La foto mi ritrae nel 1962 all’inizio della mia carriera negli anni d’oro dell’Olivetti quando tutti c’invidiavano, soprattutto i dipendenti Fiat, l’altra grande azienda piemontese.
Il mio lavoro in tre grandi aziende multinazionali (Olivetti, Philips e Siemens) nel settore dell’elettronica e informatica mi ha sempre interessato, soddisfatto e appagato, ma solo una mi è rimasta nel cuore: l’Olivetti. L’azienda con l’impronta datagli da Adriano Olivetti.
Purtroppo, per la sua precoce morte nel 1960, ho vissuto nella società guidata da lui solo un anno, ma per fortuna per gli altri 10 anni in cui sono rimasto in Olivetti, per una serie di motivi, per noi dipendenti è cambiato poco o nulla. Primo motivo è stato che il suo successore, il figlio Roberto, non ha modificato nulla dell’impostazione paterna; secondo, il management intermedio era rimasto quello formatosi nell’era Adriano (per esempio nel mio caso c’era sempre Elserino Piol) e per ultimo che in quel periodo il mercato non si evolveva con tanta velocità.
La mancanza di Adriano si è percepita in modo drammatico con gli amministratori delegati della società venuti dopo Roberto, ma io non c’ero già più e quindi, fortunatamente non ho vissuto direttamente il suo continuo e irrefrenabile decadimento.
Adriano Olivetti aveva dato alla sua azienda un’impostazione, che per quei tempi era totalmente innovativa: voleva che ai suoi dipendenti venisse distribuita parte della ricchezza che l’azienda produceva, cultura, servizi e anche democrazia. Non sto qui ad elencare tutti i benefits economici di cui godevamo (premi, livello delle trasferte, mezzi di viaggio e alberghi di prima categoria, ecc.), mi limiterò ad accennare cosa Adriano intendeva per cultura, servizi e democrazia.
Per la cultura ad Ivrea, per mantenere aggiornato il personale, all’ingresso del palazzo uffici c’era la vendita dei giornali e tutti noi passavamo la prima mezz’ora di lavoro a leggere cosa avveniva nel mondo. A teatro, dove una buona parte dei dipendenti era abbonata, venivano quasi tutti gli spettacoli culturali a fare le loro “prime visioni” che servivano anche per testarli. Io ho imparato lì a conoscere la democrazia nelle assemblee fatte periodicamente con i rappresentanti sindacali.
Voglio chiudere questo mio ricordo di Adriano Olivetti soffermandomi su un’attività che sta conducendo mia figlia Laura sulle “Relazioni umane” (termine inventato da Adriano Olivetti per identificare la sua Direzione del Personale) in collaborazione con la Luiss Business School di Roma in un ciclo di “Executive Program” nel quale il percorso manageriale si inquadra nell’ambito della visione di Adriano sulla gestione del personale: le persone al centro del valore dell’impresa.
Mia figlia è come me legata alla cultura olivettiana, ma ovviamente solo indirettamente: lei ha due genitori partecipi di questa bella esperienza lavorativa (anche mia moglie era una dipendente Olivetti), è nata ad Ivrea e ha respirato la prima aria a Palazzo Uffici. In questo ciclo da lei realizzato insieme a Roberto Maglione, anche lui manager di successo ex Olivetti e oggi Professore alla Luiss Business School, ha incentrato un percorso manageriale, molto legato all’innovazione organizzativa e ai muovi modelli del lavoro che cambia.
Devo confessare la mia grande soddisfazione, quasi l’orgoglio, di aver fatto parte di un’azienda guidata da un management, ma soprattutto da un grande industriale innovatore come Adriano Olivetti, che 65 anni fa gestiva il personale in un modo che ancora oggi s’insegna in una Business School.
Mi piace finire con una frase di Adriano Olivetti della “Città dell’Uomo” che voglio riportare qui di seguito: «Nella millenaria civiltà della terra, il contadino guardando le stelle, poteva vedere Iddio, perché la terra, l’aria, l’acqua, esprimono in continuità uno slancio vitale…
Per questo il mondo moderno, avendo rinchiuso l’uomo negli uffici, nelle fabbriche, vivendo nelle città tra l’asfalto delle strade e l’elevarsi delle gru e il rumore dei motori e il disordinato intrecciarsi dei veicoli, rassomiglia un poco ad una vasta, dinamica, assordante, ostile prigione dalla quale bisognerà, presto o tardi, evadere…»