La Treccani on line definisce influencer: “Personaggio di successo, popolare nei social network e in generale molto seguìto dai media, che è in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico”
Chiara Ferragni, nota influencer, non ha bisogno di presentazioni; se qualcuno ancora non la conosceva in questi giorni le cronache hanno parlato di lei più che abbondantemente.
Non è intenzione qui entrare nelle vicende che l’hanno coinvolta perché saranno oggetto di controversie giudiziarie di non poco conto con effetti economici rilevanti da qualsiasi parte li si voglia vedere.
Gli influencer sono noti perché sono seguìti da un numero, più o meno grande, di follower che con i loro “like” determinano il loro successo. Inoltre le idee, i consigli, le parole degli influencer guidano le scelte, nei più disparati campi, dei follower.
Questi influencer hanno un grande potere sui follower che è direttamente proporzionale ai loro profitti, intesi in termini di visualizzazioni, di contratti ed altro.
Ne consegue che i follower pendono dalle labbra dei loro idoli i quali non sempre “predicano” in positivo e sempre ne hanno un ritorno economico per cui sulla bontà dei loro messaggi viene da porsi qualche dubbio. Questo senza voler criminalizzare nessuno. Alcuni giovani influencer sono stati impiegati in spot televisivi per lanciare messaggi ai loro coetanei i quali seguono il mondo dei social in modo a volte ossessivo. Lo prendono, come un vecchio detto, per oro colato o, per i credenti, come le parole dei Vangeli.
Ogni tanto circola su whatsapp uno scritto che recita: “non ci sarebbero gli influencer se non vi fossero i deficinter”. Potrà essere esagerato ma la cieca fiducia in ciò che circola nei social deve far riflettere. Le notizie vanno verificate, confrontate, non rilanciate all’infinito sinché divengono false verità. L’attendibilità di una notizia non deriva dal numero degli inoltri ma dalla verifica dell’origine dello scritto e dei suoi contenuti.
I social ed affini sono affollati da persone che si sentono in compagnia ma che, di fatto, sono sole perché non parlano, e molto spesso neanche conoscono fisicamente, i loro interlocutori. Si tratta di solitudine mascherata da compagnia, compagnia con una folla di sconosciuti.
E veniamo alla triste, reale e vera solitudine. La notizia che il 6 gennaio, ad Ancona, è stato rinvenuto il corpo di un uomo di 72 anni. L’uomo, secondo quanto riportato dai media, è mummificato ed il decesso dovrebbe risalire all’estate del 2018. Il fatto si potrebbe definire in tanti modi: avvilente, mesto, sconfortante, demoralizzante e tanto altro.
In un mondo collegato in tempo reale accade che una persona rimanga dimenticata per anni. Quanti siano con esattezza non ha una particolare importanza, anche uno sarebbe troppo. Ciò che sconvolge è la domanda: come può essere avvenuto?
La stampa dice che il fratello, con il quale aveva scarsi rapporti, ha dato l’allarme poiché l’uomo non apriva la porta. In oltre cinque anni fratello, condòmini, commercianti, non si sono posti domande? La posta non ha intasato la cassetta delle lettere?
Siamo tutti così indifferenti al mondo che ci circonda ma così attenti a porre del like?
Quanta amarezza e tristezza genera una simile solitudine in un mondo sempre iper collegato. Sarebbe bene riflettere e pensare più al vicino, all’intorno reale che non ai social che, sicuramente, non bussano alla nostra porta per chiederci: come stai?