Nel film “Oppenheimer” vengono inquadrate, varie volte, una boccia di vetro, di quelle per i pesciolini rossi, e un bicchiere a stelo, da vino bianco.
Nelle intenzioni del regista, il volume interno della prima rappresenta la quantità di uranio, quello della seconda quella di plutonio, necessarie per la bomba.
Mano a mano che il progetto Manhattan va avanti, che diventano disponibili i materiali critici per la bomba, vengono aggiunte delle perle di vetro. Prima una, poi un paio, poi una manciata, sapendo che solo a boccia e bicchiere pieni c’è la possibilità di avere la bomba atomica, capace di definire l’esito della II guerra mondiale e dell’umanità tutta.
Metafora efficace e immediata quella delle perle di vetro.
Però due terzi di quelle perle, sia nella boccia che nel bicchiere, dovrebbero essere nere. Anzi, dovrebbero essere nere striate di rosso. Ecco a voi la storia, non breve e mai raccontata, del perché.
Partiamo dal 1939, quando viene scoperta la fissione nucleare, la capacità di spaccare l’atomo più grande esistente in natura, l’uranio, rilasciando così milioni di volte più energia di qualsiasi reazione chimica.
Nel 1940 viene sintetizzato in laboratorio un nuovo elemento, numero atomico 94, ancora più pesante dell’uranio. Viene battezzato plutonio. Il suo scopritore, Glenn Seaborg, come simbolo suggerisce scherzosamente “Pu”, pronuncia inglese “Poo”, ovvero “cacca”. Altamente appiccicaticcia, visto che l’etichetta è rimasta attaccata.
Il plutonio, come l’uranio, è fissile e rilascia quantità altrettanto grandi di energia. Lo si può produrre in un reattore nucleare durante il processo di fissione dell’uranio. Da notare che l’uranio è l’unica risorsa energetica che produce più combustibile di quanto ne bruci.
Gli scienziati del Progetto Manhattan, confinati a Los Alamos, stato del New Mexico, amena località sulle pendici di un’antica caldera vulcanica, ricoperta da fitti boschi di conifere (anche se in tanti pensano che sia una località desertica…), hanno quindi due materiali, due possibilità per realizzare la bomba atomica: l’uranio o il plutonio.
Hanno a disposizione risorse praticamente infinite da parte del governo americano che ha deciso di giocarsi il tutto per tutto per vincere, non solo la II guerra mondiale, ma anche la pace che ne sarebbe seguita.
Scelgono di fare entrambe le cose. Ben sapendo che nessuna delle due strade sarebbe stata facile.
Da qui i due contenitori per le biglie.
Per realizzare una bomba all’uranio devono separare il suo componente naturale più raro, l’U-235, da migliaia di tonnellate di minerale. Qualcosa di simile a riempire un sacco di sabbia un granello alla volta, con una pinzetta.
Per la bomba al plutonio, serve il plutonio. Per produrre il plutonio a scala industriale si devono prima inventare i reattori nucleari. Poi li si deve costruire il più grandi possibile per bruciare tanto combustibile, l’uranio. Quindi occorre inventare un processo chimico per separare il plutonio dagli altri rifiuti presenti nel combustibile usato, altamente radioattivi.
Più o meno la stessa tipologia di lavoro già vista. Riempire un sacco di sabbia un granello alla volta, usando delle pinzette. Solo che in questo caso i granelli sono radioattivi.
In una valle isolata del Tennessee, chiamata Oak Ridge, vengono requisiti circa 239 chilometri quadrati di terreno. 1000 famiglie devono traslocare. Si costruisce, dal nulla, in un paio di anni, il Clinton Engineer Works per arricchire l’uranio e per la produzione e separazione del plutonio. Uno stabilimento che comprende, oltre all’area coperta all’epoca più grande del mondo (178mila 062 metri quadri), un impianto per la separazione elettromagnetica dell’isotopo 235 dell’uranio, chiedendo in prestito al tesoro americano 14mila e 700 tonnellate di argento, perché tutto il rame serve per lo sforzo bellico. C’è anche un reattore a grafite raffreddato ad aria, costruito dal febbraio al novembre 1943.
