Quando la storia offre delle coincidenze occorre coglierle al volo. Tra l’altro è questo il suo valore.
La democrazia nacque ufficialmente nel V secolo a.C. dopo la guerra del Peloponneso (431 – 404 a.C.) che ha visto Atene, a capo della Lega delio-attica, e Sparta, alla testa della Lega peloponnesiaca, combattersi per affermare la propria egemonia sull’Ellade. La guerra iniziò col blocco navale, operato dagli ateniesi, del commercio del porto di Megara, fiorente città commerciale alleata di Sparta. E si concluse con la fine del predominio marittimo di Atene.
Col discorso tenuto agli Ateniesi in onore dei caduti del primo anno della guerra (430 a.C.), Pericle – politico, oratore e militare ateniese – nel tessere una delle più celebri idealizzazioni del concetto di democrazia, ne suggellò l’importanza accanto alle altre due principali forme di governo: la monarchia (governo di uno) e l’aristocrazia-oligarchia (governo di pochi).
Narra lo storico Tucidide (Storia della guerra del Peloponneso, II Libro, V sec. a.C.) che in quell’occasione Pericle disse, pressappoco, così:
“Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà chiamato a servire lo Stato.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana. Un cittadino ateniese non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato di rispettare le leggi. E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile. Tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicare la politica. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà. Ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così”.
Lo scrittore Camilleri, rivolgendosi ai giovani, ha in più occasioni evidenziato, sia, l’invito di Pericle alla moralizzazione della politica, per cui un cittadino non deve dedicarsi alla politica per risolvere le proprie questioni, sia, la riflessione dello stratega ateniese sull’accoglienza dello straniero, molto attuale a proposito di nuove migrazioni.
Dopo Pericle la democrazia fu, nel tempo, considerata, ora, una cattiva (Aristotele, La Politica, IV sec. a.C.), ora, una buona forma di governo (Polibio, Storie, II sec. a.C.).
Platone (La Repubblica, IV sec. a.C.) ritiene la democrazia seconda alla tirannia nella scala dei valori negativi: la considera il governo dei poveri contro i ricchi e come tale corrotto, in quanto non rappresenta la totalità dei cittadini.
Nel Medioevo la democrazia, intesa quale volontà sovrana del popolo, diventa un’arma nella lotta dei Comuni contro l’Impero.
Qualche anno più tardi, il fondatore della moderna scienza politica, Niccolò Machiavelli, (Il Principe, 1513-1514) riduce la tripartizione greca delle forme di governo (democrazia-monarchia-aristocrazia) in una bipartizione che vede, da un lato, il principato (la monarchia), dall’altro, la repubblica (democrazia o aristocrazia).
Hobbes (Il Leviatano, 1651), il primo teorico dell’assolutismo, afferma che il potere del monarca è libero da qualsiasi vincolo, compresa la volontà dei cittadini.
Per Spinoza (Il Trattato politico, 1676) il potere assoluto diventa facilmente tirannia: nega i diritti e la libertà e porta al disordine.
Sia Hobbes che Spinoza sostengono che la democrazia ha più difetti che virtù. E tra i difetti elencano: l’incompetenza delle assemblee, la demagogia, i partiti che ostacolano la formazione della volontà collettiva, la corruzione e le clientele che i capipopolo devono soddisfare per essere rieletti.
Marx (Critica del Programma di Gotha, 1875) considera la democrazia uno strumento in mano alla borghesia per sottomettere la classe operaia, in quanto non colpisce la proprietà privata dei mezzi di produzione, e perciò crea diseguaglianza sociale.
Lenin (Stato e rivoluzione, 1918) contrappone alla “democrazia borghese”, criticata da Marx, la “democrazia socialista o diretta”. E la ritiene più efficace della “democrazia rappresentativa”, in quanto priva di intermediari tra cittadini e Stato. Il suo modello è ripreso nel 1968 dagli studenti che per strada gridano: “potere al popolo!”.
Rousseau (Il contratto sociale, 1762) delinea l’idea di “Stato democratico” che attribuisce la sovranità al popolo. Il concetto di “Stato democratico” – ripreso più in là durante la Rivoluzione francese – consente ai cittadini di riunirsi in una sola entità, conservando la propria libertà e l’uguaglianza. La conciliazione di interessi privati e collettivi avviene con la stipula di un “contratto sociale” che vede ogni individuo cedere i propri diritti al corpo politico, espressione della volontà generale.
Hegel (Lineamenti di filosofia del diritto, 1830) teorizza lo “Stato etico”, il fine ultimo cui devono tendere le azioni degli individui nonché la realizzazione del bene universale. Lo Stato, arbitro assoluto tra le varie istanze sociali, è fonte di libertà.
Tocqueville (La democrazia in America, 1835): descrive la democrazia come un sistema politico radicato nell’eguaglianza e nel principio di sovranità popolare. Tuttavia l’accentramento del potere in un numero limitato di Istituzioni, combinato con l’eccesso dell’uguaglianza, porta in sé il rischio di una “tirannide della maggioranza” che opera seguendo solo i propri interessi. Ecco, è questo il rischio!
Politici, filosofi, storici, economisti, scrittori hanno nel tempo cercato di definire i diversi profili della democrazia. Tutti hanno riconosciuto l’inderogabile sovranità della volontà popolare, unica depositaria della funzione di indirizzo politico e del buon governo.
Nessuno di essi ha deformato il concetto di democrazia per giustificare il dominio, la lotta, il potere e la guerra, concetti estranei alla democrazia che, da sempre, ha preferito la diplomazia alle soluzioni di forza.
La democrazia è una libera conquista dei popoli. Perciò, è impossibile esportarla. Tantomeno la si impone, soprattutto laddove, come nelle nazioni teocratiche, il suo significato suona come una bestemmia.
La democrazia si fonda sulla libera competizione delle idee ed è frutto di una pluralità di tendenze e di valutazioni.
La democrazia parlamentare si fonda sulla centralità degli organi rappresentativi e sulla competizione tra governo e opposizione: quella che Pericle definiva “discussione”.
Invece – come aveva già ipotizzato Tocqueville a proposito della democrazia americana – stiamo assistendo ad una degenerazione della “democrazia rappresentativa” in “democrazia illiberale” che non riesce più a cogliere ciò che Pericle, 2454 anni fa, ha definito “l’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso”.
Proprio come è giusto e buon senso ricercare, con ogni mezzo, la pace.
“Qui ad Atene noi facciamo così!”