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TE LO LEGGO IO
25 agosto 2023. Data da ricordare perché entra in vigore la prima fase delle nuove e rivoluzionarie regole digitali dell’Unione Europea. Presentate dalla Commissione europea al Parlamento e al Consiglio dell’Unione europea a dicembre 2020, DSA (Digital Services Act) e DMA (Digital Markets Act) sono le normative, fondate sul rispetto dei diritti fondamentali in tutta l’UE, nate per regolamentare in maniera ancor più definita lo spazio digitale con l’obiettivo strategico di renderlo più sicuro e aperto.
Il DSA, in italiano normativa sui servizi digitali, è un dispositivo dell’Unione Europea per modernizzare la regolamentazione sul commercio elettronico in relazione ai contenuti illegali, alla pubblicità trasparente e alla disinformazione, con l’obiettivo di armonizzare le relative diverse legislazioni nazionali nell’Unione Europea.
Il DMA, dal canto suo, nasce per contrastare gli abusi di posizione dominante prima che si verifichi la violazione. Il DMA è uno strumento normativo ex ante: regola e definisce condotte e obblighi per le imprese prima che avvenga l’abuso. Integra la normativa antitrust che agisce ex post, ovvero sanziondo una volta avvenuta la violazione anticoncorrenziale.
Il Digital Services Act è progettato per garantire la sicurezza degli utenti online e per fermare la diffusione di contenuti dannosi, illegali o che violano i termini di servizio di una piattaforma. Mira a proteggere i diritti fondamentali degli europei, come la privacy e la libertà di parola.
Il DSA fa parte di una serie di atti, incentrati sulla tecnologia, elaborati dalle 27 nazioni dell’Unione Europea, da tempo leader globale nel regolamentare i giganti della tecnologia. Inutile dire che questi ultimi non sono per nulla contenti.
Google, Facebook, TikTok e altre grandi aziende tecnologiche che operano in Europa stanno faticando e sudando le proverbiali sette camicie per rendere presentabili i loro siti. Sono mesi che i preparativi, a volte frenetici, fervono in praticamente qualsiasi azienda che gestisca un sito web.
Fra gli utenti c’è chi si è lamentato perché non più in grado di accedere al proprio conto (account) sui social media o ad alcuni siti statunitensi. C’è però chi ha salutato i cambiamenti come una pietra miliare per la privacy su Internet, in Europa e nel mondo.
Un esempio da seguire perché ai cittadini e residenti dell’Unione Europea è stato sancito il diritto di sapere quali dati vengono raccolti su di loro e perché, per quanto tempo verranno conservati e come verranno trattati.
Inoltre hanno il diritto di chiedere e ottenere la cancellazione dei propri dati personali. Hanno la possibilità di interloquire con i decisori umani che stanno dietro gli algoritmi utilizzati.
I gestori dei servizi online devono ottenere il consenso attivo degli utenti prima di raccoglierne i dati e sono obbligati a segnalare alle autorità eventuali violazioni della sicurezza dei dati entro 72 ore dal fatto.
Sono regole che valgono per tutte le aziende o organizzazioni che offrono servizi sul Web. Non importa di che nazionalità. Ovvio che le aziende USA siano alquanto adirate e non fanno che ripetere che loro innovano, creano nuovi mercati, volano alto, mentre in Europa non sanno fare altro che mettere paletti e tarpare le ali.
Opportuno ricordare loro che l’obiettivo finale dichiarato del DMA è quello di stimolare l’innovazione e la concorrenza dei mercati digitali.
Le grandi aziende americane non digeriscono che, in virtù del DSA, i singoli governi dell’Unione Europea possono, per non conformità, includendo il mancato corretto e legale trattamento dei dati, la mancanza del responsabile della protezione dei dati e per violazioni della loro sicurezza, multarle fino al 6 percento delle loro entrate globali.
La questione deve essere comunque presa molto sul serio visti i reclami già presentati nei confronti di Google, Facebook, Instagram e WhatsApp con motivazioni simili: costringono gli utenti che vogliono usare i loro servizi ad accettare i loro standard sulla privacy. Chissà che non cambino atteggiamento, visto che, almeno per ora, non sembrano intenzionati ad apportare le modiche, richieste dal DSA europeo, per garantire la privacy online e la protezione dei dati.
Altri hanno scelto la drastica soluzione di chiudere: è il caso di Unroll.me e Klout.
I media statunitensi più accessibili –compresi i notiziari appartenenti a Tronc Inc., come il Los Angeles Times e il Chicago Tribune– hanno bloccato i loro utenti europei. Non è dato sapere se e quando tali siti web saranno nuovamente accessibili.
Altri ancora hanno adottato una strategia di disturbo nei confronti degli utenti: invio frequente e continuo di messaggi di posta elettronica con richiesta di firmare consensi e liberatorie su come archiviare e proteggere i loro dati.
Alla data del 25 agosto 2023, sono 19 le piattaforme che si stanno agitando.
Otto sono social media: Facebook, TikTok, X (ex Twitter o meglio Fu Twitter), YouTube, Instagram, LinkedIn, Pinterest e Snapchat.
Cinque sono piazze di mercato online: Amazon e Booking.com in USA, Alibaba AliExpress in Cina e Zalando in Germania.
