QUESTO ERA IL TITOLO DI UN MIO ARTICOLO DI 13 ANNI FA.
NON E’ CAMBIATO NULLA, ANZI E’ PEGGIORATO
E’ sempre guerra! Da secoli la settima beatitudine del discorso della montagna di Gesù è disattesa: dove sono coloro che possono annoverarsi nella categoria dei “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)? Quindi, sembra che pochi potranno essere chiamati “figli di Dio”.
Nella storia dell’umanità passata e presente a me sembra scarseggino le “persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi”. Prendiamo i recenti casi delle guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente e altri casi dei sanguinosi conflitti esplosi dopo la seconda guerra mondiale; rari come le mosche bianche sono stati i “pacificatori” e sempre inascoltati, e le azioni di mediazione organizzate per scongiurare la guerra sono state sporadiche e sempre fallite.
Tra i ricordi personali mi viene in mente l’inutile sforzo diplomatico di Giovanni Paolo II, anche attraverso il suo ministro degli esteri Jean-Luis Tauran, per convincere il presidente Bush a non intervenire militarmente in Irak. Si poteva evitare la guerra in Libia? Non lo so, ma almeno ci si poteva provare. E oggi? Pensiamo ai continui interventi, quasi giornalieri, di Papa Francesco con l’aiuto di qualche suo portavoce, completamente inascoltati, per chiedere di trattare per ridurre, anche se non eliminare, le attuali contrapposizioni di interessi e tentare di giungere alla sospensione delle attività belliche subito e predisporsi così alle trattative di pace tra le due guerre attualmente in corso.
Nei secoli le guerre ci sono sempre state e sempre ci saranno. In alcuni periodi diventano mondiali, in altri restano locali, ma la pace duratura resta un sogno. A mio modesto giudizio tutto dipende da come siamo fatti tutti noi: “impastati di bene e male” e molto più spesso prevale il male sul bene. Ricordiamoci la locuzione latina medievale “Mors tua vita mea”. Comunque è molto difficile per me trattare questo argomento per le limitazioni personali nei campi relativi alle manifestazioni del pensiero (filosofico e teologico), quindi proseguo riportando le opinioni di grandi studiosi dei comportamenti umani.
Qualche tempo fa ho letto un articolo di Vito Mancuso che mi ha particolarmente interessato perché, prendendo lo spunto dal libro di Primo Levi “La tregua” che a guerra finita sottolineava che la “guerra è sempre” e che quindi non si può dare pace ma solo, appunto, tregua. Questo il ragionamento che risponde a una precisa filosofia.
È una visione complessiva del mondo, della natura, della storia, dell’umano e del divino, esplicitata per la prima volta in Occidente da un altro greco, il filosofo Eraclito, detto skoteinós cioè oscuro, che giunse invece a dichiarare nel modo più chiaro: “Polemos [la guerra] è padre di tutte le cose, di tutte re” (DK 22B53). Nello stesso periodo in Sicilia un altro filosofo, Empedocle, concepiva la realtà come dialettica di due forze originarie, l’Amicizia e la Contesa, sostenendo che quest’ultima “è causa della corruzione non meno che della realtà delle cose” (DK 31B37). In seguito molti altri pensatori, volendo comprendere l’essenza della realtà, colsero nella guerra un’espressione naturale e inevitabile dell’essere e del suo dispiegamento, sia come natura sia come storia, tra questi Machiavelli e Giordano Bruno. Per Hobbes non solo la politica mondiale ma anche la società civile è descrivibile come “guerra di tutti contro tutti” e per sentire la forza del suo punto di vista non c’è bisogno di pensare all’Ucraina, basta considerare un condominio, o anche una famiglia. Hegel, il cui idealismo non aveva nulla a che fare con il moralismo ma aveva la pretesa di essere fenomenologia, diceva della guerra che “mediante essa la salute etica dei popoli viene mantenuta” e aggiungeva: “Come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia duratura, così la guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o addirittura perpetua” (Filosofia del diritto, n. 324, con allusione polemica a Kant come vedremo). Marx e Nietzsche, padri nobili della sinistra e della destra, condividevano ognuno a modo loro questa filosofia della storia. Oggi essa è anche la visione della natura dominante in ambito scientifico, ecco per esempio le parole di Richard Dawkins, biologo evoluzionista: “Io penso che l’immagine di una natura «con i denti e gli artigli insanguinati» riassuma in modo mirabile la moderna concezione della selezione naturale” (Il gene egoista, p. 4). Quindi Putin chi è? Un fenomeno perfettamente naturale.
