Da persona che ha vissuto molte stagioni dell’evoluzione tecnologica legata all’elettronica e da nonno, mi piace osservare come le ultime applicazioni innovative immesse sul mercato di massa (per gli addetti ai lavori for the mass-market) stanno influendo negativamente sulla quasi totalità dei giovani e sugli adulti facilmente condizionabili.
Sui giovani mi soffermerò di più perché il fenomeno l’ho studiato a fondo, avendo sottomano la materia da analizzare: i miei quattro nipoti e i loro amici. E’ purtroppo ormai assodato che sui ragazzi l’uso smodato di internet e, più in generale, delle moderne ‘autostrade dell’informazione’ elettroniche, crei una dipendenza pericolosa per la socializzazione, per l’acculturamento e spesso anche per la salute.
Non è mia intenzione addentrarmi troppo sugli aspetti sociologici e psicologici del fenomeno, devono essere gli specialisti dei vari settori a valutarne il fenomeno e possibilmente scriverci degli approfondimenti, come fa il sociologo Franco Ferrarotti che pubblica trattati sul disagio dell’attuale generazione giovanile.
Mi limito, in questa sede, a costatare come sia cambiata la vita dei nostri giovani con l’introduzione delle nuove tecnologie di comunicazione (iPhone, iPad e internet). Come, passando ore a smanettare su una tastiera di un computer o di un telefonino, essi si creino con social network e internet una “bolla” d’isolamento in cui si possono istaurare relazioni virtuali dove la realtà circostante non conta: Il luogo in cui è più facile costituirsi un’identità virtuale che riflette chi si vorrebbe essere, piuttosto che essere chi si è davvero.
Così gli adolescenti di oggi limitano una parte delle attività che rendevano felici le precedenti generazioni, come le reali interazioni con amici e coetanei, le attività ludiche di gruppo, le forme di partecipazione alla vita parrocchiale, la lettura di libri, giornali e riviste su carta, il piacere di parlare con i genitori e i nonni.
Una cosa poi l’ho riscontrata di persona sui giovani che ho modo di frequentare: come le nozioni acquisite da internet e, più in generale, le notizie lette su una specie di “rassegna stampa online” creino nel giovane una certa infarinatura culturale che lo rende saccente di una tuttologia pericolosissima. Questa sensazione di sapere tutto, senza avere dei dubbi, lo priva della salutare curiosità di esplorare il mondo dell’incognito e spingerlo ad approfondire e studiare seriamente tutto ciò che gli può servire ad arricchire il suo bagaglio di nozioni.
Conoscere un po’ di tutto solo superficialmente dà al giovane d’oggi, utente di internet, un senso di saccenteria che lo rende pure antipatico a coloro che sono preposti istituzionalmente alla sua istruzione. Sull’argomento in questione ho letto recentemente un articolo di Gianni Riotta che riportava un saggio della psicologa Jean Twenge, docente alla San Diego University. Mi piace evidenziarne la parte più interessante:
“Mettendo a confronto i dati degli ultimi 40 anni, Twenge scopre che i teenagers Usa sono più depressi e meno inseriti a scuola o al lavoro, dei loro genitori e nonni. Passano meno tempo con gli amici, nello studio, nello sport, perfino pomiciare e far l’amore sono trascurati. Non si prende la patente, non si va a ballare. I suicidi aumentano, preceduti dall’uso di droghe, l’insicurezza sociale genera bullismo aggressivo e vittimismo paralizzante. Vittime numerose tra le ragazze, vulnerabili più dei coetanei maschi.
E di chi è, secondo Twenge, la colpa di questa epidemia di solitudine, frustrazione e nevrosi nella generazione 13-19 anni? Di cellulari e tablet, soprattutto iPhone, lanciato nel 2007, e iPad, 2010, che assorbono cervello, anima e cuore dei nostri ragazzi, lasciandoli per ore, gusci vuoti a letto. ‘Passo le giornate distesa, il materasso ha l’impronta del mio corpo’ confessa un’adolescente della «iGen», la Generazione iPhone, secondo il marchio coniato da Twenge. Né il dramma è limitato a Trumpland, una passeggiata, una cena, una visita ai parenti, vi confermano in ogni città europea analoga alienazione («Uscite di casa con la Bibbia, non lo smartphone!» invoca perfino il Papa)”.
Per fortuna l’esito di alcuni esperimenti scolastici su come reagivano gli studenti in astinenza di cellulare per una settimana hanno prodotto una piena soddisfazione da parte degli allievi. Essi hanno costatato come la loro vita fosse cambiata in meglio: hanno avuto più tempo per leggere, chiacchierare, scoprire nuovi luoghi. Hanno potuto godere di una vita più divertente piena di sensazioni per loro nuove. Un piccolo spazio lo dedico anche all’uso di internet e dei social network (Twitter Instagram e Facebook) da parte dell’intera popolazione italiana.