Oak Ridge non basta. Su un altopiano, molto isolato, nello stato di Washington, negli ultimi mesi del 1942 inizia le sue attività l’Hanford Engineer Works. Uno stabilimento che interessa 1618 chilometri quadrati dato in gestione alla DuPont Company. Vengono costruiti tre giganteschi reattori e un impianto di separazione chimica, impiegando oltre 45mila lavoratori. Il processo di fabbricazione del plutonio, basato sulla trasmutazione, è quello sviluppato nel 1942 da Enrico fermi e il suo team a Chicago.
Verso la metà del 1945 c’è abbastanza uranio, circa 60 chilogrammi, per la prima bomba atomica ed è la prima usata in guerra sganciandola su Hiroshima il 6 agosto 1945.
Anche di plutonio ce n’è a sufficienza. Vengono assemblate tre bombe. Una da testare nel deserto del Nuovo Messico il 16 luglio 1945 e due da sganciare sul Giappone, circa 6 chili di plutonio ciascuna. Una sola di esse viene fatta esplodere su Nagasaki il 9 agosto1945 alle 11:02 ora locale.
40mila persone muoiono all’istante. Nei primi mesi del 1946 si aggiungono altre 30mila persone al computo dei deceduti. Nei cinque anni successivi più di 100mila persone muoiono per le conseguenze dell’esplosione.
Per una bomba a fissione servono 60 chili di uranio arricchito oppure 6 chili di plutonio. Il plutonio è più efficiente e ne serve molto meno per creare la “massa critica” esplosiva.
Il fattore 10 di differenza fra uranio e plutonio spiega la scelta della boccia per i pesci e del bicchiere da vino.
Non spiega perché due terzi delle perle di vetro, in entrambi i contenitori, avrebbero dovuto essere nere con striature rosse. Per spiegarlo occorre tenere ben presente che nulla si sarebbe potuto fare senza il minerale di uranio.
Già, ma da dove veniva?
Los Alamos, Oak Ridge, Hanford, sono luoghi entrati nella storia. Manca all’elenco Shinkolobwe dove vennero estratti i 2/3 dell’uranio utilizzato nel progetto Manhattan.
Nel 1939, poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, Albert Einstein scrive una lettera al presidente Franklin D. Roosevelt, in cui afferma: “L’elemento uranio potrebbe essere trasformato in una nuova e importante fonte di energia nell’immediato futuro… È concepibile… che si potranno così costruire bombe estremamente potenti di questo tipo”.
La lettera di Einstein menziona quattro fonti conosciute di uranio: gli Stati Uniti, che “hanno solo minerali di uranio molto poveri in quantità moderate”; il Canada e l’ex Cecoslovacchia, dove “c’è del buon minerale”; e il Congo: “la più importante fonte di uranio”.
Einstein citava la miniera di Shinkolobwe, Congo, Africa.
Uno scherzo della natura. La miniera di uranio forse più ricca del mondo, dove l’uranio è presente al 2 per cento del minerale, mentre nelle altre miniere la percentuale varia dallo 0,25 per cento (Colorado plateau, USA) allo 0,5 per cento (Eldorado mine, Canada settentrionale).
In altre parole, 100 chilogrammi di minerale di uranio congolese possono produrre circa 1 chilogrammo di uranio raffinato. La stessa quantità di minerale proveniente dagli altri luoghi fornirebbe solo 2 o 3 grammi.
Il Congo, i congolesi sono stati la componente “sine qua non” del successo del progetto Manhattan.
1885. Re Leopoldo II del Belgio rivendica, a titolo personale, la proprietà di un enorme territorio, attraversato dal fiume più profondo del mondo, proprio al centro dell’Africa. Chiama la colonia Stato Libero del Congo.
