Non è cosa solo di oggi che nei negoziati tra stati per la liberazione di un ostaggio compaia un americano. In chiaro o in incognito.
Accadde anche tra fine 1962 e inizio dell’anno successivo, quando l’arcivescovo di rito bizantino, Joseph Slipy, ucraino e imprigionato dai Russi, fu consegnato al Vaticano grazie alla mediazione che il giornalista statunitense, Norman Cousins, fece tra Kruchev e Giovanni XXIII. Se ne erano interessati anche Amintore Fanfani, Ettore Bernabei e perfino Palmiro Togliatti, come risulta da una nota trovata nelle sue carte, ma decisivo fu l’incontro di Cousins col capo supremo dell’Unione Sovietica. Il giornalista, che era in buoni rapporti con Kennedy, guidava il Gruppo di Darthmouth: intellettuali e consiglieri della Casa Bianca e del Cremlino che periodicamente si incontravano per discutere dei problemi del mondo in modo informale e privato e poi riferirne.
Il 14 dicembre 1962, Cousins ebbe con Kruchev un lungo colloquio preparato accuratamente in incontri, da un lato con mons. Dell’Acqua della Segreteria di Stato vaticana, il cardinale Tisserant Decano del Sacro Collegio e il cardinale Bea capo del Segretariato per l’unità dei cristiani. Dall’altro, con gli amici sovietici del Gruppo di Darthmouth. Una sorta di negoziato indiretto durante il quale chiese, appunto, la liberazione dell’arcivescovo Slipy e Kruchev si impegnò ad esaminare la richiesta. La sottopose, infatti, al Soviet Supremo che l’approvò ed il 28 gennaio 1963 Slipy potè lasciare il campo di lavoro forzato in Mordovija dove era stato da ultimo deportato e nel quale, dicono, si praticava anche la “morte naturale”. Erano passati 18 anni dall’11 aprile 1945, quando era stato arrestato la prima volta perchè aveva rifiutato di abbandonare i suoi connazionali ucraini insorti per l’indipendenza da Mosca e di separarsi dalla Chiesa di Roma, nonostante l’offerta della promozione alla sede di Kiev e, successivamente, perfino di divenire patriarca di tutte le Russie.
Gli agenti del KGB lo accompagnarono a Mosca dove fu preso in consegna da mons. Willebrands del Segretariato per l’unità dei cristiani, col quale, in treno, giunse libero a Vienna e, il 9 febbraio, alla stazione di Orte incontrò il segretario particolare di Giovanni XXIII, monsignor Loris Capovilla, che il giorno dopo lo avrebbe portato dal papa.
A Roma, nonostante la nomina a cardinale e la basilica di S. Sofia che fece costruire a Boccea ad imitazione della chiesa madre di Kiev, si sentì sempre esule e visse fino a novantadue anni promuovendo incontri in ogni parte del mondo per parlare del suo popolo che considerava perseguitato e proclamandosi “un condannato, testimone dell’Arcipelago, così chiamato da Solzenicyn, del quale reco nel corpo le cicatrici”.
Del Gruppo di Darthmout faceva parte anche un domenicano belga, Felix Morlion, impegnato fin dal 1942 nel Centro Informazioni Pro Deo, un’agenzia cattolica internazionale in rapporti con l’OSS- Office of Strategic Service, antenato della CIA, anche se – come spesso accade quando si devono decrittare i comportamenti degli ecclesiastici – non è chiaro se il frate avesse consapevolezza di essere in qualche modo un agente del servizio segreto americano.
In Italia arrivò nel 1944, presentato ad Alcide De Gasperi da don Luigi Sturzo, il fondatore del Partito Popolare che, dopo i Patti Lateranensi, riparò in America, esule più o meno volontario. Nella lettera, Sturzo lo definiva “nostro amico. Egli desidera trovare collaboratori alla sua opera importante. Che non cada in mano a persone che non comprendono il significato della vittoria alleata e del nuovo ordine sociale”.
A Roma organizzava riunioni, riceveva e trasmetteva informazioni, fondò l’Università Pro Deo che per esigenze di bilancio fu poi sostituita dalla LUISS.
Con Cousins, tre mesi prima della liberazione di Slipy, era ad Andover dove si teneva la consueta riunione del Gruppo di contatto. Era il momento della crisi di Cuba e del rischio di conflitto nucleare conseguente al braccio di ferro di Kruchev, che voleva impiantare missili nell’isola, con Kennedy deciso ad impedirlo. Il richiamo di un’alta autorità morale avrebbe potuto contribuire a scongiurare il pericolo ed anche il segretario dell’ONU, U’Thant, conveniva sull’opportunità di un pubblico intervento di Giovanni XXIII.
Ad Andover, il 22 ottobre, gli intellettuali delle due parti sondarono la disponibilità dei belligeranti ad accoglierlo e stilarono poi un documento che ottenne il via libera sia della Casa Bianca che del Cremlino. Padre Morlion ne diede notizia alla Segreteria di stato e nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre Giovanni XXIII, nel suo appartamento privato con mons. Dell’Acqua e mons. Cardinale del Protocollo, definì il testo dell’appello che – previa consegna alle ambasciate sovietica e statunitense a Roma – fu letto e radiotrasmesso il giorno dopo al termine di un discorso a un gruppo di pellegrini portoghesi: “Supplichiamo i Capi di Stato di non restare insensibili al grido dell’umanità”.
Kruchev commentò poi:” perdiamo un gioco nucleare a Cuba, ma guadagniamo stima nel mondo” e, nell’incontro in cui promise la liberazione di Slipy, consegnò a Cousins un messaggio autografo di auguri per il papa, il quale ne fu lieto e “ricambiò” con una medaglia che il giornalista americano avrebbe dovuto portare “a chiunque l’abbia meritata”. Essa, “rimase bene in vista sul tavolo di Kruchev e – commentò Andreotti -chissà che non abbia contribuito al suo tramonto politico”.
Gli incontri del Gruppo di Darthmouth continuarono per anni. Cousins nell’aprile del 1963, portando a Kruchev, a nome del papa, una copia della Pacem in terris, profittò per chiedere un’altra liberazione. Quella del cardinale Josef Beran, “ostaggio” in Cecoslovacchia.