Cosa si può fare, cosa si deve fare, quando chi ha il compito di garantire l’obiettività scientifica tutto fa, fuorché garantirla? Stiamo parlando dell’IPCC, lo Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite preposto alla validazione della scienza relativa ai cambiamenti climatici.
Vale la pena leggere i suoi rapporti di valutazione del cambiamento climatico. Sono piccoli capolavori di diplomazia linguistica, ma pessimi rapporti scientifici.
L’ultimo, il sesto, presentato nel marzo 2023, con molto eleganza infatti “riconosce l’interdipendenza tra clima, ecosistemi e biodiversità e società umane; il valore delle diverse forme di conoscenza; e gli stretti legami tra adattamento ai cambiamenti climatici, mitigazione, salute degli ecosistemi, benessere umano e sviluppo sostenibile, e riflette la crescente diversità degli attori coinvolti nell’azione per il clima”.
Afferma inoltre che “Sulla base della comprensione scientifica, i risultati chiave possono essere formulati come dichiarazioni di fatto o associati a un livello di fiducia valutato utilizzando il linguaggio calibrato dell’IPCC4”.
Per iniziare a comprendere la diplomazia dell’IPCC, linguistica e non solo, serve la nota 4 in cui viene descritto cosa sia il “linguaggio calibrato dell’IPCC”. Si spiega che ciascun risultato del rapporto si basa sulla valutazione delle evidenze e dell’accordo relativo a esse e vengono utilizzati cinque qualificatori per esprimere il livello di confidenza: molto basso, basso, medio, alto e molto alto; infine per indicare la valutazione di probabilità di un esito o di un risultato vengono usati i seguenti termini: virtualmente certo (probabilità (99–100)%), molto verosimile (probabilità (90–100)%), verosimile (probabilità (66–100)%), più verosimile che non (probabilità (>50–100)%), tanto verosimile quanto non verosimile (probabilità (33–66)%), inverosimile (probabilità (0–33)%), molto inverosimile (probabilità (0–10)%), eccezionalmente inverosimile (probabilità (0–1)%).
Quando appropriato, vengono utilizzati anche termini aggiuntivi (estremamente verosimile, (probabilità (95–100)%); ed estremamente improbabile (probabilità (0–5)%).
Linguaggio che genera interessanti conseguenze. Il gruppo di lavoro 1 dell’IPCC ha concluso nel suo quinto rapporto di valutazione (IPCC 2013a) che: “Ciascuno degli ultimi tre decenni è stato successivamente più caldo sulla superficie terrestre rispetto a qualsiasi decennio precedente dal 1850 […] Nell’emisfero settentrionale, il 1983-2012 è stato verosimilmente il periodo di 30 anni più caldo degli ultimi 1400 anni” .
Viene inoltre affermato che: “È estremamente verosimile che l’influenza umana sia stata la causa dominante del riscaldamento osservato sin dalla metà del XX secolo […]. È estremamente verosimile che più della metà dell’aumento osservato della temperatura superficiale media globale dal 1951 al 2010 sia stato causato dall’aumento antropogenico delle concentrazioni di gas serra, insieme ad altri forzanti antropogenici. La migliore stima del contributo indotto dall’uomo al riscaldamento è simile al riscaldamento osservato in questo periodo”. (IPCC Working Group 1’s Summary for Policymakers, 2013, p15) (IPCC 2013b).
Breve commento. Ipotizzando che chi legge sappia tutto del “linguaggio calibrato dell’IPCC”, cosa capisce nel leggere che è stato verosimilmente il periodo di 30 anni più caldo degli ultimi 1400 anni? Poco o nulla. Data la definizione di verosimilmente, la probabilità dell’evento descritto è pari al 65 per cento, oppure è un evento certo perché la sua probabilità è pari al 100 per cento? L’intervallo è troppo vasto per dare senso all’affermazione. In ogni caso, invece di 100 per cento è più corretto dire che la probabilità è pari a uno perché gli esiti favorevoli sono pari agli eventi possibili.
