“Porci con le ali” è un’espressione popolare anglosassone che indica un’ipotesi impossibile o eccessivamente ottimistica. Corrisponde al ricco che ha meno probabilità di entrare nel regno dei cieli di quante ne abbia un cammello nell’attraversare la cruna di un ago.
Questa volta sono dei porci a tentare di prendere il volo. E il volo lo hanno preso davvero gli scrittori Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice scrivendo, sotto gli pseudonimi di Antonia e Rocco, il romanzo Porci con le ali, pubblicato nel 1976 da Savelli.
Ha compiuto quarantotto anni quello che fu definito il “diario sessuo-politico di due adolescenti” che fecero scandalo per il linguaggio scurrile e le oscenità di tanti episodi.
Rocco e Antonia, i due protagonisti, narrano, in prima persona, il loro anno scolastico presso il liceo romano Terenzio Mamiani. Tra frustrazioni, fantasie sessuali e impegno politico, raccontano del loro amore e delle grandi speranze nutrite dai giovani degli anni settanta, mentre Venditti cantava “Una stupida e lurida storia d’amore, d’amore per te…”.
Il romanzo, secondo le intenzioni degli autori, era destinato a circolare nell’ambiente studentesco romano. Finì invece tradotto in molte lingue, in quanto si rivelò un invito, rivolto ai giovani di tutto il mondo, a vivere liberi e felici ogni aspetto della propria vita e della propria sessualità, nonostante il disagio della condizione giovanile e il vuoto politico che, in quegli anni, iniziava a insinuarsi nel sistema democratico per divenire dominante nel presente.
Lo scrittore statunitense John Steinbeck (1902-1968), tra i più noti del XX secolo, coniò l’espressione in latino maccheronico: Ad astra per alias porci, “verso le stelle sulle ali di un maiale”, in quanto si riteneva con un’apertura alare limitata ma pieno di buone intenzioni.
Antonia e Rocco erano spinti da grandi slanci ideali e sentimentali, come i ragazzi degli anni settanta che eravamo noi e come i ragazzi di oggi che occupano le università per affrancarsi dal senso di angoscia e frustrazione che, prima col covid e poi con le guerre, ha oscurato ogni entusiasmo.
Le occupazioni e le proteste nelle università continuano a moltiplicarsi, trasformandosi in un’onda transnazionale che non può essere ignorata. I giovani cercano un confronto, un dialogo, un dibattito serio con chi ha in mano il loro futuro. Le risposte non arrivano o sono giudicate insufficienti.
I giovani chiedono un’università “differente”: le autogestioni si sono trasformate in spazi di didattica “a guida studentesca” ai quali partecipano attivisti, esperti e professori solidali.
In altri casi, chiedono che vengano eliminate dai progetti universitari attività come quella annunciata dalla Marina Militare lo scorso 3 maggio che vedrà la partecipazione di una delegazione di 65 universitari, tra studenti e docenti accompagnatori, rappresentanti di 15 università italiane, all’esercitazione Mare aperto 2024, la più importante esercitazione militare internazionale coordinata dalla Marina Militare italiana che vedrà impegnati nel Mediterraneo, per quattro settimane, più di 9.500 militari di 22 nazioni, di cui 11 appartenenti alla NATO.
Tale partecipazione, secondo gli studenti, rappresenta l’ennesimo passo verso la militarizzazione delle università che dovrebbero, invece, costituire uno spazio di condivisione e di crescita collettiva e non uno strumento di progettazione bellica né luogo di ideazione di strategie di morte.
L’intifada studentesca, schieratasi in tutto il mondo in solidarietà a Gaza, chiede poi la demilitarizzazione degli atenei italiani, visto che parte delle competenze e della ricerca, realizzate negli atenei, sono attualmente utilizzate in diversi contesti bellici, come nel conflitto israelo-palestinese.
Così, occupare le università ha come obiettivo ribaltare lo status quo spingendo gli atenei ad andare avanti senza i soldi e le connivenze col comparto bellico.
E’ un’utopia, proprio come veder volare un porco con le ali.
Altrettanto utopico è non ascoltare le grida di tanti giovani che hanno tutto il diritto di esprimere le proprie ragioni, in quanto è del loro futuro che si parla.
Non ascoltarli è segno di avere un’apertura alare limitata, come quella del maialino apparso sulla copertina della prima edizione di Porci con le ali, quella di quarantotto anni fa.