Seguo con divertimento (e a volte vero sconforto) alcuni gruppi Facebook di stranieri (si può ancora dire, vero?) sull’argomento “cucina italiana”.
Novello Don Chisciotte, mi trovo spesso a combattere contro legioni di “Fettuccine Alfredo” e “Meatball Spaghetti”, che sembrano essere considerate (soprattutto negli USA) la quintessenza della nostrana arte culinaria.
Provo, a volte con successo, a volte meno, a ricondurre nei binari dell’ortodossia le ricette per il ragù, nel senso di salsa Bolognese (l’idea che esista anche il “ragù alla napoletana” manderebbe in tilt l’uditorio!), emano bandi di proscrizione per l’uso della panna e del bacon nella carbonara, o del ketchup come “sugo”, e via degenerando.
Per fortuna, ho rilevato che almeno i metodi di cottura della pasta sono stati assimilati quasi correttamente, e che la sequenza acqua-sale-bollore-calo-minuti-scolatura sono ben chiari.
Ho il sospetto però che sia una conquista recente, forse favorita dai produttori di pasta nostrani che, con lungimiranza, stanno rappresentando le scenette di vita domestica che accompagnano i prodotti nelle pubblicità introducendo subliminali “istruzioni per l’uso” e “suggerimenti di presentazione” utili a garantire l’ortodossia dell’alimento nazionale per eccellenza.
Ma anche la tecnologia per le massaie moderne può aiutare: ho appreso, tramite segnalazione in uno di quei gruppi, che i (secondo me) maestri del marketing di primario brand di prodotti alimentari farinacei (quello con le scatole blu Italia e la sede principale a Parma – la nostranissima Barilla, insomma!) ha escogitato una soluzione per impedire di servire la pasta scotta (una delle peggiori iatture culinarie, a mio parere) da parte dei moderni preparatori di pietanze domestici (mamme o babbi aut similia) che, immersi nella realtà virtuale del proprio smartphone probabilmente anche durante il confezionamento del vitto, potrebbero farsi scappare il minutaggio di cottura al dente.
Barilla ha infatti creato un proprio account ufficiale su Spotify, pubblicando numerose playlist (noi boomer le chiameremmo “compilation”) denominate secondo i formati di pasta, di durata esattamente pari al tempo di cottura dell’ingrediente prescelto. Banale, direte voi, ma qualcuno l’idea l’ha avuta. E brillante.
Così gli “addetti mensa” domestici del nuovo millennio, guidati dal segnale binario presenza/assenza musica negli auricolari, potranno sorvegliare, con le consuete modalità di coinvolgimento psichico connesse all’immanenza dei media nel nostro quotidiano, il corretto confezionamento del vitto familiare.
Ripetiamo: niente panna nella carbonara, niente ketchup sugli spaghetti. Per questi obiettivi non c’è MinCulPop che tenga. Occorrerebbe usare le maniere forti: ma forse la colpa è proprio dei produttori, che ormai sembrano nascondere l’indicazione dei minuti di cottura nei reconditi più ascosi della confezione!
E buon appetito!