La storia – senza dubbio drammatica – riguarda una imprenditrice del Nord Italia e il suo sviluppo induce a chiedersi “com’è stato possibile?”.
Siccome “è stato possibile”, si tratta di domandarsi il “perché” un colpo del genere è andato a segno.
La disavventura finanziaria in argomento rientra tra le truffe perpetrate con l’ausilio di strumenti informatici, utilizzati – questi – per l’ingaggio della vittima e per l’induzione a compiere le azioni previste dalla dinamica criminale abilmente programmata.
In un contesto corrente di iniziative fraudolente particolarmente diffuse, non ci si trova stavolta dinanzi al classico “bidone” pret-a-porter ma è facile riconoscere una confezione sartoriale dell’azione delittuosa.
Spieghiamo anzitutto la sequenza dei fatti.
Una storica azienda “di famiglia” decide di non proseguire nella missione ereditaria, ma di affidare l’impresa ad un acquirente capace di continuare una staffetta importante per la tradizione legata al marchio, per i dipendenti, per la clientela, per l’indotto sul territorio.
La holding che scende in campo lascia a condurre i giochi una persona della vecchia proprietà, così da sfruttarne l’esperienza e da evitare sussulti organizzativi potenzialmente pregiudizievoli per il futuro della ditta.
I “nuovi” pensano ad altre possibili acquisizioni e avviano una ricerca di eventuali realtà da comprare per dare una significativa accelerazione al business.
L’atmosfera di pianificata espansione è l’habitat di molte fregature, ma non sempre l’olfatto è così sviluppato da far sentire la puzza di bruciato.
Sulla scena pochi attori. Personaggi conosciuti solo all’interno della compagnia, tutt’altro che noti fuori dal “quartier generale”. I protagonisti hanno nomi e cognomi e, visto che non c’è tutta questa folla a leggere le visure alla Camera di Commercio, solo in un certo ambito se ne conosce il rispettivo ruolo e la corrispondente operatività.
Ad un certo punto, dopo una serie di giudizi negativi sulle proposte di acquisizione formulate dall’ex padrona e in quel momento amministratrice delegata, arrivano alcuni messaggi riservati. A scriverli sono – almeno all’apparenza – soggetti cui la manager risponde gerarchicamente e funzionalmente.
Mail con indirizzi superficialmente attendibili (dr.com e usa.com) spiegano le attività da intraprendere. Chi scrive si presenta proprio con il nome di chi ha capacità decisionale, fa riferimento ad iniziative in corso certamente non di dominio pubblico, fornisce indicazioni con il cipiglio di chi sa di cosa sta parlando e con la competenza del caso specifico.
La corrispondenza è integrata da chiamate sul telefono aziendale della amministratrice delegata, utenza riservatissima e conosciuta solo nel ristretto ambito del management della società.
E’ vero che i maghi del “social engineering” riescono a entrare in possesso di dettagli che spianano la via del successo per tante malefatte, ma nella fattispecie una simile tecnica deve fare i conti con la rapidità della bricconata andata a “buon fine” in un arco temporale in cui solo chi viveva l’azienda poteva davvero sapere come colpire.
Prendendo spunto da recenti vicende interne, il misterioso soggetto – sempre particolareggiato – illustra alla vittima una opportunità di business da gestire nella massima riservatezza per non mandare in fumo un affare irripetibile. E qui scatta la trappola.
Il bersaglio della truffa viene invitata ad eseguire una serie di bonifici indispensabili per ottenere l’obiettivo di incorporare aziende con cui estendere il mercato in maniera importante.
Le comunicazioni sono serrate e il ritmo delle azioni da intraprendere è giustificato dal passo veloce che contraddistingue il mondo imprenditoriale.
La donna si consulta con un commercialista, membro del collegio sindacale della società, già capo area di una delle “big” della revisione a livello internazionale e consulente che ha accompagnato l’imprenditrice in tutte le fasi di vendita dell’azienda. La signora chiede anche la segnalazione di un legale per affrontare al meglio quel che stava accadendo, ma l’interlocutore (ritenuto fidatissimo) non ritiene ci sia necessità di coinvolgere nessuno e anzi non esita a rassicurare dicendo che è sulla strada giusta…
Difficile credere di esser finiti in un tranello…
Audit e Organismo di Vigilanza assenti. Le banche non si premurano di controllare le deleghe dell’amministratrice, non vedono il tetto massimo degli importi del suo plafond autorizzato, eseguono – con serenità e magari non nel totale rispetto della normativa antiriciclaggio – trasferimenti di denaro all’estero per qualche milione di euro…
I soldi volano verso i Balcani per poi rimbalzare chissà dove. Chi ha vissuto la sventura viene estromessa dall’azienda senza nemmeno un “processo sommario”, curiosamente senza che nessuno voglia approfondire, senza che si veda l’ombra di corresponsabilità in una condotta senza dubbio improvvida.
Colpiscono il disinteresse dell’impresa a far luce sull’accaduto, il mantenere il massimo riserbo su una truffa dai contorni speciali, forse “troppo” speciali, l’assenza di indagini tecnologicamente evolute che potrebbero fare chiarezza e magari regalare qualche colpo di scena….
Ad ogni buon conto, se ci si chiede ancora “come è possibile”, basta rileggere questo racconto che – purtroppo – non è di fantasia.
Quasi settant’anni fa, nel 1955, un bambino vede una piccola pubblicità su un giornale locale e ne resta incuriosito...
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