Ancora più deleterio è dichiarare che sia “estremamente verosimile che l’influenza umana sia stata la causa dominante del riscaldamento osservato sin dalla metà del XX secolo […], o che sia estremamente verosimile che più della metà dell’aumento osservato della temperatura superficiale media globale dal 1951 al 2010 sia stato causato dall’aumento antropogenico delle concentrazioni di gas serra insieme ad altri forzanti antropogenici.” Dunque la probabilità è compresa fra il 95 e il 100 per cento? In questo caso perché non dire che si è certi della cosa. Diplomazia IPCC.
Sono anni che l’IPCC si esprime in questi modi. Fra le conclusioni del 4° rapporto di valutazione (AR4) dell’IPCC (2007) si legge: “La maggior parte dell’aumento osservato delle temperature medie globali dalla metà del XX secolo è molto verosimilmente dovuto all’aumento osservato delle concentrazioni di gas serra di origine antropica” (IPCC Working Group 1st Summary for Policymakers, 2007, p10) (IPCC 2007).Nel 3° rapporto di valutazione (2001) è scritto: “…è verosimile che la maggior parte del riscaldamento osservato negli ultimi 50 anni sia dovuto all’aumento delle concentrazioni di gas serra.” (IPCC Working Group 1st Summary for Policymakers, 2001, p10) (Houghton et al. 2001).
Verosimilmente e verosimile non sono termini scientifici. In italiano hanno certamente anche il significato di “probabile”, ma la probabilità è altro. La definizione “classica” di probabilità recita: “la probabilità di un evento è il rapporto tra il numero dei casi favorevoli e il numero dei casi possibili”.Il che implica che servono dati sperimentali, molti e robusti.
Lasciamo per il momento l’IPCC e i suoi rapporti aperti sul tavolo e diamo uno sguardo all’articolo “How much has the Sun influenced Northern Hemisphere temperature trends? An ongoing debate.” di Ronan Connolly et al 2021, RAA (Research in Astronomy and Astrophysics) 021 Vol. 21 No. 6, 131 (https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1674-4527/21/6/131).
Tradotto in italiano: “Quanto il Sole ha influenzato l’andamento delle temperature nell’emisfero settentrionale? Un dibattito aperto”. Un magnifico lavoro di un team di 23 scienziati. Una montagna di dati, schemi, diagrammi. 68 pagine di cui 8 che elencano 543 referenze, da leggere con attenzione, se volete informarvi.
Nella loro introduzione, gli autori sottolineano la coerenza, nel tempo, dell’IPCC nel ribadire la sua certezza della responsabilità dell’uomo e delle sue attività nel provocare cambiamenti climatici.
Vero, dicono, che nel periodo in osservazione, 2003-2020, sono stati pubblicati vari articoli che sono giunti alla stessa conclusione. Però, ci sono state anche molte recensioni e articoli che sono giunti alla conclusione opposta, cioè che gran parte del riscaldamento globale, dalla metà del 20° secolo e prima ancora, potrebbe essere spiegato in termini di variabilità della radiazione solare. Nel frattempo, altre recensioni e articoli hanno espresso indecisione, oppure hanno sostenuto effetti significativi, ma sottili, della variabilità solare sul cambiamento climatico.
Perché, si chiedono, queste opinioni scientifiche dissenzienti, presenti e ben documentate in letteratura, non si riflettono nelle varie dichiarazioni dell’IPCC? Perché, anche se sono disponibili in letteratura 16 diversi insiemi di dati e relative stime sulla radiazione solare, alcune molto simili tra loro, altre che portano a conclusioni diverse, l’ICPP ne prende in considerazione solo quattro? Magari le quattro che fanno notizia…
A pensare male si fa peccato, però è estremamente verosimile che l’IPCC abbia semplicemente ignorato i set di dati che non danno supporto alle teorie antropogeniche del cambiamento climatico. Sembra proprio che i gruppi di lavoro siano stati attivamente incoraggiati a considerare solo dati “comodi”.
Un approccio non compatibile sia con l’obiettività scientifica, sia con i risultati già pubblicati.