Sono poi interessati gli app store Google Play e l’App Store di Apple, così come Google Search e il motore di ricerca Bing di Microsoft.
Google Maps e Wikipedia completano l’elenco.
La UE ha preparato questa lista in base al criterio del numero di utenti. Le piattaforme con 45 milioni o più utenti -ovvero il 10% della popolazione dell’UE– devono adottare il livello di regolamentazione del DSA più stringente. La lista è in fase di revisione e aggiornamento. Strano che non siano presenti eBay, Airbnb, Netflix e anche PornHub che di utenti ne ha una valangata…
Interessante notare che, citando l’incertezza sulle nuove regole, Meta Platforms, leggi Zuckerberg, ha ritardato il lancio nell’UE di Threads, che si ripromette di rivaleggiare con X, leggi Musk.
Insomma, qualsiasi azienda che fornisce servizi digitali agli europei deve, meglio prima che poi, conformarsi alla DSA. Le aziende più piccole, tuttavia, dovranno soddisfare meno obblighi rispetto alle piattaforme più grandi e avranno sei mesi aggiuntivi prima di adeguarsi.
Tutti devono mettere a punto nuovi modi per consentire agli utenti europei di segnalare contenuti online illegali e prodotti sospetti, sapendo che le aziende hanno l’obbligo di rimuoverli in modo rapido e trasparente.
A titolo di esempio, opportuno citare Amazon che ha aperto un nuovo canale proprio per segnalazioni di prodotti sospetti e/o illegali e sta fornendo maggiori informazioni sui soggetti terze parti.
TikTok, secondo l’app della società madre cinese ByteDance, offre agli utenti una “ulteriore possibilità di segnalazione” per contenuti, inclusa la pubblicità, che ritengono illegali: incitamento all’odio e molestie, al suicidio, all’autolesionismo, disinformazione, frodi e truffe.
Un “nuovo team dedicato di moderatori e specialisti legali” determinerà se i contenuti segnalati violano le politiche della piattaforma e/o se sono illegali, quindi da rimuovere.
Nella fattispecie, il motivo della rimozione verrà spiegato sia a chi ha pubblicato il materiale, sia a chi lo ha segnalato e le decisioni potranno essere impugnate.
Gli utenti di TikTok possono ora disattivare i sistemi che consigliano video in base a ciò che si è visualizzato in precedenza, sistemi accusati di spingere gli utenti a post sempre più estremi.
Nel caso vengano disattivati i consigli personalizzati, i feed di TikTok suggeriranno, agli utenti europei, video in base a ciò che è “popolare” nel loro Paese e nel mondo.
Infine TikTok non permette più agli utenti di età compresa tra 13 e 17 anni di ricevere annunci personalizzati “in base alle loro attività dentro o fuori TikTok”.
In questo obbedisce alle regole del DSA che vietano di prendere di mira, con annunci pubblicitari su misura, le categorie di persone vulnerabili, compresi i bambini.
Stessa cosa fa Snapchat, che non consentirà ai suoi inserzionisti di utilizzare strumenti di personalizzazione e ottimizzazione nel caso fossero coinvolti adolescenti nell’UE e in Gran Bretagna.
I mugugni di pochi non coprono le voci positive dei tanti che considerano il DSA un cambiamento positivo per i consumatori.
C’è anche un altro motivo per cui l’introduzione del DSA genera preoccupazione e un non leggero senso di angoscia alle aziende tecnologiche.
Il fatto è che il DSA verifica la presenza, nelle aziende tecnologiche, dei processi finalizzati alla riduzione del danno che i loro sistemi di raccomandazione, basati su algoritmi, possono provocare agli utenti.
In sostanza, la Commissione Europea, braccio esecutivo dell’UE e principale garante del digitale, può aprire i cassetti per vedere come funzionano i diversi algoritmi, come funzionano i sistemi di pubblicità digitale, che potrebbero essere utilizzati per profilare gli utenti per disinformarli in modo opportuno, o come funzionano i sistemi di live streaming, che potrebbero essere utilizzati per diffondere istantaneamente contenuti terroristici.
Le piattaforme più grandi dovranno identificare e valutare i potenziali rischi sistemici, per poi assumere le appropriate decisioni per ridurli. Queste valutazioni del rischio, previste entro la fine del mese, saranno poi sottoposte ad audit indipendenti, strumento principale per verificare la conformità al DSA.
Il processo però non è del tutto chiaro, visto l’insufficiente dettaglio del suo funzionamento, fornito dal piano dell’Unione europea.
Il DSA, secondo gli osservatori, avrà un impatto globale.
Wikipedia sta già modificando alcune sue politiche e i termini di servizio per fornire maggiori informazioni su “utenti e contenuti problematici”.
Modifiche non limitate all’Europa, come ha affermato in una nota la Wikimedia Foundation: “Le regole e i processi che governano i progetti Wikimedia in tutto il mondo, compresi eventuali cambiamenti in risposta al DSA, sono quanto di più universale possibile. Ciò significa che le modifiche ai nostri Termini di utilizzo e alle Politiche saranno implementate a livello globale”
Mettiamoci comodi e vediamo che succede…