Questo fine settimana, tra le notizie che arrivano dai nuovi Stati Uniti d’America, una ha catturato l’attenzione del pubblico, non solo per la sua portata simbolica, ma anche per l’eco che ha generato nelle polemiche politiche.
La portavoce della Casa Bianca ha infatti annunciato l’avvio di quella che si preannuncia come la più grande operazione di espulsione di massa della storia, con una prima espulsione 540 immigrati clandestini originari da Centro e Sud America, i quali arrestati, incatenati mani e piedi, e sarebbero stati espulsi verso i rispettivi paesi di origine con voli militari.
Durante la precedente amministrazione Biden erano stati rimpatriati immigrati irregolari in numeri molti elevati, tuttavia quello che colpisce davvero è, al di là della propaganda mediatica, la reazione dei presidenti dei paesi di destinazione. Una parte di questi immigrati è stata trasferita in Guatemala, dove circa 200 persone sono state accolte senza polemiche.
Diverso il caso del Messico, dove le autorità hanno regalato al mondo un momento di suspense: prima hanno negato e poi concesso l’atterraggio di un volo militare USA. Il tutto condito da una battuta a Trump: “Il Golfo del Messico si chiama ancora così” Una piccola, ma significativa, rivincita simbolica, un modo per ricordare che la geografia non si riscrive con leggi e ordini esecutivi.
Più a sud, il presidente del Brasile ha accolto i suoi connazionali con sdegno, denunciando il trattamento “denigrante” riservato ai clandestini. Le immagini in diretta degli 88 brasiliani in catene atterrati a Belo Horizonte, sono diventate il simbolo di un’operazione che, più che un rimpatrio, sembrava una parata militare di ritorno a casa, ma senza onori. Le autorità brasiliane hanno sottolineato con fermezza che il rispetto della dignità umana è uno dei pilastri dello stato democratico e che tali valori non sono negoziabili.
Domenica 26 gennaio, il presidente colombiano Gustavo Petro ha impedito l’atterraggio di due voli militari statunitensi che trasportavano i migranti colombiani espulsi dagli Stati Uniti: “gli Stati Uniti non possono trattare i migranti colombiani come criminali”, ha affermato Petro.
Tuttavia, secondo Marco Rubio, segretario di Stato statunitense, il presidente colombiano aveva inizialmente concesso tutte le autorizzazioni necessarie, salvo poi cambiare idea mentre gli aerei erano già in volo. La reazione di Trump è stata immediata: dazi d’emergenza del 25% su tutte le merci colombiane in arrivo negli Stati Uniti, con l’intenzione di aumentarli fino al 50% nel giro di una settimana. Inoltre, Trump ha subito imposto un “divieto di viaggio” per i cittadini colombiani e ha revocato i visti per i funzionari colombiani negli Stati Uniti.
Petro, dal canto suo, non ha tardato a rispondere, annunciando dazi del 25% sui beni statunitensi. Dopo ore di trattative, i due governi hanno trovato un accordo: Petro ha accettato tutte le condizioni proposte da Trump, in cambio, la Casa Bianca ha concordato di rinviare l’imposizione dei dazi sulle merci colombiane.
Il governo colombiano ha confermato l’accordo, ma lunedì scorso secondo un comunicato del ministero della Difesa colombiano, un aereo presidenziale è partito per gli Stati Uniti per rimpatriare i migranti irregolari identificati da Washington.
Il messaggio di Petro a Trump era stato chiaro: avrebbe accettato solo voli civili. Petro aveva anche pubblicato un lungo post su X rivolto direttamente a Trump che ha suscitato reazioni inattese il cui contenuto è particolarmente significativo; consiglio di leggerlo perché esprime un pensiero e delle preoccupazioni condivisibili.
Mala tempora corrunt, sed peiora parantur… In effetti, nelle ultime settimane si è parlato molto di voli di stato, riservati a categorie speciali di viaggiatori piuttosto che del futuro o della salute del pianeta. Il nostro Presidente del Consiglio ha preso un volo per Mar-a-Lago, con l’intento di risolvere una delicata questione diplomatica, mentre un ingegnere iraniano con passaporto svizzero, arrestato in Italia, è stato rimpatriato in Iran grazie a un volo del governo italiano. Non c’è che dire: l’ingegnere è tornato a casa, ma una nostra brava giornalista ha visto finalmente il suo caso risolto.
E, naturalmente, non poteva mancare il tocco del made in Italy: la cronaca italiana ha trovato anche spazio per un ricercato libico di fama internazionale (ricercato dalla Corte Penale Internazionale), “salvato” da un volo executive del governo italiano, che lo ha riportato in patria evitando che venisse trattenuto nella bella Italia. Tutto sempre gestito via tweet!
Il quadro che emerge è tanto variegato quanto surreale: voli con clandestini in catene, rimpatri “VIP” a sentimento: un giro del mondo che lascia più interrogativi che risposte. Forse sarà il colore delle chiome di alcuni leader internazionali coinvolti che a me ricordano le nuances del Crodino, “l’analcolico biondo che fa impazzire il mondo”. Ma davvero dobbiamo continuare così?