Interessi economici, cooperazione politica, scambi culturali e accademici, condivisione di valori democratici. Quando si parla di legame transatlantico si fa riferimento a suddette variabili, senza però tralasciare la più sostanziale: la collettiva adesione al Patto Atlantico.
Le due chiavi di volta utili ad interpretare il legame tra gli Stati Uniti e l’Europa – rappresentate dal dualismo liberalismo-realpolitik – hanno permesso di dedurre un’assunzione di base che, sebbene mirino a fattori sistemici da un lato, e rapporti di politica interna dall’altro, il dibattito relativo alla NATO a partire dai primi anni ‘90 si è focalizzato su come questo rapporto potesse sopravvivere alla disgregazione dell’Unione Sovietica, dunque alla scomparsa della minaccia catalizzatrice.
Tuttavia, lo studio del passato è la chiave per sbloccare le porte del futuro.
All’interno delle dinamiche che hanno scandito il legame transatlantico nel XXI secolo vi era l’ambizione degli Stati Uniti di avvalersi del rapporto transatlantico come asse portante su cui ricostruire un sistema di sicurezza globale, non solo contro un ostacolo esterno rappresentato dall’URSS come accadde durante Guerra Fredda, ma anche contro una serie di minacce ibride, sorte nel secolo corrente.
Il mutamento dei compiti dell’Alleanza, da una logica bipolare ad un focus prettamente di crisis management – testimoniato dalla nascita del Consiglio di Cooperazione del 2004 ad Istanbul – rivelò, tuttavia, le fragilità di questo impegno a tuttotondo; a peggiorare lo scenario si aggiunsero dinamiche come la crisi del 2008, diatribe interalleate in materia di frontiere comuni, e da ultimo l’esplosione delle primavere arabe alla fine del 2010.
Ad esacerbare lo scenario giunse il revisionismo della Federazione Russa legato allo spazio post-sovietico (comprovato dalla guerra in Georgia del 2008), unitamente all’atteggiamento crescentemente assertivo della Cina nell’area dell’Indo-Pacifico e nel Mar Cinese Meridionale.
Le fatiche percepite dall’Alleanza durante questi anni inasprirono le ambizioni dei Paesi partner; un contesto pressoché in declino le cui narrazioni misero in discussione la solidità del legame che unisce Washington, Ottawa e i loro partner europei.
Siffatto ridimensionamento alleato, riconducibile al biennio 2008-2010, condusse alla dicotomia che contrappose il timore di fondo americano dello sdoppiamento della sicurezza euroatlantica – insieme alla tradizionale paura di essere immischiati nelle beghe degli europei -, al sentimento di inquietudine del Vecchio Continente che l’altra parte dell’Atlantico lo abbandonasse.
In una prospettiva di timore che l’Alleanza potesse diventare un peso sulle spalle dei contribuenti americani, e che gli europei approfittassero di delegare agli USA i compiti più onerosi nel mantenimento della sicurezza, le elezioni repubblicane del 2016 fecero sì che le inclinazioni di politica estera americana misero in discussione l’impegno statunitense oltreoceano – posizioni che, con la successiva amministrazione Biden mutarono.
Nel 2021 si è vissuto l’apice della frattura del legame transatlantico a seguito del ritiro statunitense – e di tutti gli altri partner ad effetto domino – dall’impegno occidentale in Afghanistan, lasciando presagire un ulteriore indebolimento dei rapporti tra USA ed Europa.
Malgrado ciò, l’invasione in Ucraina del 2022 ha permesso un rilancio dell’Alleanza, accantonando le possibilità di uno sdoppiamento nel rapporto transatlantico, come lo testimoniano la National Security Strategy e la National Defense Strategy varate nel medesimo anno.
Con l’adesione ad aprile della Finlandia, e con quella prossima – auspicata – svedese, il rafforzamento transatlantico, sebbene permangano differenze strutturali, è stato favorito dalla postura della NATO nei confronti del fronte europeo orientale; con il Summit di Madrid dello scorso anno si è difatti previsto un dispiegamento di 300.000 forze, rispetto alle 40.000 presenti, muovendo così verso una nuova postura di una difesa-offensiva, avanzata in Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia.
In definitiva, benché sia un periodo di transizione, stiamo vivendo un incrocio sostanziale di quella che è definibile come una giunzione critica per il futuro della relazione transatlantica, che, ineluttabilmente ha trovato una nuova ed inaspettata credibilità rispetto a qualche anno fa.
Il legame tra le sponde dell’Atlantico ha dimostrato di essere ancora solido, vitale e capace di proporre un approccio integrato bilanciato a minacce sistemiche, regionali ed ibride; il futuro nel breve periodo appare quantomeno roseo, lasciando all’interdipendenza tra dinamiche sistemiche e politica interna l’eventualità di esserlo anche nel lungo.