Prima di tutto è bene indicare i benefici di tali tecnologie: il primo grande merito è indubbiamente quello di aver facilitato la comunicazione. Basta avere la connessione a internet per parlare in tempo reale con persone dall’altra parte del globo, grazie alle webcam addirittura vederne il volto. I social network in Italia hanno una grande diffusione e la maggiore percentuale d’incremento rispetto agli altri Paesi europei: però, accanto alle caratteristiche positive di visibilità, aggregazione, condivisione, recupero di vecchie conoscenze ed amicizie e nascita di nuove, sono comparse anche qui delle note assai negative. Quella del giudicare, del sentenziare senza i necessari approfondimenti creando disagi anche gravi. E soprattutto ciò che provoca nell’età adolescenziale quando il loro uso può influire sulla formazione dell’identità personale e sull’autostima.
Dal punto di vista psicologico esistono persone che sono dipendenti dai loro smartphone, da internet, dai computer e che arrivano perfino ad isolarsi dal mondo esterno, questa viene definita sindrome da Hikikomori. Al giorno d’oggi nessuno è mai solo con sé stesso, si è costantemente connessi, perennemente raggiungibili e, essendo abituati a vivere in questo mondo, anche staccarsi dal cellulare per poche ore può causare nervosismo e/o stress.
In uno studio scientifico è stato riscontrato che i social network avrebbero un effetto sul cervello: infatti, ricevere commenti positivi su facebook attiverebbe un’area del cervello, il nucleus accumbens, coinvolta anche nei fenomeni di ricompensa ed è la stessa area coinvolta nei meccanismi delle dipendenze da droghe.
Nel Manuale Diagnostico dei disturbi mentali (DSM V) è ad oggi riconosciuta come dipendenza comportamentale solo il gioco d’azzardo patologico. Nell’ultima sezione del manuale sono evidenziati dei suggerimenti per l’aggiunta della dipendenza da internet (IAD) come patologia mentale. Goldberg nel 1995 coniò il termine IAD per riferirsi ironicamente ad una nuova patologia e ne descrisse i sintomi: ansia, craving, necessità di collegarsi per ore, movimenti involontari delle dita per digitare e li pubblicò sul suo sito; nei giorni seguenti cominciarono ad arrivare decine di messaggi da persone che si identificavano con il problema e così la dipendenza da internet divenne un problema attuale.
La prima studiosa a definire i criteri della IAD fu la Young definendola in base alla presenza di 5 o più criteri riscontrati nei test: preoccupazione, tolleranza, astinenza, mancato controllo, uso maggiore rispetto al previsto, mentire sull’uso, utilizzo di Internet per sfuggire a umore disforico.
Leggendo questa sintomatologia è facile effettuare mentalmente un collegamento tra la dipendenza da internet e la dipendenza da droghe, in quanto la sintomatologia descritta è pressoché la stessa. Alcuni pongono il problema ma non si sbilanciano su cosa si può o deve fare come Ivan Ferrero – Psicologo delle nuove tecnologie – che questo scrive:
I social media sono una parte integrante della nostra vita. Da quando sono arrivati, hanno cambiato il modo in cui le persone interagiscono tra loro, permettendo di condividere le nostre opinioni e i nostri pensieri con gli altri in modo rapido e semplice. Inoltre, permettono di connettersi con le persone che condividono i nostri stessi interessi, anche se questi compagni di ventura sono molto distanti da noi.
Così ad una prima analisi dovrebbe essere un cambiamento positivo; tuttavia, i social media hanno suscitato sin dall’inizio preoccupazioni per la salute mentale dei loro utenti, prima di tutto dei nostri figli. … Questi risultati suggeriscono che i social media possono avere un impatto negativo sulla salute mentale degli adolescenti, soprattutto se usati in modo eccessivo o in modo non consapevole. Sono quindi comprensibili gli allarmi dei genitori per il loro uso eccessivo, temendo che possa causare problemi mentali.
Tuttavia, negli ultimi anni altre ricerche ci stanno mostrando che i social media non hanno tutto questo impatto sul benessere mentale dei ragazzi, e anzi possono effettivamente aiutare i ragazzi a superare molte loro criticità. Siamo quindi di fronte a messaggi contrastanti portati proprio da quella Scienza che pretenderebbe di avere valore di Verità. Chi ha ragione e chi ha torto? Forse nessuno, ma dobbiamo procedere con cautela perché il quadro è molto più complesso. Quello che penso io, essendo ottimista di natura, è che questa situazione migliori col tempo. Tutte le novità immesse sul mercato hanno bisogno di tempo per poterle usare “con un granello di sale” e renderle appetibili nel migliore dei modi.