Avevano in comune una sola cosa. L’aver pagato un biglietto rispettivamente troppo costoso. Niente di più.
I cinque sventurati a caccia di emozioni stanno calamitando l’attenzione universale, mentre le migliaia di vite umane che sfidano il Mediterraneo per la banale sopravvivenza innescano quotidianamente una esplosiva indifferenza.
Mi piacerebbe sentire in proposito il commento del Ministro Piantedosi, quello la cui debordante umanità e il compassionevole spirito di solidarietà cristiana avevano portato a definire sconsiderati i migranti che esponevano al rischio della vita le famiglie che con loro affrontavano il mare.
Sarebbe interessante conoscere la proporzione tra quanto viene speso per salvare la gente dei barconi e quanto costerà la ciclopica operazione di ricerca e salvataggio nelle acque sovrastanti il relitto del Titanic. Dividendo tali importi per il numero dei soggetti interessati si saprà quanto vale la vita di ciascuno di loro, avendo modo di scoprire che – a dispetto de “A’ Livella” – non siamo uguali nemmeno dinanzi alla morte.
La tragedia del piccolo sommergibile merita rispetto, ma deve essere l’occasione per risintonizzare i nostri sentimenti. Forse è giunto il momento per partire alla volta di una missione impossibile, quella per rintracciare la nostra umanità affondata ormai da troppo tempo e il cui relitto giace a profondità irraggiungibili divorato dalla ruggine dell’insensibilità.
Sarà qualcosa di avventuroso e costantemente accompagnato dall’insopportabile pesante pericolo di sentirsi in colpa e magari – ma è privilegio di pochi – di farsi venir la voglia di fare qualcosa di diverso dall’auspicare il “blocco navale” tante volte urlato da chi tenacemente si dichiara italiana, donna e madre.
Gli italiani, quelli veri, ricordano i loro nonni a solcare l’Atlantico come topi e con i topi in terza classe e hanno ben chiara quale sia la spinta propulsiva della disperazione e della fame.
Le donne e le madri, quelle vere, non ammettono sofferenza e vedono in ogni persona in difficoltà un loro figlio cui dedicare ogni sforzo e ogni sacrificio.
L’inesorabile straziante countdown dell’ossigeno rimasto all’interno dell’OceanGate lo si ripeta ogni volta che la civile Europa consente ai barconi di inabissarsi con le stive zeppe di disperati. Si tenga il fiato sospeso anche allora. Non c’è bisogno di ore. Quei poveracci muoiono nella stessa maniera in un paio di minuti.
Si vada sulla spiaggia di Cutro. Si rovisti nella sabbia. Si stringano forte quei granelli e li si lasci fuoriuscire piano piano dal pugno in cui sono chiusi. Mentre quella artigianale clessidra segna i pochi istanti in cui l’acqua toglie l’aria sottocoperta, si provi a guardare l’orizzonte pensando a come lo vedevano pieno di sogni le vittime dei tanti e troppi naufragi.