Ho provato a prendermi a pizzicotti e a stropicciarmi gli occhi, pur sapendo bene di essere sveglio e lucido.
Quel che ho letto a proposito dell’inasprimento delle sanzioni per i comportamenti illeciti online, devo essere sincero, mi ha strappato un sorriso e – in tempi cupi come quelli che stiamo vivendo – direi ha rivitalizzato la mia giornata.
Le condotte fraudolente poste in essere ricorrendo a dispositivi digitali e sfruttando la connessione ad Internet sono oggettivamente in aumento esponenziale.
Tali comportamenti possono essere frenati in via preventiva, non andando ad agire contro i banditi che “legittimamente” se ne fregano delle pene più o meno severe, ma intervenendo con iniziative “educative” nei riguardi delle potenziali vittime per spiegare il prima possibile quali siano le minacce incombenti e quali possano essere difese e contromisure per evitare di cadere in trappola.
La reclusione spaventa poco i criminali che, purtroppo per la gente perbene, vivono in condizioni estremamente serafiche e sanno che difficilmente le indagini porteranno alla loro individuazione.
Le ragioni di questa loro tranquillità sono molte.
In primo luogo non tutti i truffati si metteranno a fare denuncia, perché la redazione di un simile testo comporta la pesantissima ammissione di essersi fatti fregare. In secondo luogo chi si avventura in un ufficio di polizia potrebbe incappare in un interlocutore che – come non di rado accade – spiega le difficoltà di individuare i responsabili e dissuade il disperato bidonato dal perdere tempo a compilare una denuncia che potrebbe finir nel nulla. Terzo: i criminali quasi sempre sono – almeno fittiziamente – in un Paese straniero e questo agire in “smart working” dall’estero complica le investigazioni richiedendo rogatorie internazionali e il coinvolgimento di “organi collaterali” esteri che non sempre sono reattivi come si vorrebbe. Quarto? Non si tratta di indagini tradizionali e – nonostante siano ormai note a tutti le modalità per avviare le iniziative necessarie – viene spontaneo far presente che il numero di specialisti è esiguo e quindi ci si deve mettere in coda… Punto cinque: il trascorrere del tempo comporta la cancellazione di quel che è rimasto nei “log di sistema” dei provider di telefono e Internet che potrebbero avere traccia di quel che è successo e fornire informazioni utili per l’identificazione del responsabile di una certa malefatta…
Potremmo continuare all’infinito questa sorta di autoflagellazione, ma basta pensare ai delinquenti che vanno online approfittando di connessioni ad Internet offerte gratuitamente e liberamente da centri commerciali o esercizi pubblici o addirittura enti locali…
Questa inevitabile premessa sottolinea la variegata distanza che separa i truffatori digitali da un aula di tribunale che – se raggiunta – riserva tempi processuali non proprio immediati.
Chi delinque ha ben presente quel che abbiamo appena detto e quindi difficilmente arriva a rimanere sgomento dinanzi anche ad un eventuale raddoppio degli anni di reclusione previsti per il reato di cui ha pianificato l’esecuzione.
Commuove, quindi, l’emendamento al DDL Cybersicurezza proposto dall’onorevole Letizia Giorgianni che “prevede delle aggravanti per chi commette reati attraverso siti e piattaforme informatiche, come la «confisca obbligatoria» degli strumenti informatici in possesso dell’autore della truffa (computer, telefonini, tablet), e il sequestro dei beni di proprietà dei truffatori, da utilizzare per risarcire le vittime dei reati”.
Se anche ci si riuscisse mai, mi dite quale risarcimento può essere garantito ai truffati per milioni di euro con il ricavato della vendita (dopo anni ed anni) dello smartphone o del computer del bandito di turno?
Vogliamo parlare del “sequestro dei beni di proprietà dei truffatori”? Ma avete mai visto un brigante che ha immobili e autovetture a suo nome?
Capisco le boutade tipiche del periodo elettorale, ma forse si può fare di meglio…