Gli appassionati della cabala e della smorfia napoletana staranno arricciando il naso, abituati – come tutti d’altronde – a considerare il 90 il numero che simboleggia la paura.
Stavolta il timor panico ha fatto 84, ad esser precisi 84 per cento. E’ questa la percentuale degli aventi diritto al voto che in Germania si è recato alle urne pur di scongiurare l’incombente tsunami di Alternative für Deutschland.
Quel numero è una significativa lezione di civiltà, lezione che segna l’importanza di non rinunciare alla opportunità di eleggere chi debba rappresentare i cittadini nelle aule del Parlamento.
Negli anni il risultato delle consultazioni politiche ed amministrative è stato drammaticamente segnato dall’impressionante astensionismo. Non è vero – e quella tedesca ne è la dimostrazione plateale – che è inutile recarsi ai seggi e fare il proprio dovere nell’interesse dell’intera comunità cui si appartiene.
La democrazia poggia proprio sulla vastità della platea che va votare e su un consenso che è davvero popolare. Il non andare ad esprimere la propria preferenza è la peggior mossa che si possa fare sulla scacchiera del destino.
I voti che ottengono partiti, fazioni e movimenti animati dall’estremismo più becero non diminuiscono se tutti vanno a votare, è ovvio, ma il loro peso si riduce sensibilmente sotto il profilo percentuale.
Gli oltre dieci milioni di schede su cui è stato barrato il simbolo di AFD – se l’affluenza non fosse stata così plebiscitaria – la Germania avrebbe anticipato di otto anni i festeggiamenti del centenario dell’ascesa al potere dell’imbianchino che ha sconvolto il secolo scorso.
Chi cavalca l’insoddisfazione, la rabbia, la sempre più ottusa intolleranza ruba certamente voti ai partiti tradizionali colpevoli di aver fatto poco o comunque non abbastanza per evitare le profonde crisi che caratterizzano i nostri giorni, ma la maggioranza rimane ancorata al sogno di un Paese democratico e aberra l’incubo di un possibile regime totalitario.
Se nei territori teutonici i votanti fossero stati proporzionali a quelli che abbiamo avuto in Italia negli ultimi tempi, dove si dondola sul 50%, la giornata di ieri avrebbe consacrato il Quarto Reich e aperto la finestra su uno scenario apocalittico.
Abituati a tracannare gli “orientamenti di voto” che le società di rilevazione fanno su un campione di qualche migliaio di persone, non teniamo mai conto che quei valori ubriacano l’opinione pubblica e spengono le speranze che qualcosa possa davvero cambiare.
E’ palese che il fanatismo fa più rumore del “pensiero pacato e ragionevole”. E’ vero che alle urne si precipitano in massa gli “arrabbiati”, come è altrettanto certo che resteranno delusi dalle false promesse di chi ha gioco facile in un contesto trafitto da mille difficoltà.
Se le cose vanno male, è ovvio che l’elettorato si lasci illudere dalle bugie di chi spergiura di cambiare tutto in meglio pur non sapendo nemmeno da che parte cominciare.
La meditazione può essere un rimedio efficace. Non c’è bisogno di raggiungere eremi sperduti e strutture monastiche di qualsivoglia orientamento religioso, Potrebbe esser sufficiente recarsi alla più vicina stazione di servizio, guardare con intensità la pompa di benzina, fissare con attenzione l’importo al litro di carburante. Si tratta poi di chiudere gli occhi per pochi secondi, giusto il tempo per rivedere mentalmente chi spergiurava di esser pronta a rimediare ad un simile scempio e quindi far scorrere nella memoria lo spot con l’omino coi baffi della caffettiera Bialetti che dice “Sembra facile”…
Gli schieramenti che ambiscono a garantire la democrazia non si lascino impressionare dalla indiscutibile forza dei social che stravolgono la realtà e ipnotizzano chi ha troppo poco cervello per capire di essere un burattino in balia di fake news sempre più aggressive e apparentemente attendibili.
Si vada a mutuare e a mettere in pratica seriamente lo slogan di un imprenditore immobiliare. Per avere e per dare un futuro basterebbe tener fede ad un novello “non vendiamo sogni, ma solide realtà”.