Nel 1929 la casa editrice milanese Alpes pubblica il romanzo Gli indifferenti scritto da un giovanissimo Alberto Moravia, il cui vero nome era Alberto Pincherle (Roma 1907 – 1990).
E’ il romanzo d’esordio scritto durante la convalescenza trascorsa a Bressanone per curare la tubercolosi ossea di cui soffriva. E’ un libro antiborghese, scritto da un borghese, come si autodefiniva, suo malgrado.
Con ineguagliabile realismo – descrivendo le vicende della famiglia Ardengo composta dalla madre, Mariagrazia, il suo spregevole amante Leo, e i due figli, Carla e Michele – Moravia, col suo linguaggio scarno, denuncia il clima di costante menzogna e il vuoto morale della borghesia di quegli anni che finì per essere riempito dai princìpi del fascismo.
La storia è ambientata interamente in spazi chiusi: le stanze della villa degli Ardengo come l’interno di un’automobile avvolta dalla pioggia, che rendono magistralmente la condizione di oppressione e prigionia in cui si muovono i protagonisti.
I giovani fratelli Carla e Michele, schiavi del denaro e del sesso, sono incapaci di provare veri sentimenti e vivere autenticamente la realtà. Sono persino indifferenti al fallimento economico e morale in cui versa la famiglia, e non riescono ad opporsi a Leo, interessato ad acquisire con ogni mezzo la proprietà della loro villa.
Mariagrazia, rimasta vedova, trascorre inconsapevolmente una vita abitudinaria senza nemmeno accorgersi che Leo, dopo la casa, ha preso di mira sua figlia Carla e, prima, abusa di lei, poi, le chiede di sposarlo.
Mariagrazia è incapace di reagire. Carla subisce passivamente l’abuso di Leo. E Michele resta indifferente all’immagine della sorella violata, finché non tenta maldestramente di vendicarla con una pistola scarica: conferma della sua incapacità di volere davvero qualcosa.
Il tema dell’opera è l’indifferenza nei confronti della vita e delle emozioni della decadente quanto annoiata società borghese. (E i personaggi, con altri nomi, continueranno poi a vivere la loro noia in un’altra opera di Moravia: il romanzo, appunto, dal titolo La noia – 1960, Bompiani).
Significativa è la scena finale del romanzo che vede Mariagrazia e Carla partecipare a un ballo mascherato. La maschera che indossano – del tutto simile, purtroppo, alle irritanti faccine attualmente molto in voga nel Palazzo – esprime tutta l’indifferenza di chi è oramai incapace di comprendere e vivere la realtà ed ha da tempo abbandonato la speranza di un cambiamento.
L’adattamento cinematografico del romanzo di Moravia diretto da Leonardo Guerra Seràgnoli (2020) colloca i personaggi in un contesto attuale lasciando, però, immutati lo stato di precarietà e il senso di stare sull’orlo di un precipizio, sempre più diffusi nel presente. Ecco, questa è l’indiscutibile contemporaneità dell’opera di Moravia: l’attesa di qualcosa di incerto e l’indifferenza nel porvi rimedio.
Liliana Segre, superstite e testimone dell’Olocausto, scrive:
“Indifferenza è quando nessuno ti parla, nessuno ti vede, nessuno ti pensa, nessuno ti aiuta, tutti voltano la testa dall’altra parte. E invece appunto bisogna conoscere, denunciare, reagire”.
“Ricordate sempre l’ammonimento di Primo Levi: Attenzione, perché è avvenuto e può avvenire di nuovo”;
“L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori”.
Appunto!!!