In altre parole, un approccio non accettabile che ha consentito all’ICCP di chiudere, prima ancora di aprilo, il dibattito innescato dalla domanda: “Quanto il Sole ha influenzato l’andamento delle temperature nell’emisfero settentrionale?” rispondendo, in modo estremamente verosimile, anzi certo: “Per nulla”.
Eppure il lavoro svolto dagli autori della domanda è di spessore. Dalla letteratura hanno raccolto i sedici diversi insiemi di dati, già menzionati, sulla variazione della radiazione solare globale a partire almeno dal XIX secolo. Hanno poi valutato cinque metodi, ampiamente indipendenti, per stimare le tendenze della temperatura dell’emisfero settentrionale utilizzando:
1) solo stazioni meteorologiche rurali;
2) tutte le stazioni disponibili, urbane o rurali (approccio standard);
3) solo le temperature superficiali del mare;
4) larghezza degli anelli di crescita degli alberi come proxy di temperatura;
5) registrazioni di estensione dei ghiacciai come proxy di temperatura.
Da notare che le stime standard che utilizzano stazioni urbane e rurali hanno mostrato un riscaldamento molto maggiore negli ultimi decenni rispetto alle altre stime, il che suggerisce che i preconcetti sul ruolo dell’urbanizzazione possono ancora generare errori sistematici nell’interpretazione degli attuali set di dati sulla temperatura globale, nonostante le conclusioni di altri studi.
Tuttavia, tutte e cinque le stime confermano che oggi è più caldo rispetto alla fine del XIX secolo, vale a dire che c’è stato un certo “riscaldamento globale” dal XIX secolo.
Però le diverse stime della radiazione solare suggeriscono di tutto, dall’assenza di ruolo per il Sole negli ultimi decenni (il che implica che il recente riscaldamento globale è principalmente causato dall’uomo), all’essere il responsabile del recente riscaldamento globale in seguito ai cambiamenti nella sua attività (dunque il recente riscaldamento globale è per lo più naturale).
Studi precedenti (inclusi i rapporti IPCC più recenti) avevano concluso che il recente riscaldamento globale è principalmente causato dall’uomo perché non erano riusciti a considerare adeguatamente tutte le stime relative alla radiazione solare e/o ad affrontare in modo soddisfacente le incertezze ancora associate all’andamento della temperatura nell’emisfero settentrionale.
Comunque sia, è un dato di fatto che le opinioni scientifiche dissenzienti non si riflettono nelle varie dichiarazioni dell’IPCC. Perché?
Perché il cambiamento climatico e la variabilità solare sono concetti complessi, sfaccettati? Molti degli studi sulle relazioni Sole-clima hanno fornito risultati ambigui e suscettibili di interpretazione.
O perché non sono graditi i risultati scientifici che potrebbero potenzialmente interferire con gli obiettivi politici?
A tale proposito, il fisico Michael Lockwood, sostiene che “Il campo delle relazioni Sole-clima […] negli ultimi anni è stato corrotto da influenze politiche e finanziarie indesiderate, poiché gli scettici del cambiamento climatico hanno colto i presunti effetti solari come scusa per l’inazione sul riscaldamento antropogenico”.
Ad ogni modo, un fattore molto rilevante è il fatto che fra gli obiettivi primari dei rapporti dell’IPCC c’è quello di volere “parlare con una sola voce per la scienza del clima”. Questa spinta a presentare un unico “consenso scientifico” ha conferito all’IPCC una notevole “reputazione internazionale come autorità epistemica in materia di politica climatica”.
Tuttavia, molti ricercatori hanno notato che ciò è stato ottenuto sopprimendo le opinioni dissenzienti su qualsiasi questione in cui vi sia ancora disaccordo scientifico. Il dibattito Sole-clima, le controversie sul ruolo dell’uomo rispetto al ruolo del Sole nelle tendenze climatiche osservate e previste è una di esse. Opportuno ripeterlo: le dichiarazioni di “altamente verosimile consenso” dell’IPCC sono possibili solo se le opinioni scientifiche dissenzienti vengono soppresse.
