Nelle stesse ore in cui ci si preoccupa di spendere una fortuna per comprare servizi satellitari che hanno controindicazioni evidenti, rivestono priorità discutibile e meriterebbero alternative, i Tribunali vanno in tilt.
In un Paese dove il problema sono le “toghe rosse”, il sistema nervoso del processo penale rimane paralizzato dai malfunzionamenti di una soluzione tecnologica che, invece di offrire pratici vantaggi, spiattella un mare di problemi e mette in ridicolo la tanto decantata automazione della pubblica amministrazione e la semplificazione dei rapporti con il cittadino.
L’inizio dell’anno doveva essere caratterizzato dal varo del cosiddetto “Processo penale telematico”, ma come nei film di Paolo Villaggio la bottiglia centra in pieno il giudice in aula e tutto affonda miseramente spegnendo i consueti entusiasmi che accompagnano inaugurazioni e avvii.
Udienze sospese, rinviate. Il caos infernale è frutto di firme digitali che non vengono accettate, di verbali informatizzati impossibili da redigere e di mille altre piccole cose che timbrano in maniera indelebile lo stato dell’arte dell’evoluzione digitale nella povera Italia.
Sul fronte della giustizia i temi in ballo sono tanti e tra questi spicca la querelle della “separazione delle carriere”, sistema che – a mio avviso – non dovrebbe essere limitato al contesto giudiziario.
Mi spiego meglio, perché non è questione di giudici e pubblici ministeri.
In tutta la Nazione dovremmo applicare – senza ulteriore ritardo – la separazione delle carriere mettendo da una parte imbecilli, incapaci, parenti, amici e “raccomandati semplici” e dall’altra le persone competenti e per bene.
Mi sorprende che nessuno si batta per una dicotomia che non può attendere oltre e di cui nessuno si prende la briga di parlare.
L’ennesimo episodio di inettitudine meriterebbe di costituire lo spunto per far scattare almeno una preliminare procedura di identificazione e classificazione di quelli che da noi fanno carriera.
Il piatto della bilancia pende dalla parte degli incapaci, mettendo in evidenza un disequilibrio significativo cui difficilmente si può porre rimedio in tempi brevi. Qualcosa però lo si può fare.
Bisogna cogliere la golosa occasione della paralisi del neonato processo penale telematico che nell’antica Roma sarebbe stato gettato dalla Rupe Tarpea. Per cominciare un inappellabile iter selettivo si può cominciare a rispondere ad alcune domande, le cui risposte agevolano la procedura di suddivisione di dirigenti e funzionari nei ruoli di rispettiva destinazione.
Ci si chieda chi ha progettato, realizzato e collaudato i programmi informatici che non hanno funzionato, chi li ha sponsorizzati, chi li ha ritenuti idonei e pronti ad entrare in esercizio, chi ha pagato le fatture ai fornitori senza sincerarsi della bontà del prodotto o del servizio, chi ha strombazzato come imminente successo un fallimento di cui vergognarsi a livello planetario…
Il formulario, è ovvio, va redatto con calma e precisione ma i quesiti possono essere un buon punto di partenza.
Qualora non ce ne si fosse resi conto, in Italia esistono una Agenzia per l’Italia Digitale, una Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, un Dipartimento per la Trasformazione Digitale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e chissà quante posizioni manageriali con responsabilità stratosferiche tutte remunerate in maniera faraonica.
Se con tutti questi signori le cose non funzionano e si viene spernacchiati dall’universo intero, la “separazione delle carriere” deve essere attuata subito. Senza scuse.