Può sembrare contraddittorio esordire con un passo evangelico (Matteo 22:21) nel voler trattare dell’ingerenza della religione nella politica.
Eppure proprio a Gesù viene attribuita questa risposta alla domanda provocatoria postagli dai farisei che volevano metterlo in difficoltà con l’occupante, se dovessero cioè gli ebrei pagare le tasse ai romani: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”.
L’arguta replica avrebbe dovuto impedire qualsiasi commistione tra religione e politica (almeno per quanto attiene al mondo di cultura cristiana); la storia si è premurata di smentire questo assunto.
Il paradosso è che alcune tra le peggiori nefandezze sono state compiute in nome di Dio (di un Dio, quale che fosse), nelle più diverse culture: dalle Crociate, al massacro delle popolazioni autoctone del Sud e Centro America, al jihad islamico (al grido di Allahu Akbar), alle lotte intestine nel mondo cristiano (tra cattolici, protestanti e ortodossi), e in quello islamico (tra sunniti e sciiti), alle persecuzioni degli ebrei ad opera della Chiesa cattolica.
Troppo complesso, in questa sede, sarebbe riassumere tutte queste vicende storiche; preme invece focalizzare l’attenzione sugli attuali richiami alle tematiche religiose in campo politico.
Dai più innocui rimandi a slogan quali “Dio, patria e famiglia”, al proclamarsi “donna, madre e cristiana” da parte della nostra presidente del Consiglio, all’affermazione del suo vice presidente di essere dedito alla quotidiana recitazione del Santo Rosario (coroncina di cui sembra essere appassionato collezionista), alla ripresa di motti più sinistri e storicamente preoccupanti, quali “Deus vult” (Dio lo vuole), che accompagnava i massacri dei crociati in Terra Santa, allo sconvolgente “Gott mit uns”, già dell’Ordine Teutonico, poi immeritatamente ereditato dalle truppe del Terzo Reich (e tuttora popolare negli ambienti dell’estrema destra neonazista).
Le soluzioni proposte per risolvere il dramma della popolazione palestinese vengono osteggiate dall’ala estremista del governo israeliano, la “destra messianica”, che rivendica la proprietà di Giudea, Galilea e Samaria (come se noi italiani rivendicassimo Illiria, Tracia e Gallia).
Il potere temporale della Chiesa cattolica; il sovrano inglese che è anche capo della Chiesa d’Inghilterra; esempi storici di commistione religione/politica.
E ancora: nelle nostre aule di giustizia campeggia la scritta “la legge è uguale per tutti”, in quelle statunitensi (dove testi e imputati giurano sulla Bibbia) è riportato il motto “in God we trust” (confidiamo in Dio).
Sin qui, il danno sembra limitato; ma dobbiamo registrare segnali allarmanti; il motto “Deus vult”, di cui sopra, lo troviamo ora tatuato sul torace del neo segretario della Difesa statunitense Pete Hegseth (cioè il “gestore” del più potente esercito del mondo).
Il presidente degli USA sostiene di aver vinto le elezioni per volontà di Dio, che gli avrebbe salvato la vita perché potesse tornare alla Casa Bianca e rendere di nuovo grande l’America.
A tutto ciò, che potrebbe sembrare folcloristico se non fosse riferito agli attori che impegnano oggi la scena politica internazionale, si aggiunge infine il fenomeno religioso costituito dalla Nuova Riforma Apostolica.
Corrente sviluppatasi negli USA, conta milioni di aderenti e si è di recente avvicinata al movimento MAGA, quasi a costituirne la costola religiosa; tanto che il neo vice presidente J.D. Vance ed Elon Musk hanno partecipato, in campagna elettorale, a due iniziative della chiesa.
Le tesi di questa confessione sono sconvolgenti e mi permetto di consigliare di esaminarne le linee ideologiche, in cui si rinvengono elementi di minaccia alla democrazia: proprio ciò di cui si avvertiva il bisogno.