E’ sorprendente come i sovranisti nostrani (italiani ed europei) non perdano occasione di osannare il neo presidente statunitense Donald Trump per le sue dichiarazioni di intenti.
La prepotente vena imperialista espressa dal Nostro non sembra minimamente impensierirli; eppure, voler ribattezzare come “Golfo America” quello che è ormai storicamente conosciuto come Golfo del Messico, o manifestare mire espansionistiche verso Panama e Groenlandia sono in tutta evidenza sintomi di una volontà imperialista che prescinde da storia, trattati internazionali e logica politica.
Il paventato attacco alla Groenlandia, in particolare, costituirebbe un attacco all’Europa, in quanto territorio danese, ma l’Unione Europea non suscita grandi simpatie nei sovranisti i quali, in quanto tali, badano esclusivamente ai loro confini.
Questa ubriacatura sovranista coinvolge anche quelle componenti politiche che eravamo soliti considerare “moderate” e maggiormente votate ad una visione internazionale, quando non sovranazionale.
Esempio sconvolgente ci è fornito dalle affermazioni del vice premier e ministro degli Affari Esteri italiano Antonio Tajani, i quale, intervistato per strada sulla sorprendente liberazione del generale libico Almasri, ha dichiarato come l’Italia non sia “sotto schiaffo a nessuno”, che la Corte Penale Internazionale non è la bocca della verità e che l’Italia è uno Stato sovrano.
Il fatto che la Corte sia un organismo cui si debba aderire come condizione di appartenenza all’Unione Europea (come ricordato da un editoriale di Ferruccio De Bortoli pubblicato il 24 gennaio sul Corriere della Sera) non sembra preoccupare il nostro ministro che, è bene ricordarlo, unitamente al presidente del Consiglio dei Ministri esprime le linee di politica internazionale del governo e ne guida le attività in campo internazionale.
Quasi non bastasse l’enormità delle dichiarazioni dell’onorevole Tajani, giova sottolineare la situazione in cui tali affermazioni sono state espresse: mentre camminava lungo le strade che costeggiano i palazzi del potere, rispondendo alle incalzanti domande di una giornalista che, lungi dal genuflettersi al cospetto del potente, svolgeva con ammirevole professionalità il proprio lavoro.
Due battute buttate lì, con sorprendente superficialità, condita da un pizzico di arroganza, mentre regalava l’ennesima figuraccia alla credibilità internazionale dell’Italia, anzi del “nostro Paese”, come amano ripetere i nostri politici, forse intimoriti dal pronunciare il nome di una nazione che è risorta dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale riaffermando il proprio valore nel consesso internazionale, anche con l’adesione ad accordi che la vincolano a comportamenti improntati al rispetto delle regole condivise.
Trattati internazionali ridotti a carta straccia con due frasette regalate quasi distrattamente al cronista di turno, in nome di un supposto sovranismo tanto fumoso quanto anti storico.
E così assistiamo allo straniante spettacolo offerto da chi dovrebbe essere il difensore degli accordi internazionali e ne diventa invece il distruttore: il mondo al contrario, oltre ad essere il titolo di un grande successo editoriale (ed elettorale…) diventa la realtà in cui ci troviamo a vivere, sgomenti.