Lirio Abbate, siciliano, è autore di esclusive inchieste su corruzione e mafie. Autore di diversi libri, caporedattore a La Repubblica, è stato direttore del settimanale L’Espresso.
Il libro entra “nei misteri del lato più intimo e segreto di un uomo che si descrive fondamentalmente solo e in guerra”. Mattia Messina Denaro si autodefinisce: “Io sono agnostico per natura e per intelletto, credo soltanto in me, nelle mie
capacità, e nei miei ideali”. Soprannominato “u Siccu”, era figlioccio di Salvatore (Totò) Riina il quale lo definì con: “inimmaginabili doti efferate e strategia criminale”. Nei suoi “libricini” Messina Denaro non parla dei suoi crimini ma si vanta delle proprie capacità, di qualità innate gli hanno consentito di vivere e fronteggiare una vita non facile. Definisce i mafiosi ”uomini veri” e “stirpe illustre”. Si sente e si sentono vittime dello Stato che non riconoscono: sono “siciliani”, oppressi dai conquistatori. Vi sarebbe un’etica delle armi poiché la violenza è una necessità, non un mito. Non ha mai avuto una vera comunicazione con gli altri, li ha solo sottomessi o dato ordini e pensato a sé stesso. La sua solitudine è stata la tutela per la sua latitanza, pianificata nei minimi dettagli, in modo quasi maniacale. Tutto è mutato con la malattia che gli imponeva dei ritmi da lui non gestibili. A tratti sincero e malinconico tace sempre sui crimini mafiosi, disprezza regole ed autorità.
Nei libricini, scritti in ordinato stampatello, ha creato una realtà parallela, da grande manipolatore. Supponente, ha una enorme autostima. La figura del padre è un riferimento, venerato, quasi perfetto; solo a lui ed alla figlia manifesta sentimenti di umanità.
La figura centrale degli scritti di Messina Denaro è la figlia Lorenza; l’autore dice: “Fare un riassunto di cosa provava per la figlia è impossibile. Non si può condensare un simile magma di sentimenti”. La madre è Franca. Il boss nutre per la madre di Franca odio; scrivendo alla figlia la chiama sempre “la madre di tua madre”, mai nonna. Per Franca “odio misto al ricordo di un affetto passato”. Il diario che Messina Denaro ha scritto per la figlia Lorenza è di precisione maniacale nella scrittura. Un testo di liberazione e giustificazione nello stesso tempo. Tra Messina Denaro e la figlia vi è un “solco profondo”. L’unica persona che non è riuscito a piegare ai suoi voleri. U Siccu parla di Martina, figlia della sua amante e convivente per alcuni periodi. Se per Lorenza si notano rimpianti e senso di protezione, Martina e la madre sono state la sua famiglia. Nello scritto emerge sempre il suo senso di protezione da interpretare in chiave patriarcale, quasi soffocante e di censura per i costumi. Rinfaccia a Lorenza di averlo abbandonato ma chi non ne avrà benefici è lei. Sempre un manipolatore della realtà.
Il libro è scorrevole nel linguaggio e chiaro, non prolisso. L’analisi degli scritti di Messina Denaro è accurata, puntuale, commentata in modo impeccabile anche per singoli brani dei libricini. L’autore analizza la personalità dell’uomo, non del criminale alla cui “carriera” sono dedicate le ultime pagine del libro. Una profonda ricerca interiore dell’uomo e del criminale, che tenta di mettere a nudo l’intimo del boss. U Siccu aveva un rapporto molto particolare con le donne, si sentiva dotato di un fascino magnetico.
Il libro certamente è dedicato a chi è interessato alla materia del crimine organizzato, non è certo un romanzo rosa; un libro avvincente tanto da potersi distrarre e non pensare che si parli di un criminale che ha fatto scorrere molto sangue in Italia.