Fa figo scrivere di novità tecnologiche. Fa ancor più figo scriverne senza saperne assolutamente nulla, sia sotto il profilo “scientifico” sia sotto quello dell’impatto sociale ed economico.
L’entusiasmo ottunde la capacità di capire cosa stia davvero succedendo e impedisce di fare le più elementari valutazioni in ordine alle inevitabili conseguenze di una trasformazione che rischia di essere incontrollata ed incontrollabile.
Gente incapace di leggere l’orologio e sapere che ora è si bea della possibilità di redigere relazioni e dossier limitandosi a formulare un quesito a questa o quella piattaforma di intelligenza artificiale.
Perché studiare? Per quale motivo approfondire? Per quale ragione imparare e sapere? Se serve qualcosa basta domandare a ChatGPT, a Copilot o ad altre analoghe diavolerie di scodellare quel che richiederebbe competenza, lavoro e fatica.
L’ignoranza si propaga ben più velocemente del Covid e purtroppo non esiste un “distanziamento” dalle fonti di contaminazione. Se si parlasse di automobili, potremmo dire che tutti si dilettano ad incrementare la potenza dei motori e nessuno si prende la briga di progettare freni o altri dispositivi di salvaguardia per scongiurare incidenti e situazioni drammatiche.
A chi discetta allegramente di intelligenza artificiale sui giornali di carta e online oppure in radio o in televisione mi permetto di segnalare quel che sta combinando il colosso americano dell’informazione Gannett e in particolare il suo USA Today.
Un promemoria interno – ottenuto dal quotidiano d’inchiesta The Verge – spalanca una inquietante finestra sul destino di chi lavora in quel gruppo editoriale e – di riflesso – in tutti i contesti analoghi distribuiti in giro per il mondo.
La holding Gannett – che oltre a USA Today possiede centinaia di giornali locali – ha introdotto nelle sue redazioni un programma che in maniera automatizzata estrae i punti chiave di uno scritto e aiuta nella stesura di titoli, sottotitoli e occhielli. Questo strumento sarebbe un ausilio ai lettori per far capire loro se il contenuto di un articolo può effettivamente interessare.
Gli articoli che sono stati integrati dal programma sono corredati da un chiaro “disclaimer”, in cui si legge che “i punti chiave nella parte superiore di questo articolo sono stati creati con l’assistenza dell’intelligenza artificiale (AI) e revisionati da un giornalista prima della pubblicazione”.
L’avviso in questione aggiunge che “Nessun’altra parte dell’articolo è stata generata utilizzando l’intelligenza artificiale”.
Ma la storia sembra essere diversa dal prospettato uso ridottissimo della cosiddetta IA. I giornalisti del Gruppo Gannett che lavorano al quotidiano Democrat & Chronicle di Rochester nello Stato di New York, sono furiosi dopo che il loro proprietario ha tranquillamente modificato unilateralmente il contratto stabilendo che l’intelligenza artificiale può essere utilizzata dalle testate per “generare contenuti e notizie” senza limitazioni di sorta.
In questi mesi il ricorso all’intelligenza artificiale ha causato seri problemi di credibilità all’editore. Lo scorso agosto, il colosso dei giornali è stato scoperto a pubblicare post bizzarri e pieni di errori generati dall’intelligenza artificiale sugli incontri sportivi delle scuole superiori locali in molti dei suoi giornali regionali. Poco tempo dopo, la redazione del sito USA Today Reviewed accusò coram populo Gannett di pubblicare articoli generati dall’intelligenza artificiale e firmati da autori falsi….
Il ricorso a questa soluzione è certamente economico. La “differenza di prezzo” la pagano i lettori e lo fanno senza accorgersi, forse addirittura soddisfatti di accedere gratuitamente o a basso costo all’informazione.
Non importa se le notizie saranno tutte uguali, se sarà morta l’analisi dei fatti e lo spirito critico, se sarà facile omogeneizzare le opinioni con la catechesi consentita dal controllo elettronico su quel che viene pubblicato.
Non parliamo di un futuro lontano. Stiamo solo raccontando cose di ieri.