Bouthoul, il pacifismo e le prospettive degli studi polemologici
Benché Bouthoul non abbia risparmiato alla guerra definizioni particolarmente dure quali: “infanticidio differito”, “epidemia psichica”, “allucinazione collettiva”, “suicidio reciproco”, parimenti non lesinò aspre critiche al movimento pacifista. In una lettera aperta lo tacciò di “ciarlatanesimo che cela compromessi politici” asserendo che ogni iniziativa “consista nel dipingere colombe e firmare manifesti”. Egli individuò varie forme di pacifismo:
- Il pacifismo “lamentoso”: quello che, nel proposito di evidenziare l’assurdità e la crudeltà dei conflitti, sembra rievocare un rito apotropaico, ovvero parlare di una calamità con il proposito scaramantico di tenerla lontana;
- Il pacifismo che discetta costantemente della pace e della non violenza;
- Il pacifismo “aggressivo pratico”: i suoi sostenitori identificano la reificazione della guerra in un nemico per cui è giusto contrastare e combattere uno Stato che rappresenta lo spirito bellico;
- Il pacifismo della “causa prima”: l’essere umano è, per natura, pacifico (il complesso di Abele che sublima l’individuo prototipo di bontà, ovvero l’innocenza primigenia) -ma è attorniato da entità malvagie per cui sorge la necessità di dotarsi di armamenti e scendere, a fini difensivi, nei conflitti. Si manifesta con la predisposizione a dotarsi di armamenti a “scopo difensivo” mentre quelli degli altri sarebbero a “scopo offensivo”;
- Il pacifismo “aggressivo”: incanala le pulsioni bellicose latenti verso una particolare rivendicazione, un’ingiustizia, un risentimento ai quali occorre trovare una soluzione. La pace seguirà solo dopo la riparazione del torto subito.
Il Bouthoul contrappone queste forme di pacifismo “declamatorio e moralista” ad uno “funzionale”, maggiormente realista secondo il suo approccio. Agli utopici propositi di estirpare il “fenomeno guerra” o di prevenirlo mediante l’adozione di sistemi giuridici occorre concentrarsi sullo studio interdisciplinare dei conflitti e sulla loro periodicità. Si tratta della polemologia che dovrebbe arricchirsi di strumenti scientifici per l’analisi delle guerre e dei contesti sociali, politici, economici e demografici nei quali esse si sono sviluppate nel passato. Lo studioso elenca alcuni elementi, una sorta di cassetta degli attrezzi, utile per l’indagine polemologica: la “struttura esplosiva”, gli “indici di bellicosità”, il “rilassamento demografico”, le “percentuali calmanti”, i “fronti polemologici”, i “complessi belligeni”, le “congiunture”, le “motivazioni polemologiche, le “zone belligene”. Mediante tali griglie immaginava di superare lo stadio di scienza per la polemologia e mutarla, almeno indirettamente, in elemento di azione sociale. Di fatto, dopo la sua scomparsa, tali indicatori non sono stati utilizzati in modo concreto.
La correlazione tra le tendenze demografiche, i fattori della polemologia e le pulsioni bellicose delle popolazioni avrebbe dovuto indurre i governi ad affrontare, seriamente ed urgentemente, le problematiche della sovrappopolazione ponendo in essere misure che egli definiva di “disarmo demografico” al fine di prevenire, nei limiti del possibile, le guerre. A fianco di una diffusa programmazione economica si doveva pensare ad una “programmazione demografica” (posizione neomalthusiana). La pace imposta de iure, attraverso le organizzazioni internazionali, non sarebbe efficace se non affiancata da politiche demografiche a livello globale che definiva un “disarmo demografico”.
Per raggiungere il “pacifismo scientifico” è necessario il sostegno della scienza, dell’analisi supportata dalle metodologie informatiche. Solo la scientificità, con le anzidette metodologie e griglie, potrebbe condurre all’identificazione dei fattori belligeni primari (eccesso di popolazione, crisi economiche, progresso tecnico ed industriale) e di quelli concausali (contingenze storiche, ideologie, psicologie collettive). Il combinato disposto dei fattori primari e concausali rende la guerra una forma di violenza “metodica, ricorrente ed organizzata”.
Conclusioni
Gli studi e le analisi di Bouthoul si sono sviluppati in un periodo di eclissi della geopolitica (secondo dopoguerra) ma con il risorgere di quest’ultima (in questi ultimi tempi spesso il termine geopolitica è stato utilizzato a sproposito o per atteggiarsi ad intellettuale, particolarmente dai mass media o da improvvisati conoscitori della materia per far colpo sull’uditorio o sul lettore) non è riemerso lo studio scientifico della polemologia. Lo spazio, nel pensiero dello studioso francese, si concretizza nell’analisi demografica del fenomeno guerra, correlata con i cicli economici, le pulsioni individuali e collettive. La combinazione di tali elementi tende a caratterizzare gli Stati maggiormente bellicosi rispetto a quelli restii ad avventurarsi nei conflitti. La guerra è vista soprattutto come nuovo bilanciamento e riassetto periodico degli squilibri di natura demo-economica. Nel pensiero di Bouthoul la polemologia presuppone una relazione diretta tra conoscenza scientifica delle guerre e la loro prevenzione. In tale approccio il conflitto viene depoliticizzato, portando in secondo piano dinamiche complesse quali l’influsso degli attori istituzionali, dei gruppi sociali e di quelli di pressione. Il metodo, pertanto, è tradizionale e statocentrico, limitativo rispetto alle nuove forme di guerra che si sono sviluppate negli ultimi decenni. Non poteva prendere in considerazione i conflitti non convenzionali come quelli asimmetrici, il terrorismo, la guerriglia, l’impiego di armi di distruzione di massa da attori non statali, ovvero tutto ciò che è estraneo alla guerra convenzionale tra gli Stati.
Il maggior contributo fornito dalla polemologia è evidente nell’approccio interdisciplinare che consente di identificare una serie di costanti generali che, ciclicamente, spingono alcune collettività a ricercare soluzioni in un conflitto armato.
Gaston Bouthoul (1896-1980), sociologo, demografo, antropologo, economista e storico del pensiero politico.