Il titolo di questo articolo è l’esatta citazione del pezzo de L’Unità del 27 giugno 1971, con cui gli italiani vennero a conoscenza dell’opera letteraria di questo antisemita fucilatore di Partigiani, il cosiddetto “MANIFESTO DELLA MORTE”. Ma andiamo alla cronaca recente…Paola Berardino, incidentalmente moglie del ministro Piantedosi, è il Prefetto di Grosseto. Grazie a lei, la ridente località toscana ha il dubbio primato di essere il primo capoluogo di provincia a dedicare una strada a Giorgio Amirante.
D’altronde la città è legata da tanti anni alla figura del mite Giorgino, autore del tristo manifesto. Come spesso accade, Almirante sparò querele in ogni dove per nascondere la viltà del suo gesto, ma la Giustizia dimostrò incontrovertibilmente la verità e la paternità di questo scritto.
Di seguito riportiamo copia del testo:
«PREFETTURA DI GROSSETO
UFFICIO DI P. S. IN PAGANICO
COMUNICATO
Si riproduce testo del manifesto lanciato agli sbandati a seguito del decreto del 10 aprile.
“Alle ore 24 del 25 maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. Entro le ore 24 del 25 maggio gli sbandati che si presenteranno isolatamente consegnando le armi di cui sono eventualmente in possesso non saranno sottoposti a procedimenti penali e nessuna sanzione sarà presa a loro carico secondo quanto è previsto dal decreto del 18 Aprile. I gruppi di sbandati qualunque ne sia il numero dovranno inviare presso i comandi militari di Polizia Italiani e Tedeschi un proprio incaricato per prendere accordi per la presentazione dell’intero gruppo e per la consegna delle armi. Anche gli appartenenti a questi gruppi non saranno sottoposti ad alcun processo penale e sanzioni. Gli sbandati e gli appartenenti alle bande dovranno presentarsi a tutti i posti militari e di Polizia Italiani e Germanici entro le ore 24 del 25 maggio. Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia.”
p. il Ministro Mezzasoma – Capo Gabinetto
GIORGIO ALMIRANTE
Dalla Prefettura 17 maggio 1944 – XXII»
Questa prosa soave apparve una mattina di primavera tra la Val di Cecina, le pendici dell’ Amiata e i paesi sopra Grosseto dove campeggiavano allegramente dei suonatori tedeschi, come piace chiamarli al Presidente del Senato, o truppe di occupazione naziste.
Il manifesto era l’effetto delle disposizioni di legge volute da Mussolini e Graziani e scatenava rastrellamenti feroci ed un’indiscriminata caccia all’uomo, in una terra già insanguinata dalle stragi. Tanto per fare un esempio, tra il 13 e il 14 giugno nella sola maremma furono ammazzati ottantatré minatori nella sola Niccioleta (frazione Massa Marittima). Il manifesto che quel tragico ultimatum sunteggiava non era firmato da un comando militare della Rsi o da un presidio delle SS. Era firmato proprio dal nostro Giorgio, allora capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma, ministro della Cultura Popolare che curava la Propaganda della Repubblica Sociale.
Senza andare a scavare nel passato di questo allegro brigante, che dal 1938 al 1942 fu segretario del comitato di redazione della rivista antisemita e razzista La difesa della razza, che pubblicò vergogne del calibro de “il Manifesto della razza” nel 1938 e con cui in nostro caro Giorgio collaborò con articoli fin dal primo numero. Pensate che ad esempio, proprio il 5 maggio 1942 il caro Almy scriveva sulla quella stessa rivista perle di saggezza del tipo:
«Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d’una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue.»
Ma va tutto bene, Via Almirante si farà e sfocerà in Via Berlinguer, all’incrocio con Via della Pacificazione Nazionale. Insomma, come sempre nel nostro amato Bel Paese, tutto finisce a tarallucci e vino.