Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi; è l’indifferenza dei buoni.
(Martin Luther King)
Apprendere che nella battaglia della vita si può facilmente vincere l’odio con l’amore, la menzogna con la verità, la violenza con l’abnegazione dovrebbe essere un elemento fondamentale nell’educazione di un bambino.
(Mahatma Gandhi)
Questa volta voglio affrontare un problema abbastanza nuovo che affligge la nostra società: la crescita, specialmente in alcune zone del Paese, della violenza giovanile. Nel napoletano si registrano bande di ragazzi assoldate dalla camorra e in Sicilia, i “carusi” sono mandati al massacro dalle organizzazioni criminali mafiose. Sono l’ultima leva delle cosche: minorenni arruolati sempre più spesso dai padrini. Finora i clan li avevano relegati a compiti secondari: postini della droga e vedette dei covi.
Negli ultimi anni invece stanno diventando bambini soldato: hanno la pistola, rapinano, incassano il pizzo, difendono il territorio. E sono pronti a uccidere. L’altro fenomeno in crescita legato alla comparsa della violenza giovanile è il bullismo. E su quest’ultimo argomento mi piace iniziare con le parole di Papa Francesco: “In silenzio, ascoltatemi. In silenzio. Nella vostra scuola, nel vostro quartiere, c’è qualcuno o qualcuna al quale o alla quale voi fate beffa, voi prendete in giro perché ha quel difetto, perché è grosso, perché è magro, per questo, per l’altro? Pensate. E a voi piace fargli passare vergogna e anche picchiarli per questo? Pensate. Questo si chiama bullying. Per favore, per il sacramento della Santa Cresima, fate la promessa al Signore di mai fare questo e mai permettere che si faccia nel vostro collegio, nella vostra scuola, nel vostro quartiere. Capito?”.
Forse è bene identificare, come fa la Federazione italiana delle società di psicologia, le caratteristiche che permettono d’inquadrare quali sono gli episodi da intendersi nella categoria del bullismo: “L’intenzionalità del comportamento aggressivo agito, la sistematicità delle azioni aggressive fino a diventare persecutorie (non basta un episodio perché vi sia bullismo) e l’asimmetria di potere tra vittima e persecutore”. Episodi simili al bullismo di oggi sono sempre esistiti, ma in questo periodo sono diventati più gravi e frequenti; ciò non si può negare, basta leggere le cronache dei giornali.
Personalmente sono d’accordo con chi ne identifica la causa nella carenza di figure educative per l’utilizzo precoce dei moderni strumenti comunicativi di cui i ragazzi non conoscono la potenzialità e gli effetti. Poi, se l’aggressività e la violenza sono sempre esistite, specie nell’età dello sviluppo, oggi la percezione della pericolosità di tale fenomeno, come pure di altri analoghi – violenza in famiglia, mobbing, razzismo, comportamenti discriminatori, abusi sui minori – è molto più presente nella società.
Tra l’altro, se analizziamo l’incidenza di internet nel bullismo, ci rendiamo conto dell’incidenza nefasta di questo nuovo mezzo di comunicazione quando viene usato male: il 72% degli episodi di bullismo viaggia in rete. Secondo il Centro nazionale per la prevenzione e il contrasto al cyberbullismo dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano, sono 1.030 in Italia i nuovi casi conclamati di cyberbullismo, ma la gran parte rimane nascosta.
