In un precedente articolo si è accennato all’esistenza, in Medio Oriente, di zone idro-conflittuali a rischio, a causa dell’aridità dei territori. Facciamo qualche riflessione su Israele.
Il bacino del Giordano rappresenta il luogo storico dei conflitti arabo-israeliani. La penuria di acqua aggrava le tensioni politiche già esistenti. Le alture del Golan (occupate da Israele) sono il più importante “castello d’acqua” (cioè la riserva idrica di un Paese o di un territorio) dell’area.
Le acque del Giordano e degli affluenti della riva sinistra alimentano il lago di Tiberiade, che è la sola riserva di acqua non salata di Israele. Il valore strategico è rafforzato dal problema del sale, presente nelle falde acquifere di Gaza. Israele non ha mai fatto mistero della volontà di battersi per garantire i propri approvvigionamenti idrici.
I piani per una “Valle del Giordano” ed un conseguente statuto che regolasse lo sfruttamento delle acque in ossequio ad un accordo regionale sono miseramente falliti. Nel 1955, un progetto statunitense (Piano Johnston) prevedeva la cooperazione dei Paesi rivieraschi: 56% delle acque alla Giordania, 31% ad Israele, 10% alla Siria e 3% al Libano.
Il Piano, approvato dagli esperti internazionali, non fu accettato dagli Stati interessati che studiavano progetti nazionali di occupazione.
Nel 1962, il Primo Ministro israeliano dichiarò: “l’acqua è il sangue delle nostre vene” ed impedirne l’accesso sarebbe stata causa di guerra. Nel 1964, Israele realizzò un canale che portò le acque del lago di Tiberiade al deserto di Nagev realizzando una irrigazione per il 42% dei territori. Oltre 300 milioni di metri cubi di acque del Giordano dovevano essere portate fuori dal bacino.
I Paesi arabi, naturalmente, non accettarono e realizzarono altri canali e dighe per convogliare le acque del fiume Giordano verso i fiumi Litani (o Leonte, che scorre nella piana libanese della Bekaa) e Yarmuk (nasce in Siria e per un tratto segna il confine con Israele; affluente del Giordano, un suo ramo defluisce nel mar Morto).
Se l’opera fosse stata realizzata Israele avrebbe perso il 35% del suo rifornimento idrico. L’aviazione israeliana bombardò i cantieri ponendo le basi alla Guerra dei Sei giorni del 1967.
Nel 1957, la Giordania avviò lo scavo del canale di Ghor, sulla riva sinistra del Giordano, partendo dallo Yarmuk, per irrigare la valle del Giordano. Se il conflitto con l’Egitto era legato alla sicurezza del canale di Suez, le rivalità con Siria e Giordania erano riconducibili al problema degli approvvigionamenti idrici. Dal Golan si controlla il castello d’acqua del Giordano, le risorse idriche delle montagne, la parte a valle del fiume, compreso il collegamento con il canale di Ghor.
Nel corso degli anni Israele, con legislazioni nazionali e mediante lo sfruttamento dei Territori Occupati, ha imposto, di fatto, un monopolio dello sfruttamento idrico (quantità, metodologie di distribuzione, multe, diritti di perforazione, tariffe) al fine di salvaguardare gli interessi dei propri cittadini. In questi giorni, dopo la caduta del regime di Bashar Assad in Siria, Israele si è concentrato sia sui bombardamenti di postazioni militari, per timore che cadessero in mano degli uomini di Al Jolani, sia sulla difesa delle alture del Golan.
Questo a dimostrazione della sua importanza strategica, non solo militare ma anche ai fini degli approvvigionamenti di acqua.
Perno dello sfruttamento dell’acqua è l’agricoltura. Israeliani e palestinesi sono profondamente legati alla terra che è parte di un “processo di identificazione nazionale”. Gli israeliani identificarono nella coltivazione della terra il mito dell’immaginario collettivo sionista; un pioniere-contadino che ritorna alla propria sacra terra promessa.
Anche se i giovani, a partire dall’ultimo decennio del XX secolo, hanno mutato molti stili di vita, il “mito” non si è spento. I palestinesi hanno tradizioni rurali ed agricole; la popolazione vive, per almeno i due terzi, in villaggi. Le radici contadine, oltre ad essere identitarie, sono anche un modo di legittimarsi.
Israele ha destrutturato l’agricoltura per colpire le radici culturali dei palestinesi che, privati delle loro attività tradizionali agricole, sono stati costretti a lavorare nel mercato israeliano, al quale forniscono manodopera a basso prezzo.
I rischi politici ed economici per i palestinesi sono palpabili. Se fino a pochi giorni or sono Israele non aveva in animo di restituire il Golanalla Siria ora la situazione appare diversa, più complessa anche per la debolezza attuale del Libano e lo stato di belligeranza diffuso. Negoziati per lo sfruttamento idrico appaiono sempre più lontani. Israele non intende rinegoziare l’accordo (siglato nel 1994) sulla condivisione delle acque del Giordano con la Giordania, in quanto attualmente ne è favorito.
La Cisgiordania è una fonte essenziale per l’acqua di Israele; tale elemento prevarica i fattori politici e strategici.
La strategia dell’acqua è determinante e condizionante. Pertanto, l’approvvigionamento idrico è sempre più un elemento imprescindibile del processo di pace in una Regione dove ai problemi etnici, religiosi e terroristici si aggiungono quelli di uno sviluppo demografico notevole che vede svantaggiato Israele (media di 2,75 figli per donna contro 6,3 nei territori palestinesi, almeno sino al 7 ottobre 2023).