Sul fronte opposto di “guerra è sempre” si colloca la filosofia secondo cui “guerra è mai”: è la visione del mondo oggi denominata pacifismo, altrettanto antica. Il suo primo e più coerente sostenitore fu l’indiano Mahavira, il fondatore del jainismo, religione al cui centro c’è la non-violenza assoluta (ahimsa), disposizione che i jainisti osservano scrupolosamente astenendosi da ogni tipo di guerra compresa quella difensiva.
Anche il Buddha, contemporaneo di Mahavira e in buoni rapporti con la filosofia jaina, fece della non violenza assoluta un punto cardine condannando ogni forma di guerra, compresa quella difensiva. La “guerra è mai” non ovviamente nel senso che non vi sono guerre, ma nel senso che esse sono sempre e comunque un tradimento assoluto della vera logica a cui siamo chiamati che è la pace. Le forze armate e le armi sono considerate di conseguenza strumenti di morte da abolire totalmente e quanto prima. È la posizione di don Milani, Aldo Capitini, Martin Luther King, Thich Naht Hanh, Gino Strada, padre Zanotelli.
Tra le due estremità vi è la terza posizione che considera la guerra una malattia, cioè un’espressione non fisiologica (come ritiene la posizione 1) ma patologica dell’umanità, la quale è “umana” esattamente perché in grado di evolvere rispetto alla mera logica naturale elaborando solidarietà, cultura, armonia. Chi, come me, si colloca in questa terza prospettiva si dispone di fronte alla guerra facendo di tutto per evitarne lo scoppio, tuttavia non esclude la liceità e persino la doverosità della guerra difensiva. Nell’antichità classica fu la posizione di Socrate, che amava la pace ma che partecipò quale oplita a tre campagne militari dell’esercito ateniese; dello stesso avviso furono Platone, Aristotele, Marco Aurelio. È anche la posizione maggioritaria del cristianesimo, rispecchiata dai due più grandi teologi cristiani di tutti i tempi, Agostino e Tommaso d’Aquino, e nel ‘900 da Emmanuel Mounier; e non a caso il Magistero cattolico ha sempre sostenuto la liceità etica della guerra difensiva (cfr. gli articoli 2263-2265 dell’attuale Catechismo). Per la teologia protestante si pensi a Karl Barth che appoggiò la resistenza armata dei cechi e a Dietrich Bonhoeffer che partecipò alla congiura dei servizi segreti militari contro Hitler. Per la filosofia moderna l’esponente più significativo di questa posizione è Kant. Egli aveva fortemente a cuore la pace, ne faceva lo scopo della sua filosofia politica prefigurando le condizioni future di pace tra gli Stati nel saggio del 1795 “Per la pace perpetua”. Kant però sapeva altresì che nel frattempo le guerre non per questo sarebbero cessate e che il compito dello Stato rimaneva quello di difendere anche militarmente i propri cittadini, come dimostra il suo elogio del militare nel paragrafo 28 della “Critica del giudizio”, nonché la settima tesi dello scritto “Idea di una storia universale”, testi a cui qui per limiti di spazio posso solo rimandare. Segnalo infine che questa terza prospettiva fu anche la posizione di Confucio, che parlava sempre con grande rispetto degli affari militari, e del libro sacro più importante dell’induismo, la Bhagavad gita, in cui il dio Krishna esorta il guerriero Arjuna alle prese con un conflitto di coscienza a compiere il suo dovere di guerriero. Ragionando sull’ideale della società non-violenta, Norberto Bobbio prese le distanze dal pacifismo scrivendo che le democrazie già al loro interno si servono della forza per far rispettare la legge ma più ancora vivono “in un universo di stati di cui la maggior parte non sono democratici” e nel quale perciò la soluzione dei conflitti “è demandata sempre, in ultima istanza, alla forza”. E concludeva: “La politica interna è condizionata dalla politica estera e la politica estera è una politica la cui manifestazione ultima, e sino ad ora ineliminabile e non eliminata, è la guerra” (Etica e politica, pp. 1047-1048). Sono parole del 1982 che oggi trovano la loro più triste conferma.
Possiamo, quindi, valutare la guerra in tre modi: come una struttura permanente e persino vitalizzante del fenomeno umano; come il male assoluto a cui opporsi sempre e comunque senza praticarlo mai in nessuna occasione e per questo smantellando gli eserciti; come un male dettato da avidità e sete di potere da cui ci si deve difendere, talora anche con le armi, ma avendo sempre come fine la pace. Guerra è sempre. Guerra è mai. Guerra è talora. Alla coscienza di ognuno il compito di riflettere e, quando occorre, prendere posizione.
Le parti evidenziate in obliquo sono state prese dall’articolo su La Stampa di Vito Mancuso del 17 marzo 2022.