Purtroppo anche i genitori e gli insegnanti spesso ignorano gli episodi di bullismo che accadono accanto a loro, non rendendosi conto che l’omertà, anche delle figure educative, è sempre un potente alleato del bullismo. Per non elencare i molti casi di bullismo capitati negli ultimi mesi, mi limiterò a descriverne uno, per evidenziare come abbia ragione il Papa nell’indicare opera del diavolo aggredire il debole, perché altrimenti non c’è altra spiegazione. La Repubblica, l’anno scorso riportava il seguente caso:
I carabinieri hanno denunciato un 17enne residente a Bergamo per atti persecutori nei confronti di minorenni e di soggetti con disabilità. Il minore che frequenta un istituto scolastico superiore della bassa Valle Camonica, in provincia di Brescia, avrebbe sottoposto a ripetuti atti persecutori sette studenti minorenni dello stesso istituto, tra i quali uno in stato di disabilità. Gli episodi si sono ripetuti per mesi. Le vittime non volevano più andare a scuola per il timore di essere di nuovo oggetto di atti di bullismo ed è stato proprio l’istituto scolastico a segnalare il caso ai carabinieri.
E ora passiamo alla violenza più in generale che si è sviluppata negli ultimi anni nei giovani con altre manifestazioni drammatiche. Per fortuna non è il nostro il Paese dove avvengono i casi più frequenti di violenza giovanile. La palma d’oro è senz’altro detenuta dagli Stati Uniti.
Noi, in Italia non raggiungiamo i livelli degli USA, ma non scherziamo in termini di violenza giovanile e anche adolescenziale. Prendiamo il caso delle baby gang che operano nelle stazioni ferroviarie e nella metropolitana delle nostre grandi città e che aggrediscono, anche con coltelli, persone inermi senza alcun motivo e fanno atti di vandalismo.
A Napoli, negli anni scorsi è dovuto intervenire il Ministro dell’interno per lanciare un’operazione interforze (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza) per cercare di arginare il fenomeno. Non siamo ancora a livello degli Stati Uniti, ma dobbiamo preoccuparci lo stesso: stiamo vivendo un periodo della nostra storia nazionale molto pericoloso e dobbiamo porci rimedi. Ma come farlo? A me è piaciuta la soluzione prospettata da Marco Rossi Doria, esperto di politiche educative e sociali, che così prospetta una sua soluzione:
“Costruire regia di quartiere. Serve una scuola più flessibile, più prossima, una formazione professionale vera, flessibile anch’essa, e alleanze forti tra insegnanti e tutor di strada, capaci di avere prossimità con i territori che stanno al limite del limite e facciano da antenne, capiscano quali sono i ragazzini che stanno inoltrandosi oltre il limite e siano in grado di intercettarli proponendogli sfide positive appetibili quante o più delle sfide negative, dove possano sperimentare altre cose e altre dimensioni di sé. Ovviamente questa proposta non può durare lo spazio di un semestre, deve durare 5/10 anni.
Se le politiche pubbliche sostengono l’alleanza della comunità educante, con un investimento sull’educativa territoriale di prossimità fra i più marginali e se tutto questo si unisce a uno sviluppo locale possibile – alla Sanità è avvenuto – nel medio periodo si può pensare di far uscire i ragazzi da queste terribili situazioni. Accanto a tutto ciò ci deve essere non tanto un cambio della legge ma la certezza delle sanzioni, anche non penali: il programma educativo deve essere realizzato davvero, la sua esecuzione deve essere seguita e sorvegliata in maniera forte. E se il ragazzo ha bisogno di aiuto specifico perché ha delle sofferenze specifiche, vanno affrontate anche quelle”.
A mio modesto avviso, però, bisogna anche che tutti noi ci diamo da fare per ristabilire il rapporto collaborativo di una volta tra la scuola e la famiglia, quando i genitori dei ragazzi si ponevano a disposizione degli insegnanti, accettavano senza interferire le loro impostazioni didattiche e seguivano i loro consigli per la formazione del carattere dei propri figli. Oggi, invece, si fa tutt’altro! La famiglia, quando un docente rimprovera un alunno/a, spesso lo contesta ponendosi in difesa del proprio “tesoretto” e qualche volta magari lo aggredisce pure.
Speriamo che la classe dirigente del nuovo Governo affronti il problema, superando i diversi orientamenti politici, con una visione unitaria rivolta solo al bene sociale. E’ urgente farlo! Sarebbe già un risultato se la preoccupazione di pochi diventasse allarme per molti.