Di conseguenza, nei rapporti dell’IPCC spesso manca una conoscenza accurata delle problematiche su cui c’è dissenso scientifico in corso e del perché. L’idea stessa che la scienza esprima al meglio la sua autorità attraverso dichiarazioni di consenso è in contrasto con l’impresa scientifica. Il consenso è per i libri di testo; la vera scienza dipende per il suo progresso da continue sfide allo stato attuale della conoscenza, sempre imperfetta.
La scienza fornirebbe un valore migliore alla politica se articolasse il più ampio insieme di interpretazioni, opzioni e prospettive plausibili, immaginate dai migliori esperti, piuttosto che forzare la convergenza verso una voce presumibilmente unificata” (Sarewitz 2011).
Visto che sono chiamati in causa, i decisori politici che si affidano ai rapporti dell’IPCC dovrebbero essere preoccupati, perché, come è stato notato: “La strategia del consenso priva i responsabili politici di una visione completa della pluralità di opinioni scientifiche all’interno e tra le varie discipline scientifiche che studiano il problema del clima”.
I membri della comunità scientifica dovrebbero essere preoccupati, perché questa limitazione alla libertà dell’indagine scientifica può ostacolare il progresso scientifico nel migliorare la comprensione dei problemi complessi.
Il dibattito Sole-clima presenta numerosi problemi irrisolti, ma è possibile individuare i punti su cui vi è un accordo generale.
Come notava Francis Bacon nel XVII secolo, “se cominciamo con certezze, finiremo con i dubbi; ma se cominciamo con i dubbi, e siamo pazienti in essi, finiremo con le certezze” e ancora: “Il dominio dell’uomo consiste solo nella conoscenza: l’uomo tanto può quanto sa; nessuna forza può spezzare la catena delle cause naturali; la natura infatti non si vince se non ubbidendole.” (Pensieri e conclusioni sulla interpretazione della natura o sulla scienza operativa, 1607-1609.
Mi è stato fatto notare che sono avaro di suggerimenti su come risolvere le questioni che presento. Anche in questo caso non mi esprimo, però presento le idee del Prof. Fabio Pistella, già Direttore generale dell’ENEA, presidente dell’Agenzia per la Ricerca Europea, poi del CNR, poi del CNIPA e altro ancora, in merito al rispetto del principio del confronto dialogante e costruttivo su fatti, interpretazioni e previsioni, con indicazioni di sintesi sugli interventi da adottare.
Il punto chiave, afferma il Prof. Pistella, “è porsi le domande “giuste” che in sostanza vuol dire strutturare analiticamente le questioni che si vogliono affrontare”, presentando poi una possibile lista di domande:
1. Va compreso non genericamente se il clima stia cambiando, ma più esattamente se stia cambiando in modo “anomalo” cioè senza precedenti quanto entità e celerità dei cambiamenti (ovviamente non va confusa la meteorologia con la climatologia).
2. Per stabilire l’anomalia va capito preliminarmente qual è la normalità e quindi come funzionano le dinamiche climatiche del nostro pianeta.
3. Si presentano a questo punto due filoni di ulteriore indagine:
a. Conseguenze delle anomalie sul pianeta e sulle attività umane.
b. Responsabilità antropiche sull’insorgenza delle anomalie e in particolare quale sia il meccanismo di impatto, con particolare attenzione alle dinamiche temporali per capire le urgenze.
4. Che comportamenti adottare in conseguenza delle risposte date alle domande precedenti. Anche qui emergono due filoni:
a. Come ridurre, fino ad azzerarlo, l’impatto antropico (tra gli addetti ai lavori Mitigation).
b. Come contenere le conseguenze delle dinamiche climatiche negative in atto qualunque ne sia la causa (tra gli addetti ai lavori Remediation).
Signore e Signori, esperti certi ed eccellentissimi dell’IPCC, non siamo negazionisti, non crediamo in alcuna teoria, siamo semplici scienziati e se avete voglia di partecipare al dibattito, invece di emettere verdetti, noi ci siamo, curiosi e con tanti dubbi, pronti e disponibili…