È l’inizio di Luglio del 1945 e a Schio, nei pressi di Vicenza, ex partigiani e agenti della Polizia ausiliaria sterminano 39 uomini e 15 donne detenuti nel carcere mandamentale della città. Sono ritenuti colpevoli di simpatizzare per l’ormai decaduto regime fascista.
E’ l’inizio di Novembre del 2023 e a Fossò, nei pressi di Venezia, Giulia Cecchettin viene brutalmente aggredita e accoltellata dall’ex fidanzato, in un parcheggio a pochi metri da casa. Ferita gravemente, morirà dissanguata, poco dopo, senza sapere quale sia la sua colpa.
Questi episodi, distinti nelle loro epoche ma tragicamente connessi nella brutalità dei loro atti, riecheggiano con intensità con le recenti celebrazioni del 25 novembre. La loro eco sottolinea una verità inquietante: la violenza, nelle sue diverse manifestazioni, persiste nel tessuto della storia e nelle trame delle esistenze umane, lasciando un’impronta indelebile che attraversa generazioni.
Secondo la ricerca in sociologia e psicologia sociale, episodi di violenza come quelli descritti, hanno radici comuni in dinamiche di potere, controllo e in una certa deindividuazione che si verifica nei gruppi. Tali eventi, spesso, sono caratterizzati da un’intensa copertura mediatica, che tuttavia tende a svanire rapidamente così come l’impatto sulle coscienze individuali e collettive che pare non essere sufficientemente profondo e duraturo.
La ricerca ha mostrato che la modalità con cui una società metabolizza e ricorda atti di violenza è cruciale per la sua salute collettiva e per la prevenzione di futuri episodi. Nel caso dell’eccidio di Schio, come nella violenza contro le donne, vi è spesso una tendenza iniziale a “dimenticare” o minimizzare la gravità degli eventi, soprattutto quando questi sfidano le narrazioni esistenti o implicano figure percepite positivamente dalla società.
Dal punto di vista della psicologia sociale, il modo in cui le persone “metabolizzano” eventi traumatici come questi, dipende da vari fattori, tra cui l’identificazione con le vittime, la percezione di giustizia e la disponibilità di supporto comunitario e terapeutico. Gli studi dimostrano che la resilienza collettiva e la capacità di superare tali traumi sono potenziate quando vi è un riconoscimento pubblico degli eventi, un’adeguata responsabilizzazione degli autori e un forte supporto alle vittime.
La commemorazione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne, serve proprio a contrastare questa tendenza. Attraverso la memoria collettiva e la consapevolezza pubblica, si cerca di mantenere viva l’attenzione su questi temi, enfatizzando l’importanza di riconoscere e affrontare la violenza in tutte le sue forme.
In questo contesto, l’attualizzazione del ricordo dell’eccidio di Schio e la lotta contro la violenza sulle donne diventano esempi di come la società possa affrontare e trasformare la memoria di atti violenti in un impegno attivo per la giustizia e il cambiamento. Ciò implica una riflessione continua sulle dinamiche di potere, sul ruolo dei media nella narrazione degli eventi e sull’importanza dell’educazione e della sensibilizzazione pubblica per prevenire futuri atti di violenza.
L’eco delle grida delle vittime continua a risuonare nell’aria che respiriamo. Sono come sommessi richiami che, nonostante la loro persistenza, faticano a penetrare in profondità nelle coscienze collettive. Queste voci, intrise di dolore e disperazione, sono simboli potenti di una battaglia ancora in corso: una lotta per la giustizia, la consapevolezza e il cambiamento.
La commemorazione di eventi tragici e la lotta contro ogni forma di violenza devono diventare non solo un atto di memoria, ma anche un impegno costante per ascoltare queste “voci”. È nostro dovere far sì che questi richiami diventino parte integrante della nostra consapevolezza collettiva, spingendoci a un’azione concreta e sostenuta.
In questo modo potremo forse trasformare il dolore delle vittime in un catalizzatore per un cambiamento positivo, facendo in modo che queste grida non siano state lanciate invano, ma diventino un potente promemoria della nostra responsabilità collettiva nei confronti della giustizia e dell’umanità.