Giulia Cecchettin è morta e tra qualche giorno forse ce ne saremo dimenticati. Il picco acuto della sensibilità collettiva al problema dei femminicidi è destinato ad essere inesorabilmente spazzato via dall’indifferenza e dal cinismo, la cui cronicità li rende inestirpabili in un Paese alla deriva morale come l’Italia.
La drammaticità di certi eventi diventa rapidamente bieca statistica, per alcuni ancor prima che l’ematoma dei sentimenti venga riassorbito.
Mentre non ci si capacita del clima di violenza che caratterizza le nostre giornate e si è costretti a constatare che in fatto di azioni cruente riusciamo a far impallidire Quentin Tarantino, fortunatamente un segnale positivo arriva da una voce istituzionale che sbaraglia le nostre preoccupazioni. Non le solite suggestioni dalle quali ci siamo fatti travolgere emotivamente, ma considerazioni in punta di diritto e numeri inconfutabili.
A parlare è stato il Prefetto di Padova, quello cui compete il coordinamento dell’ordine e della sicurezza pubblica in quella Provincia, la stessa dove abitavano i protagonisti della truce vicenda e in cui questa si è svolta.
E’ stato proprio il dottor Francesco Messina, tra l’altro già direttore del Servizio Centrale Operativo (SCO) e poi di Criminalpol, a intervenire per fermare gli italiani che poco sanno di leggi e ancor meno di aritmetica e che, in ragione di tali lacune culturali, si disperano immotivatamente per la poca tutela riservata a donne di ogni età vittime di brutali aggressioni.
Mi rammarico di non esser stato presente nel capoluogo patavino all’incontro tenutosi in collaborazione con l’Università cittadina il 22 novembre e dedicato al superamento della violenza di genere. Fortunatamente la dotta allocuzione del Prefetto è stata ripresa e giustamente distribuita nell’universo multimediale fino divenire “virale”. Io stesso ho ricevuto, da più parti, diversi esemplari del medesimo video, tutti rigorosamente accompagnati dalla dizione “Inoltrato molte volte” con cui WhatsApp etichetta i file la cui diffusione ha raggiunto livelli “top”.
Le parole dell’autorevole uomo dello Stato sono state illuminanti. “I femminicidi in Italia sono 40. Gli omicidi di donne sono 105, ma il femminicidio è l’omicidio di una donna per motivi di genere. E i femminicidi sono 40” ha tuonato il dottor Messina.
Per consentire anche ai più ignoranti di comprendere il fondamento di tale cifra, il Prefetto ha tenuto a precisare – quasi fosse la spiegazione di un teorema alla lavagna (l’ambiente universitario è sempre condizionante…) – “Ricordiamo bene la differenza e quella che è l’indicazione di cos’è un femminicidio, e la Bibbia in questo senso è la Convenzione di Istanbul. E i femminicidi in Italia, purtroppo anche quello di Giulia, sono 40. E sono in diminuzione rispetto all’anno scorso, che sono stati 51.”
Dopo aver rasserenato il pubblico che si è subito convinto che le cose vanno meglio che nel 2022, Messina ha continuato praticamente esortando la gente a non intavolare discussioni se non se ne conoscono le basi. “L’emersione è importante, ma ci vuole competenza a trattare il fenomeno. Massima attenzione ci vuole, a valutare se stiamo andando nella strada giusta. Questo è il tema, Massima attenzione alla definizione tecnica del reato”.
Sono state probabilmente le parole del Prefetto a determinare un calo di partecipazione a cortei e manifestazioni organizzati in questi giorni. Molte persone, infatti, hanno preferito tirar fuori volumi di diritto penale (il mio “Antolisei” purtroppo è datato…) e studiare per non fare brutte figure in future conversazioni sul tema. Perché non conta il sangue che rimane sull’asfalto o l’atrocità dell’assassinio, non ci si deve chiedere il perché della beluina ferocia, ma – come ha detto il dottor Messina – occorre la “massima attenzione alla definizione tecnica del reato”.
Ci auguriamo tutti che il Ministro per l’Istruzione faccia tesoro delle parole del Prefetto e al posto delle auspicate ore di lezione di educazione sentimentale e di sensibilizzazione al “rispetto”, introduca nelle scuole il giusto spazio didattico per l’apprendimento della “definizione tecnica del reato”.
La mia educazione – mi rendo conto – è deficitaria. Sono convinto che anche se il femminicidio fosse uno soltanto, sarebbe già troppo. E’ più forte di me.
Sono persino erroneamente convinto che prender foglio e matita e far di calcolo non aiuti ad avvicinare i cittadini alle istituzioni in un momento in cui la fiducia è polverizzata. E, non lo si dica a nessuno, mi auguro che le future generazioni sbaglino nelle etichette da appiccicare alle fattispecie di reato, ma si astengano dal commetterne.