Il giorno 12 novembre 2003, a Nassiriyah, un attentato alla base Maestrale della MSU (Multinational Specialized Unit dei Carabinieri) provocò 28 morti: 19 italiani e 9 iracheni. Quanto abbia influito una certa leggerezza nel considerarci “italiani brava gente”, protetti dall’italico stellone non si sa. Dove e se abbia fallito una diplomazia sotterranea è anche di difficile decifratura.
Veniamo al libro. Sin dalla quarta di copertina si capisce che il libro è autoreferenziale, l’immagine di un “Rambo” nostrano non certo omaggia le vittime di un gravissimo attentato subito dalle nostre FF.AA. nel terzo millennio ma esalta la figura dell’autore. Tutto il testo trasuda livore, sprezzo verso non pochi Ufficiali e catena di comando. Si sarebbe potuto scrivere molti anni prima per dovere di servizio od altro. Perché non elaboralo prima? Perché il coraggio di denunciare viene dopo la pensione? Non solo a lui, a troppi.
Vi sono moltissime critiche ma tardive benché affermi di avere inviato inascoltate relazioni. Sostiene che i libri li possono scrivere solo coloro che ci sono stati; ma se così fosse i libri di storia sarebbero risultanze di fonti antiche non sempre attendibili.
Le note sono ben fatte e doviziose di utili particolari per chi non è addentro a particolari storici, delle FF.AA., di figure e procedure militari ed altro. Interessanti e puntuali le digressioni storico/archeologiche/sociologiche.
Sarebbe stato opportuno, per arricchire il testo, inserire cartine della zona, della dislocazione delle strutture e qualche foto del dopo attentato per meglio far comprendere a chi non era sul campo, nonché specificare, oltre a quelle che ci sono, le varie sigle internazionali militari perché non sempre i non addetti ai lavori le conoscono.
Il testo è molto autoreferenziale: io, io, io è il tema dominante, elogia solo sé stesso ed i Carabinieri paracadutisti del Battaglione Tuscania e del GIS, reparti dove ha prestato servizio.
Una sorta di umanesimo dove tutto ruota intorno a Burgio, non intorno a Nassiriyah, se non filtrata dalle sue capacità e dalle altrui incapacità. La sua rabbia è sempre ricondotta alle sue potenziali possibilità di evitare la strage. Sicuramente errori sul campo e sottovalutazioni del Comandante in campo e della scala gerarchica ci sono indubbiamente stati ma è facile pontificare con il senno di poi non conoscendo le valutazioni e le possibili pressioni che hanno condotto alle scelte prima dell’attentato.
Vi è un duro sprezzo, senza mezzi termini, verso chi volle rientrare in Italia dopo l’attentato. Non strinse loro le mani “per non sporcarsele”. Tutto argomentato in una decina di pagine. Parole e giudizi pesanti.
Tutto il libro è pervaso da critiche verso tutti. Proviamo ad elencarle:
- i giornalisti sono poco apprezzati, tranne un paio;
- le lotte in ambito EI e CC per primeggiare sono infauste;
- si sente vittima di dispetti dalle FF.AA. ed è critico verso le scelte centrali. Non pochi attriti, a suo dire, ci sono stati con i vertici;
- la ricostruzione dei fatti di Nassiriyah viene definita costellata da pietose bugie;
- è polemico sulla metodologia adottata per elargire riconoscimenti e medaglie;
- altrettanto polemico è su casi, veri o presunti, di familiari dei caduti e del personale presente che hanno solo pensato a ristori economici o false malattie;
- è critico sulle risultanze giudiziarie e processuali;
- è critico sulle difese approntate prima del suo arrivo;
- ipotizza timori diffusi per lo sviluppo delle carriere ed altro per molti.
In sostanza sarebbe un quasi diario, ineccepibile e ben ricostruito sino al termine delle vicende giudiziarie, se non fosse solo un pontificare sulla propria figura. Peccato perché con un tocco di umiltà sarebbe stato un ottimo libro se non fosse pervaso dalla celebrazione dell’io. Considerato che egli sarebbe stato la panacea preventiva ad ogni errore, forse il titolo più opportuno sarebbe stato: “Burgio a Nassiriyah”, sottotitolo: “come avrei evitato una strage”.