Libero, ma non per i suoi circa 10-20 milioni di abitanti, il cui obiettivo primario di vita è sopravvivere alla violenza e al terrore coloniale.
In tutto lo Stato Libero del Congo, convertito in una serie di piantagioni di cotone e gomma, i soldati del re amputano gli avambracci dei congolesi che non rispettano le quote di raccolto. Il sangue scorre.
Le fruste degli schiavisti portoghesi, le Chicote, con attaccati degli uncini in ferro per stracciare le carni di chi non obbedisce, schioccano nell’aria. Altro sangue.
Le politiche di re Leopoldo provocano carestie e malattie. Milioni di persone perdono l’unica cosa che era loro rimasta: la vita.
Nel 1908, l’indegno sfruttamento della colonia genera forti pressioni diplomatiche sul governo belga con la richiesta di assumerne ufficialmente il controllo. Lo “Stato libero del Congo” diventa “Congo belga”.
Il settore privato sostituisce il re come estrattore delle risorse naturali del Congo, ma la violenza rimane. I funzionari belgi permettono ai missionari cristiani di iniziare a educare i bambini. Solo i bambini. I congolesi adulti alfabetizzati sono un pericolo. Possono rovesciare la colonia. La scuola oltre la quinta elementare è illegale. Una delle rare eccezioni: studiare per diventare prete.
Il sistema coloniale vuole lavoratori, possibilmente al limite della schiavitù.
La più grande azienda del Congo Belga è la compagnia mineraria Union Minière du Haut Katanga, con in concessione un’area di quasi 20mila 729 chilometri quadrati che comprende una miniera ricca di uranio: Shinkolobwe.
Intorno alla miniera la Cité minière, la citta mineraria. In realtà un complesso recintato, molto simile a un campo di prigionia, per i lavoratori e le loro famiglie. Ogni famiglia vive in 4 metri quadri e riceve razioni di cibo settimanali.
Il minerale di uranio, descritto da uno di loro come un blocco “grande come un maiale; nero e oro; sembra coperto da una schiuma o muschio verde” viene selezionato manualmente dai minatori. Lo chiamano “pietre fiammeggianti”.
Il direttore dell’Union Minière du Haut Katanga è Edgar Sengier, un belga pallido con baffi ben tagliati. Ha visto la Germania invadere il Belgio durante la prima guerra mondiale. L’invasione della Polonia da parte di Hitler il primo settembre 1939 lo preoccupa non poco. Si domanda se il Belgio, o anche le colonie africane, saranno i prossimi.
4 mesi prima, maggio 1939, il chimico britannico Sir Henry Thomas Tizard e lo scienziato premio Nobel Frédéric Joliot-Curie, genero di Marie Curie, gli avevano chiesto la disponibilità a fornire l’uranio per il loro progetto di creare una bomba a fissione.
Sengier si dichiara disponibile, ma il progetto naufraga a seguito dell’invasione tedesca della Francia nel maggio 1940.
Nel mese di settembre, sempre 1940, Sengier, che nel frattempo ha trasferito tutte le attività commerciali della Union Minière a New York City, dispone l’invio in USA di metà dello stock di uranio disponibile in Africa, circa 1050 tonnellate.
I lavoratori congolesi caricano il minerale su un treno per Port Francqui (ora Ilebo), poi in barca lungo i fiumi Kasai e Congo fino alla capitale Leopoldville (ora Kinshasa). Nel porto di Matadi, l’uranio inizia la traversata dell’Oceano Atlantico, evita gli U-Boot tedeschi, fino a un magazzino a Staten Island. A Shinkolobwe rimangono circa 3300 tonnellate di uranio.
