A qualche giorno di distanza dall’esito delle elezioni legislative finlandesi, che hanno visto la disfatta di Sanna Marin e l’insediamento di un nuovo governo di coalizione guidato dal centrodestra di Petteri Orpo, Helsinki ha deciso di interrompere il lungo digiuno bellico, durato quasi un secolo, ed entrare a far parte dell’Alleanza Atlantica come suo trentunesimo membro.
Sebbene la Finlandia aderì nel 1994 alla Partnership for Peace della NATO, sviluppando una stretta collaborazione, scelse di non candidarsi mai come membro per ragioni di politica estera, che avrebbero poi indotto ad una riorganizzazione massiccia delle forze armate e ad una maggiore spesa militare, ma soprattutto per preservare quei rari – ormai – rapporti sussistenti con Mosca (dai circa 1300 km di frontiera, alle rotte commerciali riguardanti le forniture di gas russo, dall’esposizione sull’Artico, alle contromisure della Federazione Russa).
Dal 24 febbraio 2022, in Finlandia il sostegno all’adesione alla NATO è salito da un quarto a circa l’80%. Per comprendere l’inversione di marcia finnica, dovuta ad una modifica della percezione di rischio, occorre fare un passo indietro: le incostanti relazioni fra Russia e Finlandia, contraddistinte da eventi come la pace di Friedrikshamn, la Rivoluzione d’Ottobre, o la Guerra d’Inverno, per citarne solo alcuni, che hanno reso verosimilmente obbligata la scelta di aderire ad una alleanza difensiva, specialmente dopo l’invasione russa dell’Ucraina dello scorso anno.
La Finlandia, comprendendo l’attuale necessità di “garantire la libertà e la sicurezza dei suoi membri con mezzi politici e militari”, ha deciso di porre fine alla sua politica neutrale e non allineata, sorta durante la Guerra Fredda, che le ha comunque e sempre permesso, fino ad oggi, di mantenere relazioni con potenze occidentali ed orientali.
Questo Paese nordico, diventando un autentico attore di collective defence, corroborerà la posizione dell’Organizzazione nell’Europa nord-orientale e nel Baltico, accrescendo significativamente le partnership militari con paesi come Norvegia, Svezia o USA.
Elemento ancor più considerevole è quello rappresentato dall’esercito efficiente che verrà fornito alla Compagine Atlantica, in quanto Helsinki rappresenta uno dei pochi stati in Europa in cui vige ancora la coscrizione obbligatoria.
Posto che, da norma pattizia, l’ingresso nell’Alleanza deve essere ratificato dal Parlamento di ciascuno Stato Membro, il processo di adesione finlandese – durato un anno – ha subito una battuta d’arresto dovuta all’opposizione di Turchia ed Ungheria: l’ostruzionismo di Ankara è riconducibile all’accusa volta ai paesi scandinavi (tra cui anche la Svezia), ritenuti guest house di molteplici organismi terroristici; mentre, per ciò che concerne la Repubblica Ungherese, Orbán e la sua amministrazione si sono sempre detti preoccupati per l’estensione di oltre mille chilometri del confine alleato e per gli annessi rischi geopolitici. O forse, più verosimilmente, la posizione magiara è stata influenzata negativamente dopo l’interruzione dei fondi comunitari all’Ungheria.
Potrebbero riaffiorare amari “ricordi” che conducono all’inevitabile simmetria storica fra la crisi di Cuba del 1962, quando l’allora URSS installò vettori nucleari sul territorio cubano a circa 150 km dalle coste statunitensi, e l’odierno raddoppiamento delle basi militari NATO nel nord Europa con l’avvicinamento a poche miglia dalla penisola di Kola.
Il temuto spauracchio russo dell’allargamento della NATO ad est, nato durante il conflitto bipolare, oggi apparirebbe più realistico
Le intimidazioni del Cremlino, posteriori all’adesione finnica, intese ad adottare contromisure tattiche e strategiche rafforzando il potenziale militare a Ovest e Nordovest, progrediranno nel minare l’armonia internazionale; tuttavia ci si può fidare delle parole del Segretario Generale Jens Stoltenberg, in base alle quali gli alleati saranno più sicuri e l’alleanza sarà più forte.