L’espressione correttezza politica è un termine che designa una linea di opinione, un orientamento ideologico e un atteggiamento sociale con lo scopo inteso soprattutto nel rifuggire l’offesa o lo svantaggio verso determinate categorie di persone all’interno di una società. Il concetto viene più spesso reso in italiano con l’aggettivo sostantivato politicamente corretto (in inglese politically correct).
“Questa parola, buonismo, è diventata una specie di scudo contro qualsiasi pensiero ragionevole, contro qualsiasi riflessione in grado di andare oltre il raglio della rabbia e la superficialità del commento. [… ] Aboliamo questa parola. Qui non c’entra la bontà e non c’entra neanche il politicamente corretto, espressione abusata dagli stessi che usano la parola “buonista” come sinonimo di una politica ipocrita che proclama i buoni sentimenti ma poi nel quotidiano fa pagare agli altri il prezzo della propria correttezza e si mantiene nel privilegio. Nulla è più rigoroso e dignitoso della correttezza invece”. (Roberto Saviano)
E’ mia intenzione in questo breve articolo offrire alcuni elementi chiarificatori sulla tendenza della diffusione nel dibattito pubblico del mondo occidentale, a partire dagli Stati Uniti, delle espressioni politically correct e political correctness nella seconda metà degli anni ottanta che intendevano significare e denunciare insofferenza e dissenso verso l’ortodossia ferrea che si era affermata riguardo al linguaggio e ai comportamenti sociali da parte delle classi colte. In sostanza l’attuale realtà fluida e in continuo mutamento è interpretata dalla più recente ideologia del politically correct come la nuova religione civile della società globale. Un tale cambiamento è avvenuto nel corso degli ultimi due decenni, è coinciso con la crisi dei grandi sistemi politici di matrice ideologica e si è esteso dal linguaggio alla determinazione di un tipo di orientamento del pensiero occidentale. E quell’ideale di redenzione che intende rappresentare si è ampliato e radicalizzato indicando come ostacolo da abbattere non solo il capitalismo, ma la civiltà occidentale in sé e per sé, il suo modello di vita, la sua cultura, le sue tradizioni.
Ecco come ha definito il “politicamente corretto” Eugenio Capozzi, ordinario di storia contemporanea dell’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa: Il politicamente corretto è l’espressione retorico precettistica del neo- progressismo, cioè l’ultima delle ideologie, che possiamo anche chiamare, come l’ha definito Mathieu Bock-Coté, “utopia diversitaria”, “culto dell’altro”. È un’ideologia simile a quelle ottocentesche e novecentesche. Essa si afferma con il tramonto di fascismo e nazismo e con la crisi del modello comunista sovietico, su cui si innestano i valori e le idee portate dai baby-boomers. Il neo-progressismo non si fonda su premesse politiche ed economiche ma su un obiettivo culturale, cambiare la cultura delle società occidentali, perché strutturalmente imperniata sulla discriminazione, sulla disuguaglianza e sull’imperialismo.
Il suo obiettivo è sradicare questa malapianta che albergherebbe nella nostra cultura. Il tutto per tornare ad una condizione di naturale armonia, per riguadagnare l’Eden. Tale armonia non si basa però su un principio forte di definizione razionale della natura umana, ma su un totale relativismo. Tutte le idee, tutte le culture, tutti gli stili di vita sono equivalenti. È una ribellione relativistica contro la storia occidentale, vissuta come violenza e stupro ai danni delle diversità. Voglio fare un paio di esempi su tale atteggiamento da parte delle Autorità pubbliche o delle Istituzioni dell’applicazione pratica di atti per la protezione preventiva contro possibili contenuti offensivi per qualcuno di differente cultura o religione della nostra che, a mio avviso, rischiano di diventare grotteschi. La copertura dei nudi maschili e femminili nei Musei capitolini in occasione della visita ufficiale in Italia del presidente iraniano Hassan Rouhani, per rispetto all’interpretazione integralista della religione islamica sostenuta dal regime politico al potere in quel paese. Le riproduzioni di quadri di Egon Schiele censurate nella Metropolitana di Londra perché si riteneva che la nudità esplicita, sia pure di un’opera d’arte, avrebbe potuto essere considerata offensiva da qualcuno in base alla mentalità di molti abitanti musulmani della capitale britannica. Non si ripristina, in questo modo, una pratica scomparsa in Europa dall’epoca della Controriforma, in ossequio ai costumi di una cultura non occidentale? Il “politicamente corretto”, in quanto nuova religione civile, impone un credo indiscutibile e indiscusso con una serie di dogmi di cui i principali quattro sono: il relativismo culturale secondo il quale le differenti culture e le diversità religiose devono essere considerate tutte allo stesso piano, la corrispondenza tra desideri e diritti che considera l’essere umano libero di perseguire qualsiasi tipo di desiderio senza incappare in alcun tipo di censura. Poi ancora, che non esiste la centralità dell’uomo rispetto all’ambiente perché il neo-progressismo considera l’umanità solamente un elemento del generale equilibrio naturale, e infine che c’è una ferrea coincidenza tra identità e autodeterminazione tanto da poter sintetizzare quest’affermazione con l’espressione “voglio dunque sono”. Mi ha colpito la lettura di ciò che scrive Giuseppe Reguzzoni, insegnante e scrittore, nell’articolo “Per la nuova religione non è vero ciò che è vero, ma ciò che si riesce a far apparire tale”, di cui mi limito a riportarne integralmente un brano efficace: “Nel politicamente Corretto tutto ciò che marca la differenza tra comunità e individui, finanche tra i due sessi, è percepito e indicato come un ostacolo imbarazzante. (…) La laicità radicale, o laicismo negativo, mira finanche ad annullare i segni storici della presenza delle religioni in Occidente (dunque della religione cristiana) sostituendovi altri segni in linea con la propria visione del mondo. Alle comunità religiose è riconosciuto, al massimo, lo status di enti privati, senza alcuna pertinenza diretta con la realtà statuale. È quanto non ha mancato di constatare, e denunciare, papa Giovanni Paolo II lungo tutto il proprio pontificato: «Nell’ambito sociale si sta diffondendo anche una mentalità ispirata dal laicismo, ideologia che porta gradualmente, in modo più o meno consapevole, alla restrizione della libertà religiosa fino a promuovere il disprezzo o l’ignoranza dell’ambito religioso, relegando la fede alla sfera privata e opponendosi alla sua espressione pubblica. Il laicismo non è un elemento di neutralità che apre spazi di libertà a tutti: è un’ideologia che s’impone attraverso la politica» (Ai presuli della Conferenza episcopale della Spagna, in visita Ad limina Apostolorum, 24 gennaio 2005)” (…) Nell’ultimo periodo l’esplosione di alcune grandi questioni come la crisi economica, la crescente insicurezza e l’immigrazione stanno mettendo progressivamente in crisi il politicamente corretto che non riesce più ad avere una presa salda sull’opinione pubblica nelle società occidentali. Chissà se esisteranno delle alternative di carattere politico e culturale a quella che, nel suo recente libro Politicamente corretto (Marsilio Editori), Capozzi definisce un’ideologia? Forse sì. Alcuni ipotizzano che le generazioni, cresciute sotto il regime culturale del politicamente corretto, hanno ormai maturato una sorta d’impermeabilità all’influenza conformista di questa ideologia e sono diventate depositarie di una sorta di scetticismo di fondo verso la retorica del neo-progressismo. Speriamo, però, che alla domanda giusta di reagire al politicamente corretto, non scaturisca la risposta sbagliata di un eccessivo sovranismo.