Il giorno 5 novembre si terranno le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti. In realtà già in questi giorni (27 ottobre per chi scrive) si è cominciato a votare per posta in alcuni stati.
Molti commentatori dicono che mai come in queste elezioni il voto tra i due candidati, Trump e Harris, è in bilico. In realtà siamo da parecchi anni abituati a vedere le elezioni Americane come una gara all’ultimo voto.
I lettori ricorderanno le elezioni tra Bush e Gore del 2000, terminarono con un estenuante riconteggio delle schede elettorali in Florida, e che alla fine prevalse (dopo un mese) il candidato Repubblicano per soli 537 voti. Ma anche nel 2016, quando vinse Trump sulla Clinton, e nel 2020 dove prevalse Biden su Trump, i margini furono molto risicati.
Nel caso della vittoria di Trump del 2016 i sondaggi davano in vantaggio la Clinton praticamente fino alla fine, e fu una sorpresa vedere assegnata la vittoria ad un improbabile outsider quale Trump era considerato. In effetti i voti popolari furono a favore della Clinton, ma il meccanismo elettorale degli Stati Uniti consentì a Trump di prevalere.
Il regolamento elettorale assegna ad ogni Stato federale un certo numero di grandi elettori; alla fine il candidato che raccoglie 270 voti vincerà le elezioni. Ecco perché durante la campagna elettorale c’è la spasmodica corsa per cercare di accaparrarsi i voti di più Stati possibili e quindi dei rispettivi grandi elettori. È chiaro che alcuni Stati hanno una tradizione radicata del voto; ad esempio, la California è da sempre Democratica, come il Texas è solidamente Repubblicano.
Dunque, hanno una grande importanza gli Stati che sono propensi ad alternare il voto e dove è contendibile il risultato. Vengono chiamati “swing State” ed in queste elezioni sono 7: Arizona (che porta in dote 11 grandi elettori), Georgia (16), Michigan (15), Nevada (6), North Carolina (16), Pennsylvania (19), Wisconsin (10). Tra questi quello che porta il numero maggiore di grandi elettori per raggiungere la fatidica soglia di 270, è la Pennsylvania. Ed è per questo che chi vincerà lì avrà grandi probabilità di vittoria a patto, comunque, di aggiudicarsi qualcuno degli altri sette.
Occhi puntati dunque sulla Pennsylvania.
Analizzando i sondaggi, che ogni minuto vengono sfornati dalle varie agenzie di statistica, si vede che il voto femminile incide a favore della Harris per un 50% a suo favore contro il 44% di Trump. La situazione si ribalta degli stessi punti percentuali ma a favore di Trump per quanto riguarda il voto maschile: 51% a 45%
Sui temi principali quali:
- Aborto
- Proteggere la democrazia
- Politica estera
- Economia
- Immigrazione
La Harris prevale sui primi due, mentre Trump viene giudicato più favorevolmente sugli altri tre.
In politica estera viene percepito come colui che con il suo pragmatismo da imprenditore possa contrattare con Putin e Zelensky una pace negoziata, al primo prospettando un aiuto massiccio e indeterminato di aiuti all’Ucraina in caso di diniego, ed al secondo una cessazione immediata degli aiuti militari ed economici senza i quali l’Ucraina non è in grado ormai di sopravvivere. Sulla base di queste due opzioni molti ritengono ci sia una concreta possibilità di aprire un tavolo di trattative che porti ad una soluzione del conflitto.
Inoltre, un altro fattore che potrebbe giocare a favore di Trump è il fatto che il partito Democratico ha perso “contatto” con le classi lavoratrici e meno abbienti; un fenomeno che è cominciato con la presidenza di Bill Clinton ma che si è consolidato via via negli anni. Laddove la prospettiva di abbassare le tasse (o almeno non aumentarle) di Trump ha sempre una grande presa su chi fa fatica ad arrivare a fine mese o vive dello stipendio e non riesce a risparmiare nemmeno un penny.
Trump viene accusato di essere impresentabile, e forse questo termine a noi Italiani dovrebbe ricordarci qualche cosa; anche in America molti atteggiamenti di Trump sono stati sdoganati come “comportamenti” umani che in qualche maniera lo rendono più appetibile al palato del suo elettorato. Il soprannome affibbiatogli, “Mr. Teflon” rende bene l’idea: tutto gli scivola addosso e tutto gli viene perdonato in nome della difesa degli interessi di categoria. Come, ad esempio, la spinosa questione dell’immigrazione irregolare; si ricorderà l’anno scorso il braccio di ferro tra lo Stato del Texas ed il Governo Federale di Biden dove mentre il primo costruiva le barriere al confine con il Messico il secondo gliele demoliva.
La Harris forse paga proprio questa sua continuità con Biden e non è riuscita veramente a dare l’immagine di sé stessa come di una vera innovatrice. Quando Biden vinse nel 2020 contro Trump, ebbe l’80% del voto degli Arabi americani: oggi a causa della situazione in Medio Oriente la Harris può contare solo sulla metà di quei voti.
Poi c’è un fattore che non viene molto menzionato, ma che a mio giudizio è determinante per avere una fotografia completa del voto del 5 novembre: l’élite intellettuale americana ha bollato come impresentabile chi si professa Trumpiano. Un fenomeno che anche in Europa è piuttosto diffuso e che tende a considerare meno uguale dell’altro il voto o il supporto verso un certo candidato o parte politica.
In verità Trump ha avuto “l’endorsment” di illustri magnati quali Elon Musk, Jeff Bezos, Bill Ackman, ma per molti rimane difficile dichiararsi sostenitori di Trump in molti “circoli”, ed il farlo non è un buon biglietto da visita; dunque, anche i sondaggi potrebbero riservare qualche sorpresa in tal senso.
Quindi è davvero difficile poter predire chi sarà il prossimo inquilino/a della Casa Bianca. Certamente una Nazione come gli Stati Uniti avrebbe forse potuto e dovuto esprimere candidati migliori di questi. Le capriole del Partito Democratico che a pochi mesi dalle elezioni hanno sostituito il candidato presidenziale, non sono state uno spettacolo entusiasmante né per gli elettori, né per il mondo che sta alla finestra a guardare cosa accade nel Paese che ancora esprime la forza militare più potente al mondo.
Personalmente non sono incline a fare previsioni sul futuro delle cose: nessuno ha la palla magica di cristallo e può prevedere cosa accadrà domani; qualunque cosa si dica oggi è un azzardo. Ma rimanendo nel campo dell’azzardo e delle scommesse, se proprio fossi obbligato, mi unirei alla previsione di alcuni studiosi qualificati che ad oggi punterebbero su Trump proprio in virtù di quella leggera brezza in suo favore che da qualche giorno sta spirando dagli “Swing States”.
Buone elezioni a tutti.