Anche nei fatti di ‘ndrangheta, difficili da permeare, soprattutto a distanza di anni, si può pensare di fare luce, quando la perseveranza di una famiglia incontra la coscienza di un magistrato e la comprensione di un’associazione, rendendo possibile ritrovare la speranza di arrivare ad una verità, che possa soddisfare l’irrefrenabile sentimento dei familiari, vittime innocenti, anche loro, insieme al loro caro barbaramente ucciso.
I fatti risalgono a 30 anni fa, la mattina del 4 febbraio del 1995, quando Pietro Sanua, un ambulante lucano di prodotti ortofrutticoli, presidente provinciale milanese dell’Associazione Nazionale Venditori Ambulanti (Anva) e fondatore dell’associazione “Sos impresa” a Milano, viene ucciso, di fronte al figlio ventunenne, con due colpi di fucile a canne mozze, mentre era alla guida del suo furgone.
La colpa: essersi coraggiosamente opposto ai sorteggi pilotati degli spazi pubblici assegnati agli ambulanti, ed al traffico di droga all’interno dell’Ortomercato di Milano che all’inizio degli anni ’90 era già presente ed in via di sviluppo, arrivando a scontrarsi, con diverbi in pubblico, con alcuni componenti appartenenti alla famiglia di ‘ndrangheta dei Morabito, legati in qualche modo alla famiglia dei Sergi e dei Papalia, storica presenza di ‘ndrangheta nel Sud di Milano.
Le indagini avviate nei giorni seguenti, vengono interrotte con un provvedimento di archiviazione l’agosto successivo, solo dopo pochi mesi.
La famiglia non ha mai cessato di chiedere giustizia, o almeno di conoscere la verità, facendo memoria di quanto accaduto ogni anno, fintanto che qualche anno fa, grazie al supporto di Don Ciotti e della famiglia di LIBERA, la più articolata ed organizzata Associazione antimafia presente sul territorio nazionale con nuove sezioni anche in vari paesi del mondo, ha incontrato la disponibilità della dottoressa Alessandra Dolci, a capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, che ha riaperto le indagini, portando all’effettuazione di alcune perquisizioni a carico di alcuni soggetti contigui ad elementi di spicco della ‘ndrangheta presente a Milano e nell’hinterland, partendo da un diverbio che Pietro Sanua aveva avuto con un elemento vicino ad una storica famiglia di ‘ndrangheta operante nel sud di Milano.
Ovviamente non ci sono ancora certezze, ma inizia ad intravedersi una luce in fondo al tunnel, che ha ridato una credibile speranza di poter arrivare ad una verità che possa rendere onore al sacrificio di chi, coraggiosamente, ha voluto affrontare a “schiena dritta” la tracotanza di una organizzazione criminale che ai tempi aveva specifici modus operandi per ottenere il controllo del territorio.
Oggi, come evidenziato sia dall’intervento della dott.ssa Dolci, della DDA di Milano, che di don Ciotti di Libera, la ‘ndrangheta ha variato il suo modus operandi, cercando di evitare, fin quando possibile, odiose azioni sanguinarie che colpiscono negativamente l’opinione pubblica, per mostrare la faccia buona di pseudo imprenditori che si offrono di aiutare in momenti di difficoltà, per poi drogare il mercato imprenditoriale con regole lontane dalla normale concorrenza, forti di ampie liquidità da riciclare, grazie ai lauti proventi derivanti da attività criminali.