In un clima di rinascita come quello attorno alla Pasqua, non posso non parlare di FIDUCIA, perché questa è l’ingrediente fondamentale di qualsiasi processo di cambiamento.
La parola “fiducia” deriva dal latino fidere, che significa “credere” o “confidare”. In greco invece, il termine impiegato per definire la fiducia era areté, che poteva essere tradotto come “virtù” o “eccellenza”. Nella filosofia greca, infatti, l’areté era una qualità desiderabile che includeva la fiducia in sé stessi, l’integrità morale e la virtù personale.
Nel vocabolario Thesarus, la fiducia è descritta come un atteggiamento di tranquillità e sicurezza che deriva dalla convinzione che qualcuno o qualcosa corrisponda alle proprie aspettative, alle proprie attese e speranze; infatti, come rilevato nell’enciclopedia Treccani, la fiducia risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni.
Si rende evidente quindi come, a differenza della fede che è basata sull’aprioristica accettazione di una credenza, la fiducia è l’esito un ragionamento complesso che, seppur strutturalmente viziato da distorsioni valutative (bias ed euristiche), coinvolge la memoria delle esperienze precedenti, la personalità e le circostanze del momento. Tutto ciò riguarda tanto la fiducia verso noi stessi, quanto la fiducia verso gli altri e la vita in generale, che ne sono in buona parte la proiezione.
Ma perché la fiducia è così importante per noi? E, aggiungo, perché lo è ancor di più oggi, in un mondo liquido, accelerato e disintermediato come quello imperniato sulle nuove tecnologie?
Alla prima domanda possiamo rispondere con facilità: siamo esseri sociali, intrinsecamente bisognosi l’uno dell’altro, non solo per proteggerci in gruppo dai “pericoli” esterni, ma per “individuarci”, per permetterci di disegnare, in un continuo dialogo interno-esterno, il perimetro e la bellezza della nostra IDENTITÀ, della nostra specificità, unica e inimitabile. L’identità è un “dono sociale” e si costruisce nella relazione, così come l’intelligenza del resto. In isolamento si verificano danni mentali incalcolabili e il cervello si atrofizza, così come abissali sono i danni dell’isolamento psicologico, della mancanza di feedback e di riconoscimento da parte dell’altro, dell’indifferenza… L’indifferenza è sicuramente uno dei mali peggiori della società attuale!
E lo è ancor di più per il paradosso di verificarsi in una società esibizionistica, dove anche i frammenti più intimi della propria quotidianità vengono spudoratamente dati in pasto ai leoni da tastiera nell’arena dei social. Nel tentativo (vano) di essere visti, di essere riconosciuti e apprezzati e, di conseguenza, riconoscere sé stessi, si finisce per perdere di vista proprio il soggetto… Si cercano identità “prêt à porter” per guadagnare consenso, dimentichi (o ignari) del fatto che certi processi sono lenti e faticosi, e mal si adattano alla velocità e alla facilità caratteristiche dei mezzi digitali. Un po’ come pretendere di vincere una partita a tennis con una mazza da golf… semplicemente lo strumento è sbagliato.
La fiducia, quindi, è la “proteina” essenziale per la creazione di noi stessi e per la “creazione” dell’altro, cioè del filtro attraverso cui lo osserviamo e poi lo riconosciamo: essa è il fondamento su cui edificare la nostra persona e il nostro progetto di vita e va coltivata con pazienza, ognuno al proprio ritmo, attraverso la reiterazione di esperienze positive che ci confermino che possiamo riporre fiducia nelle nostre capacità, nella buona fede altrui e nella bellezza intrinseca della vita.
Se non dedichiamo cura e attenzione a nutrire la fiducia in entrambe le direzioni, interna ed esterna, non avremo altro strumento per “navigare” che il CONTROLLO… e vengo qui alla seconda domanda: perché la fiducia è così importante oggi, nel nostro mondo V.U.C.A. (volatile, Incerto, complesso e accelerato)?
Perché il controllo è “lento” e all’aumentare esponenziale della complessità, una parte del controllo deve necessariamente cedere il passo alla “velocità della fiducia”, pena l’ingolfamento dei processi decisionali. Se pretendiamo infatti di governarli secondo il tradizionale paradigma del controllo, finiremo per invertire il fine con il mezzo: processi e burocrazia, da strumenti per assicurare la governance, diventeranno al contrario obiettivi da perseguire a prescindere, per una sorta di rigore “ideologico” che nei fatti serve solo a tranquillizzare gli animi. E questo vale sia in ambito organizzativo che in ambito interpersonale, finanche intrapersonale.
E qui viene il paradosso: se vogliamo sviluppare e nutrire la fiducia per rendere processi e relazioni più agili ed efficaci, dovremo per forza rallentare il processo necessario a prenderci cura di “lei”, come fosse un bambino da nutrire e coccolare ogni giorno con amorevole pazienza, un seme da annaffiare quotidianamente in attesa che sbocci il suo fiore, unico e raro. Si tratta quindi di funzioni correlate in maniera inversa: più è lenta e paziente la costruzione della relazione di fiducia, più saranno veloci ed efficaci i processi e le decisioni implicati.
La fiducia “vera” quindi, in noi come nell’altro, si conquista sul campo e nel tempo, richiede l’incontro analogico e il contatto. Non si crea sui social… in quel contesto si crea una sorta di fiducia “olografica”, di cui non abbiamo certezza e che può apparire o sparire a ogni pollice verso, generando disorientamento e malessere, e talvolta una sfiducia generale che può sfociare in cinismo.
Voglio concudere quindi con un pezzo memorabile del Piccolo Principe, di Saint Exupéry, sul tema dell’amicizia e dunque della fiducia, perché racchiude in modo poetico ed esaustivo tutte le parole scritte fin qui. Buona lettura!
– Volpe: non posso giocare con te, non sono addomesticata
– Piccolo Principe: che cosa vuol dire addomesticare?
-… Volpe: è cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare legami. (…) tu fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila altre volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo e io sarò per te unica al mondo (…)
– Volpe: se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sottoterra. Il tuo mi farà uscire dalla tana, come una musica. (…) i campi di grano non mi ricordano nulla (…) ma tu hai i capelli colore dell’oro (…) Quando mi avrai addomesticato, il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano (…) Non si conoscono le cose che non si addomesticano.
– Piccolo Principe: …che ci guadagni
– Volpe: ci guadagno il colore del grano (…)
– Volpe: … se vuoi un amico addomesticami!
– Piccolo Principe: come bisogna fare?
– Volpe: bisogna essere molto pazienti…
Il Piccolo Principe, A. de S. Exupéry