La società sventola ancora sul suo sito web che “nasce dal concetto di legalità come valore etico primario e precondizione per la crescita e per lo sviluppo del business aziendale”.
Non contenta aggiunge “La condotta delle nostre attività costituiscono le fondamenta della nostra stessa reputazione e integrità”. A parte il verbo “costituiscono” che non va d’accordo con il soggetto “la condotta”, nessuno può immaginare che ci sia un errore nel leggere certe frasi.
L’azienda, infatti, insiste sulle sue peculiarità e pubblica in bella vista “Questi elementi costituiscono le fondamenta della nostra stessa reputazione, della nostra integrità e condotta etica. Reputazione e rispetto delle regole sono facce della stessa medaglia. Per questo occorre interpretare il pieno rispetto della legalità non solo come virtuoso in quanto tale, ma come fattore decisivo di competitività”.
Il commento più appropriato a simili trionfali dichiarazioni è quello di uno spezzone del film “7 chili in 7 giorni” in cui la Sora Lella – rivolta ad un altro ospite della struttura per il dimagrimento – esclama candidamente “Ma n’ ce staranno a pijà per culo?”
Stiamo parlando dell’ennesimo scandalo legato al furto sistematico di informazioni riservate perpetrato ai danni di archivi elettronici delicatissimi che tutti ritenevano impenetrabili e di cui vantavano la solidità.
Il saccheggio, strutturato in maniera industriale, non può escludere la complicità di figure professionali in servizio nelle Forze di Polizia che – confidando nella improbabilità di essere scoperte – non esitano a cercare e raccogliere il semilavorato che permette al criminale di turno di confezionare il dossier più dettagliato. E’ una catena produttiva oleata da quattro spiccioli da corrispondere al tutore dell’ordine e della sicurezza pubblica che non si vergogna di tradire il suo giuramento, ben più della realtà di appartenenza e della divisa che indossa. E’ un giro d’affari a non si sa quanti zero che premia manigoldi pronti a tutto e fa gioire l’immancabile committente spregiudicato (a volte pregiudicato o, in questo caso, destinato ad esserlo).
I “datatraficantes” sono peggiori dei tradizionali “narcos” e si qualificano come un pericolo inammissibile per la democrazia e per il semplice vivere quotidiano. Il caso di “Equalize” e dei banditi che ha reclutato per le indegne operazioni illegali ci deve far riflettere. Si smetta di chiamare “hacker” chi è solo un delinquente con ottime capacità informatiche ma privo di qualsiasi scrupolo. Non si continui chiamare “business intelligence” la brutale razzia di dati mal custoditi e l’allestimento di fascicoli zeppi di porcherie cucinate solo per soddisfare le aspettative del cliente. La faccia finita il Ministro Nordico di strillare “Non siamo al sicuro. Gli hacker sono più avanti” come avrebbe dichiarato al Corriere della Sera: è lo Stato ad essere indietro, reo di aver allontanato le risorse migliori, colpevole di essersi circondato solo di amici e simpatizzanti non di rado privi della minima cognizione sul da farsi, condannato a subire umiliazioni per suo stesso masochismo.
La brutta storia che mortifica il Paese si aggiunge alle tante altre che si affastellano in sequenza rapida in questi giorni, sottolineando la totale inutilità delle Istituzioni preposte ad evitare situazioni come quelle che stiamo dolorosamente vivendo. Dov’è l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale? Dove sono quelli che si son fatti depredare archivi di estrema criticità come “SDI”, “Serpico”, SIVA” e tanti altri forzieri digitali satolli di dati segretissimi?
Il rampollo di casa Del Vecchio che cerca di incastrare il fratello Claudio e la Barilla e la ERG Petroli che vogliono (e fanno) spiare i dipendenti sono alcune delle referenze della fiorente attività imprenditoriale adesso nel mirino. Siamo soltanto al “trailer” di quello che è destinato a configurarsi come un “colossal”.
Altro che Ben Hur.