Una sofisticata telecamera corredata da soluzioni di intelligenza artificiale ha immortalato un conducente olandese che stava al telefono mentre era al volante. Il tizio si è rifiutato di accettare la sanzione ed è iniziato un contenzioso furibondo.
Fin qui niente di strano, roba di tutti i giorni. Dove sarebbe la notizia?
Un attimo. Ci arriviamo.
Siamo abituati a transitare sotto quelle costruzioni metalliche che sovrastano la carreggiata autostradale e i più attenti hanno notato che su quella struttura sono montate telecamere che inquadrano la parte frontale del veicolo ancor prima che la vettura transiti sotto le forche caudine di un eventuale rilevatore di velocità.
Gli strumenti di ripresa video in argomento non si limitano a scattare una immagine del conducente e scongiurare – in caso di infrazione – l’amnesia che porta il multato a non ricordare chi fosse alla guida, così da evitare la sottrazione di punti dalla patente. Quei dispositivi infernali sono connessi ad un sistema che analizza quel che si vede e si accorge se la cintura di sicurezza è regolarmente utilizzata o se – come in questo caso – l’automobilista impugna un telefonino al posto del volante.
Fatta questa noiosa ma indispensabile premessa, veniamo al caso pratico e ai 380 euro di contravvenzione appioppati al disgraziato in questione.
La vicenda risale al novembre scorso e non appena ricevuta la comunicazione il tizio – certo di non aver mai usato il cellulare guidando – si precipita negli uffici della Agenzia Centrale di Raccolta Dati Giudiziari per vedere la foto e verificare cosa effettivamente rappresentava.
A prima vista l’istantanea dava effettivamente l’impressione che la posizione della mano e la forma un po’ raccolta del metacarpo fossero tipiche di chi inforca il telefono e lo porta all’orecchio.
Un esame un pochino più attento, però, consentiva di notare che non c’era nulla e tantomeno un cellulare nella mano del malcapitato, il quale stava solo grattandosi il capo. L’interpretazione automatica eseguita dal “Monocam” aveva portato a quello che in gergo si chiama “falso positivo”, ovvero una rilevazione erronea.
I tecnici sanno bene che certi sistemi di questo tipo, il cui funzionamento è basato sull’intelligenza artificiale, vengono “addestrati” con la somministrazione di una serie di immagini che sono il modello di ciascun comportamento che viola il codice della strada. Esistono tre gruppi di foto: il set di addestramento, il set di validazione e il set di verifica, ma a quanto pare i limiti di distinzione delle fattispecie reali non raggiungono la perfezione e la macchina “vede meno bene” dell’operatore in carne ed ossa.
Anche se lo sfortunato soggetto dovrà attendere 26 settimane per conoscere l’esito del suo ricorso e dall’altra parte gli informatici cercano di porre rimedio alle lacune del “meccanismo” che ha toppato, chi è vecchio sbirro non fatica a capire cosa ha indotto in errore…
A combinare il pasticcio non è stata la foto, ma il nome di battesimo del guidatore. Il sofisticato sistema nel rilevare che il signor Hansen si chiamava “Tim” non ha avuto alcuna esitazione nel ricondurre l’accaduto ad una telefonata con il cellulare…