Il mio primo approccio con gli algoritmi fu negli anni 90 per cercare di sostenere un progetto di e-commerce tramite carte di credito. C’era bisogno di far in modo che il form del sito web potesse riconoscere le 4 quartine di una Visa piuttosto che di una Mastercard, cercando di scovare quelle false. Fin da subito, ci si rese conto che l’algoritmo alla base di queste 4 quartine era abbastanza complesso (ovvio..) e si poteva solo simularne “la struttura” ma non certamente garantirne l’autenticità. Alla fine, si scelse la strada più semplice, inviando direttamente il numero della carta alla società emittente ed attendendo qualche ora per la risposta.
Grazie a questa esperienza mi divenne molto chiaro un concetto banale: la complessità dell’algoritmo e le sue relazioni matematiche che lo supportavano, aveva un solo limite, cioè quello legato alle capacità di calcolo dei computer, un po’ come sulla falsariga di quella vecchia pubblicità che recitava “che per dipingere una grande parete, ci vuole un grande pennello”
Così, dopo qualche decennio, la grande parete – metafora delle complessità dei quesiti dell’ingegno umano – è stata dipinta anche grazie al grande pennello dello sviluppo computazionale dei computer, ottenendo si, lo strumento in grado di ampliare le nostre capacità di calcolo o di repository, ma andando anche molto oltre la dimensione della parete, consentendo algoritmi sempre più complessi e con le capacità di sollevarci anche da tutte quelle attività ridondanti. Teoricamente, oggi potremmo già avere un surplus di potenza di calcolo rispetto alle nostre reali necessità.
Quindi una collaborazione fondamentale, ma per alcuni aspetti tossica, ed in grado, nel futuro, perfino di tenerci in pugno.
Presumiamo di navigare senza controlli ma chissà perché Google ci mostra e mette in evidenza, quasi sempre, solo quegli interessi/ambiti cercati la sera precedente anzi, ce li propone senza neanche terminare di scrivere la richiesta; sono un Rider e le mie consegne sono stabilite da un algoritmo che decide il come e il dove non a mio vantaggio ma solo per quello dell’azienda per la quale lavoro; invio un CV per un colloquio di lavoro, ma potrebbe anche essere cestinato ancor prima che venga letto, solo perché c’è un algoritmo che è stato addestrato con un bias tarlato con dati inquinati da pregiudizi, circa il sesso o l’etnia.
Oggi, perciò, se da un lato accettiamo il cohousing con un qualcosa che prende decisioni in molti degli ambiti che tradizionalmente erano appannaggio degli esseri umani, perché indiscutibilmente gli algoritmi possono analizzare grandi quantità di dati e a velocità impensabili o possono identificare schemi e fornire raccomandazioni, dall’altro stiamo gettando le basi per un cambio di paradigma fondato su un sistema di governo e di gestione decisionale legato, appunto, agli algoritmi e ai dati.
L’ AI, che al momento ne rappresenta lo strumento più avanzato, ci impone come esseri umani, una riflessione epocale: vogliamo una serena, proficua e quanto mai opportuna transizione digitale o stiamo invece, inconsapevolmente, abdicando alle nostre capacità di valutazione e di critica in favore di una sorta di transazione dove parte e controparte si accordano per una mutua sopravvivenza? Sembra quasi la recensione della trilogia di Matrix…E tanto per restare nel campo cinematografico, vogliamo accennare anche all’analisi predittiva per la prevenzione del crimine, come in Minority Report…?
Discorso diametralmente opposto per chi invece si trova dalla parte del “manico”: coloro che gestiscono i dati – il campo dei big data, ad esempio – hanno tutti gli strumenti per pilotare i bias da dare in pasto agli algoritmi e quindi alle varie AI, raggiungendo così gli obiettivi prefissati – politici, economici o sociali – la cui valenza potrebbe essere interpretata come il miglior grimaldello di una pseudo dittatura silente.
Qualcuno, però, sembra che il problema se lo sia posto e con le successive riflessioni scaturite in ambito UE, si sono già poste le basi per una prima regolamentazione, con il varo dell’Artificial Intelligence Act, un framework che fisserà alcuni paletti, anche etici, circa gli usi specifici dell’AI e indicherà, inoltre, obblighi e linee guida per gli sviluppatori.