Nel maggio 1940 Hitler invade anche il Belgio. Il governo belga ripara a Londra. Il Terzo Reich insedia a Bruxelles un governo filo-nazista. Il governatore generale del Congo Belga, tuttavia, dichiara che la colonia avrebbe sostenuto gli alleati. Così, durante la guerra, molti congolesi tornano nelle stesse foreste dove ai loro genitori e nonni erano state amputate le mani, sempre con l’ordine di raccogliere la gomma, questa volta per centinaia di migliaia di pneumatici militari. Con l’intensificarsi della guerra, i minatori congolesi scavano minerali, come il rame, in turni di 24 ore su 24.
Nelle “città minerarie” di Sengier, come altrove, i congolesi non possono circolare liberamente senza permesso. I lavoratori devono essere a casa entro le 21:00, per non subire dure conseguenze. La paga è ridicola. Eppure, nel 1941, sebbene i “nativi” fossero esclusi dai sindacati, i lavoratori neri in diverse miniere di Sengier iniziano a organizzarsi per salari più alti e migliori condizioni di lavoro.
7 dicembre 1941, Pearl Harbor Day. Giorno cruciale non solo per il corso della guerra, ma anche per la vita dei minatori congolesi.
I dipendenti neri di Sengier organizzano un massiccio sciopero minerario in tutto il Katanga. A Elisabethville, 500 lavoratori si rifiutano di iniziare il turno. I minatori che hanno appena finito di lavorare si radunano davanti agli uffici della direzione, chiedono un aumento. Vincono un accordo da definire il giorno successivo.
La mattina dopo, i minatori si presentano allo stadio di calcio locale per negoziare con i responsabili della compagnia di Sengier e il governatore coloniale del Katanga. Ci sono fra 800 e 2.000 scioperanti. L’azienda offre un accordo verbale. Quando un lavoratore congolese di nome Léonard Mpoyi chiede conferma scritta dell’aumento salariale, il governatore coloniale insiste affinché la folla torni a casa.
“Mi rifiuto”, risponde Mpoyi, “devi darci qualche prova che l’azienda ha accettato di aumentare i nostri stipendi.”
“Vi ho già chiesto di andare in ufficio per verificare”, risponde il governatore, Amour Marron. Poi tira fuori una pistola dalla tasca e spara a Mpoyi, a bruciapelo.
I soldati aprono il fuoco “da tutte le direzioni”. I minatori si riversano fuori dallo stadio. Muoiono circa 70 persone, un centinaio sono i feriti. Ancora sangue.
La mattina dopo, l’altoparlante aziendale chiama tutti al lavoro. Come se nulla fosse accaduto.
Circa un anno dopo Pearl Harbor, il presidente Roosevelt assegna al generale Leslie Groves la guida del Progetto Manhattan. Nel settembre 1942, Groves e il suo vice, il colonnello Kenneth Nichols, ragionano su come procurarsi l’uranio necessario e indispensabile per il progetto.
Nichols parla a Groves di Sengier e del suo uranio.
La mattina dopo, Nichols incontra Sengier nel suo ufficio di New York e gli chiede se la Union Minière può fornire l’uranio e quando.
La risposa di Sengier è storia: “Può averlo subito, è qui a New York, un migliaio di tonnellate. Aspettavo la sua visita”.
Meno di un mese dopo, Groves assume J. Robert Oppenheimer per dirigere gli scienziati che devono costruire la bomba.
Nel corso dei due anni successivi, il Congo diventa un focolaio di spie americane per garantire il flusso di uranio. Il generale Groves insiste affinché gli Stati Uniti acquisiscano il controllo completo di Shinkolobwe e raccomanda al presidente Roosevelt di riaprire la miniera. Chiusa perché la Union Minière ha più di trent’anni di ordini coperti da quanto estratto.
Il Corpo del Genio dell’Esercito degli Stati Uniti d’America viene inviato in Congo per riavviare le operazioni minerarie. La posizione della miniera viene cancellata dalle mappe.
Grazie agli scioperi, i salari dei lavoratori sono aumentati dal 30 al 50 per cento. Tuttavia, ad alcuni il lavoro in miniera viene imposto con la forza. Le chicote non hanno smesso di schioccare.
