologize, respect for international law, sanctioning once one country and once another.
When the Chinese Premier went to Saudi Arabia he did so by bringing concrete commercial proposals; joint cooperation in the construction of nuclear power plants, in the development of space technology, and by signing a thirty-year contract for the supply of oil at a stable price. And for the first time since the petrodollar made its appearance, this time the contract is in yuan, the Chinese currency. This is what in Anglo-Saxon terms is called a “win win situation”. Everyone wins and everyone is happy, respecting their own political, cultural and economic differences. Neither of them lectures the other on how to govern his own country: it would be an unacceptable invasion of the field.
It may be for this reason that Qin Gang, Chinese Foreign Minister, closed the diplomatic agreement of the century: the one between Saudi Arabia and Iran, opening scenarios unthinkable until recently and giving a diplomatic slap to the Biden administration whose noise is still echoes in the corridors of the White House.
This “win win” approach is the recipe that is creating the success of the BRI (Belt and Road Initiative) in Africa and South America.
To get out of the grip of poverty in which they find themselves, African states need massive investments in infrastructure. Roads, transport, electricity, schools, drinking water, agricultural development. BRI manages to supply turnkey works in reasonable times and costs, leaving something tangible in the area.
The Western contribution, leaving aside the colonial period which was also devastating, was to provide economic aid (few) in exchange for a massive exploitation of the precious resources that the continent as a whole possesses. Corruption, which is a powerful endemic brake on the development of these countries, has also been exploited by the West, allowing the immeasurable enrichment of a few at the top, in exchange for a green light for the exploitation of gold, diamond, oil, lithium, uranium mines. Basically not a “win win situation” but a zero-sum relationship: I win and you lose.
The Western narrative has it that China is choking these countries by suffocating them with debt. Actually, analyzing some cases it doesn’t seem to be like this at all; recently there was the default of Sri Lanka and in the western press China and the BRI have been singled out as the main cause of this. In reality, Sri Lanka’s indebtedness to Beijing amounted to only 10% of the total debt. The rest was all in Western hands and in particular of the United Kingdom and the USA.
Even the “cures” of the IMF which, it should be remembered, resides on Pennsylvania Avenue in Washington, a stone’s throw from the White House, are generally depressive and leave zero room for development.
You may have noticed that the US Secretary of State, Antony Blinken, is making numerous trips to Africa precisely because the US administration wants to maintain control in this part of the world.
The last state in chronological order to be visited was Niger, strategic because it is one of the few countries in the world that possesses uranium. In addition, the US has a huge military base of strategic drones in the desert for that area. After all, the United States has over 1000 military bases around the world (active or that can be activated in a short time), which it uses as a business card in diplomatic relations. China has 8. You read that right: eight. The largest in Djibouti.
Yet if you have the patience to listen to the various hearings that Congress has held in recent days (they are a bit long, three hours on average, but sometimes even five) on matters of security, defence, trade, you can realize that the war with China is already underway. And it’s not as if the allies in the region are always very happy with what they are told to do.
Recently, the former Australian Prime Minister, Paul Keating, harshly criticized the agreement signed by the three countries that make up the AUKUS (Australia, UK, U.S.) for the purchase of three nuclear-powered submarines by the Australian navy for cope with the growing Chinese threat. Keating not only denounced the enormous cost of these British submarines (with the same amount 15 of the traditional ones could have been purchased) but wondered what kind of threat China is posing towards these three countries: and in his opinion the answer is: none.
Of course, if we consider the issue of Taiwan and the waters of the China Sea (now renamed the Indo Pacific, but which are still waters facing China) then the situation changes. For China, the question does not arise: Taiwan is an integral part of “mainland” China.
They have always said so and this has also been recognized by the United States with the agreement signed between Nixon and Mao on the “one China policy”. Agreement still in force even at the United Nations where Taiwan is not recognized by any country, and all recognize only one state: the one headed by Beijing.
This is the international order. But since this order is elastic, now that the United States is unilaterally changing its mind, with the usual question of defending democracy, the situation is heating up.
If you listen to the US House hearing on the “threat of the Chinese Communist Party to America” held on February 28, 2023, you will understand that the prediction of a war with China is for 2015 or 2017 at the latest.
With this policy, the United States is also losing support in Latin America, which has always been the back yard of one’s home. And the BRI took root easily, always in homage to equal treatment between countries. In just a few years, Brazil has become a very important partner, trading a volume of goods in just one year equal to what it traded in a decade in the last century.
So the real existential threat to the United States is China guilty of too impressive and provocative economic growth. Which is true, in the sense that in thirty years we have never seen a country grow so rapidly. And this now scares even if it was, we Westerners who favored this growth: we relocated to Asia to earn more and faster, impoverishing and sometimes desertifying our industries.
Stopping research in some sectors, transferring all the know-how to Chinese factories. And as the Japanese did in the 1970s, the Chinese have become tremendously good at copying and improving. Today, in terms of construction, they are the best and fastest and it is not believed that they only employ Chinese labor for the works of the BRI; this is another narrative that is often heard. Indeed, there has been talk of a workforce that came from Chinese prisons and was used in Africa. Many data demonstrate the opposite, that is that the Chinese force is equal to 20% of that employed and the remainder is local.
The symbol of this war declared on China by the United States to which its allies will consequently have to align and symbolized by TikTok. The CEO of TikTok America, Shou Chew, was grilled for five hours by the US Senate committee who wanted to understand how TikTok was spying on Americans and the US government.
Actually, TikTok is an American company run by Americans which has 20% Chinese ownership and which is completely separate from China. In other words, we, even in Europe, cannot see Chinese content as they cannot see ours and as far as data is concerned, they are protected in the same way as Google, Facebook or Meta if you want, Instagram.
So why prohibit its use: perhaps because there is no reciprocity with China, i.e. YouTube and other platforms are not usable because Beijing does not authorize? In any case, without knowing how to read or write, in a momentum of solidarity with American decisions, the EU also decided to ban TikTok for its government employees, followed by Canada, France and on March 10th by Belgium, which forced its federal employees to uninstall the platform. We always queue up a little late but expect something similar for our state too.
In short, the custodians of International Law can sleep peacefully: nothing new from the Western Front, pardon Eastern. Everything will continue like this for quite a while and we will all continue to pay the consequences of this strange policy which a healthy bath of realism and intellectual honesty would not hurt.