Dal 1938 al 1944 gli incidenti mortali sul lavoro quasi raddoppiano. Per evitare le quote della gomma, le persone fuggono dalle zone rurali verso città come Elisabethville, la cui popolazione aumenta da 26mila persone nel 1940 a 65mila nel 1945.
Una volta negli Stati Uniti, le pietre fiammeggianti vengono raffinate a Oak Ridge, nel Tennessee. Quanto prodotto viene spedito a Los Alamos, nel New Mexico. Oppenheimer e il suo team impiegano quasi tre anni per mettere a punto le bombe.
I tedeschi si arrendono nel maggio 1945 e fu chiaro che non fossero vicini al completamento della bomba nucleare.
La guerra nel Pacifico infuria ancora. Per chiuderla gli Stati Uniti sganciano, nell’agosto del 1945, “Little Boy” su Hiroshima e “Fat Man” su Nagasaki, piene di uranio congolese.
Piene della pelle nera e del sangue dei congolesi.
Senza il Congo, ottenere il minerale necessario sarebbe stato impossibile.
Senza i lavoratori neri del Congo, terrorizzati, sottomessi, costretti a estrarre minerale essenziale alla guerra 24 ore al giorno, il risultato del progetto Manhattan, probabilmente il più importante della storia umana, sarebbe stato molto diverso.
Ora che sapete, non dimenticate perché le perle di vetro devono essere nere come la pelle dei congolesi e striate di rosso come il dolore e il sangue da loro versato.
Non dimentichiamo e sentiamoci in debito.
Epilogo
Nel 1946, Sengier divenne il primo non americano a ricevere la medaglia al merito del Presidente, “per l’esecuzione di un atto eccezionalmente meritorio o coraggioso” che suggellò la vittoria degli Alleati.
Nelle foto della cerimonia si può vedere dell’altro: un uomo con molto da nascondere.
I servizi di spionaggio hanno rivelato che la società di Sengier vendette ai nazisti circa 750 tonnellate di uranio congolese.
Forse aveva anche da nascondere le sue Cités minières.
Nel 1948, un minerale radioattivo fu chiamato in onore di Sengier, sengierite.
I congolesi abbatterono il sistema coloniale e la Repubblica Democratica del Congo ottenne l’indipendenza dal Belgio nel 1960.
L’importanza di Shinkolobwe dopo la guerra diminuì poiché i metodi di produzione di armi nucleari si spostarono su altri processi di arricchimento e su altre fonti di uranio.
La miniera fu chiusa all’inizio degli anni 1960 a causa di problemi di sicurezza e della tumultuosa situazione politica.
L’area mineraria fu ufficialmente chiusa e sigillata nel 1964. Tuttavia, a causa della mancanza di un controllo efficace sul sito durante gli anni successivi di disordini politici e conflitti nella regione, persistettero l’estrazione non autorizzata e il contrabbando di uranio.
Il sito minerario di Shinkolobwe è stato designato come area pericolosa a causa della presenza di materiali radioattivi. Sono stati compiuti sforzi per risanare e mettere in sicurezza il sito per prevenire l’estrazione illegale e mitigare i rischi ambientali e sanitari associati ai materiali radioattivi.
Il significato storico della miniera e le questioni relative alla contaminazione radioattiva del sito hanno portato a richiedere sforzi internazionali per affrontare la situazione e garantire la corretta gestione dell’area.
NdA
L’autore ha attinto a piene mani da quanto raccontato da Ngofeen Mputubwele in “The Dark History Oppenheimer Didn’t Show”, Wired, Backchannel, Aug. 21, 2023 e dal testo “’Oppenheimer’ and all those marbles”, pubblicato da Jeremy Whitlock, Senior Technical Advisor alla IAEA (International Atomic Energy Agency), su Linkedin il 4 agosto 2023.
A loro vanno i miei ringraziamenti più sinceri.
A mia giustificazione, con scarsa modestia, cito quanto attribuito a Pablo Picasso: “L’artista crea, il genio copia…”